Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura

Cavie per l’industria della guerra

L’uranio impoverito causa tumori e leucemie tra i militari italiani in missione all’estero ma anche tra i pastori sardi: da 50 anni sull’isola si sperimentano armi non convenzionali Servono poche decine di migliaia di euro per affittare un terreno militare…

Tratto da Altreconomia 105 — Maggio 2009

L’uranio impoverito causa tumori e leucemie tra i militari italiani in missione all’estero ma anche tra i pastori sardi: da 50 anni sull’isola si sperimentano armi non convenzionali

Servono poche decine di migliaia di euro per affittare un terreno militare dove collaudare armamenti di nuova generazione, e una firma in fondo a un pezzo di carta. Non succede in Somalia, ma a Perdasdefogu, un tratto della costa sarda bello da mozzare il fiato. È qui, su un’area interamente demaniale di 14mila ettari, che sorge il Poligono interforze di Salto di Quirra, centro missilistico sperimentale utilizzato per l’addestramento delle forze armate italiane, gestito dall’Aeronautica e messo a disposizione della Nato. Dal 20 agosto 1956, giorno in cui è stato inaugurato, gli eserciti di mezzo mondo e le aziende leader del settore bellico fanno la fila per testare missili, bombe, propellenti, aerei senza pilota, sistemi a impulsi elettromagnetici, munizioni teleguidate, e, volendo, armi non convenzionali. La trafila burocratica è semplice, i costi contenuti, i controlli -considerata l’estensione della base- pressoché impossibili. Chi affitta, al termine delle esercitazioni deve solo compilare un’autocertificazione, dove le industrie possono di fatto scrivere quello che vogliono. “Solo di recente sono state inserite clausole che escludono l’impiego di materiale chimicamente instabile o di munizionamento all’uranio impoverito (vedi box, ndr), ma nessuno poi controlla cosa è stato esploso -spiega Mauro Bulgarelli, ex senatore dei Verdi e fino al 2008 membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito-. Il costo dell’affitto è irrisorio: 50mila euro all’ora”. Una parte del territorio italiano se ne va così, sgretolato dalle bombe, sacrificato agli interessi dell’industria delle armi. È dalla fine della Seconda guerra mondiale che la Sardegna non è più sovrana sul proprio territorio, da quando vaste porzioni lungo la costa sono state trasformate in servitù militari. Oggi nei poligoni di Salto di Quirra, Capo Frasca e Capo Teulada è ancora il mercato della guerra che comanda: Alenia, Avio, Oto-Melara, Iveco, Consorzio Eurosan, Thompson, Aerospatiale, Oerlikon Contraves sono solo alcuni dei frequentatori abituali. Nel 2008 il presidente di Finmeccanica, Francesco Guarguaglini, è stato individuato come partner dal ministero della Difesa e invitato a Roma per discutere l’ipotesi di costruire insieme una pista di volo nella piana sottostante il Monte Cardiga a sud di Perdasdefogu. Un intervento definito urgente a fronte di “intensi e proficui programmi di ricerca aeronautica e aerospaziale in cooperazione civile-militare, nazionali ed internazionali”.
In Sardegna segreto militare e segreto industriale si sommano, formando una cortina impenetrabile sugli esperimenti condotti.
Secondo Massimo Zucchetti, docente di Sicurezza e analisi del rischio al Politecnico di Torino e coordinatore del Comitato scienziati contro la guerra, l’Italia disattende il Trattato di non proliferazione nucleare, che pure ha sottoscritto: “Non dovrebbero esserci bombe nucleari sul nostro territorio -spiega-, invece ne abbiamo 80 tra Aviano e Ghedi. Ma il caso del Poligono di Salto di Quirra è a sé: chi deve testare una nuova arma si porta sul vicino Monte Cardiga, e dall’altura cerca di centrare l’isolotto di Quirra, che si trova poco distante. Come possiamo escludere che vi siano state collaudate armi chimiche o missili con gas di scarico tossici?”. Decenni di test hanno lasciato il segno sulla popolazione. In alcuni centri a ridosso delle basi gli effetti dell’inquinamento bellico sono stati pesanti. Ci si ammala di tumore, soprattutto linfomi. I valori sono ben oltre la media nazionale. Sindrome di Quirra, la chiamano da queste parti. Il sospetto che in Sardegna siano state utilizzate munizioni all’uranio impoverito c’è, ma per la politica e per una parte della comunità scientifica resta tale. Non si spiegano però il picco di leucemie che hanno colpito i pastori, la moria continua delle greggi, le malformazioni dei bambini appena nati. I campioni raccolti intorno ai paesi di Villaputzu ed Escalaplano, a pochi chilometri da Salto di Quirra, rivelano un tasso di inquinamento chimico impressionante.
Salvatore Donatiello, ex sergente di Sparanise, in provincia di Caserta, è stato colpito da linfoma non Hodgkin durante le esercitazioni alla base di Capo Teulada. “Mi sono ammalato nel 2004 -racconta-, dopo un periodo passato a sparare granate e a lavare carri armati con diluenti sconosciuti. Dormivamo e mangiavamo nelle tende, senza protezioni, camminavamo su terreni non bonificati e c’erano resti di proiettili anche americani. Intorno a noi si muovevano eserciti di altri Paesi che testavano armi di ogni tipo”. Quella di Donatiello è una storia comune fra i soldati che si sono ammalati: durante il ricovero le Forze armate l’hanno scaricato, e per sostenere i costi delle cure e della causa di servizio si è indebitato. Nei suoi tessuti, e in quelli degli altri soldati inviati in missione, sono stati trovati residui di metalli pesanti, composti con chimiche che non figurano sui manuali ma capaci di interagire direttamente con le cellule e il Dna. E quindi di causare degenerazioni e malattie.
L’Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle Forze armate e famiglie dei caduti (Anavafaf) dell’ex ammiraglio della Marina Falco Accame e l’Osservatorio militare di Domenico Leggiero, un elicotterista di Sesto Fiorentino accompagnato al congedo anticipato per le ripetute denuncie, hanno tenuto i conti dei soldati contaminati dall’inquinamento bellico: 2.540 gli ammalati, 174 i morti nel personale impiegato in missioni all’estero.
Ma chi ha alzato la voce è stato emarginato, minacciato o messo nelle condizioni di non parlarne pubblicamente. Qualcuno, ancora durante la riabilitazione in ospedale, si è visto comparire davanti i superiori ed è stato “invitato” a firmare documenti in cui si attesta che la malattia contratta è ereditaria o congenita, sollevando così l’Esercito da ogni responsabilità. “Nel 1990, durante la prima guerra del Golfo, il Dipartimento della Difesa americano diffuse nelle caserme un video in cui si spiegavano i rischi connessi all’esposizione all’uranio impoverito -spiega il maresciallo Leggiero-. Il filmato fu trasmesso per conoscenza ai vertici degli eserciti della Nato, ma l’Italia non l’ha mai mostrato ai nostri militari e ha continuato ad inviarli in missione all’estero senza tute, guanti di protezione e maschere filtranti. Quello che hanno respirato li ha uccisi”.
Sono informazioni che sarebbero state utili a Margetici, un villaggio della Bosnia-Erzegovina dove il 18 agosto 1996 il Genio dell’Esercito è stato protagonista del più ampio intervento di bonifica effettuato sul territorio balcanico: i soldati italiani hanno seppellito a mani nude in una buca 380 tonnellate di armi rinvenute in un fienile e le hanno fatte brillare, lasciando che la terra sollevata dall’esplosione ricadesse sul vicino accampamento. A distanza di pochi anni, quei militari sono stati decimati da un nemico invisibile: otto si sono ammalati, due sono morti di tumore, altri due hanno messo al mondo figli con gravi malformazioni.
Quanto vale la vita di un soldato? Il capitolo degli indennizzi è uno dei punti chiave nella vicenda dell’uranio impoverito. Se due commissioni parlamentari d’inchiesta non sono riuscite a provare l’esistenza di un nesso causale diretto tra l’uranio impoverito e i tumori, di recente la giustizia ha deciso di accontentarsi del “nesso di probabilità”, aprendo in questo modo la strada a una catena di risarcimenti. Il caso che ha fatto scuola è quello del paracadustista Gianbattista Marica, colpito da un linfoma non Hodgkin durante l’operazione Ibis in Somalia. Nel dicembre 2008 il Tribunale di Firenze ha condannato il ministero della Difesa a pagare un risarcimento di 545mila euro. Una cifra che Marica, morto a marzo al termine di una lunga agonia, non vedrà mai. Pochi giorni dopo la sentenza è stato il ministro della Difesa Ignazio La Russa a riconoscere l’esistenza del nesso di probabilità e a ricordare che vi sono di 30 milioni di euro stanziati per malati e parenti delle vittime, lasciando però intendere che d’ora in avanti dovrà cessare la campagna denigratoria nei confronti dei generali. Improbabile dunque che vengano accertate le eventuali responsabilità penali degli ufficiali che hanno inviato i soldati a operare in scenari contaminati senza adeguate protezioni.
Come Angelo Ciaccio, che viene dal rione Salicelle, quartierone popolare di Afragola (Na). Angelo ha indossato la divisa dopo mille lavori in nero, entrando nell’Esercito, la “più grande fabbrica” del Sud, per necessità. È orgoglioso di essere un militare, e non si vergogna della mascherina verde che porta davanti alla bocca dopo il trapianto al midollo. La prima missione per lui risale al  13 settembre 2001. “Dovevo fare il trasmettitore -racconta-. Ho prestato servizio a Sarajevo, ma penso di essermi ammalato in Iraq per i continui bombardamenti. Sono state le tempeste di sabbia a diffondere la contaminazione. Inizialmente non avevo sintomi. Ho fatto dei controlli, la classica radiografia al fegato. Ma quando mi sono trovato nella sala d’attesa del reparto di Oncologia ed ematologia ho realizzato che la situazione era grave”. Il dramma della famiglia Ciaccio si consuma sul filo di una telefonata. Il fratello Umberto lavora per un’azienda di Mestre che sviluppa sistemi di schermatura antiradiazione. Quando scopre la situazione del fratello molla il lavoro e lo raggiunge.
Per anni, lo accompagnerà ovunque. “In questi casi devi prendere la tua vita e cestinarla -racconta Umberto-. A me è successo quando ho ricevuto la chiamata di un medico che mi informava della malattia di Angelo, leucemia mieloide acuta. Per trenta secondi non ho parlato. In 12 ore ero da lui: l’ho trovato che piangeva come un bambino”.
A Napoli Angelo ha una fidanzata che lo aspetta, ma la malattia gli impedisce di fare progetti a lunga scadenza. Vorrebbe sposarsi, ma non sopporta l’idea di lasciare una vedova e dei figli. “Sono ancora molto provato -dice-, dalla mattina alla sera sto a letto, è come se fossi un bambino che aspetta di rinascere. Ma a 26 anni chi me li restituisce il tempo che ho perso per la malattia?”.

Munizioni radioattive
Da 12 chilogrammi di uranio naturale si ottiene 1 chilo di uranio arricchito (usato sia come combustibile nelle centrali nucleari sia come elemento detonante nelle armi nucleari) e circa 11 di uranio impoverito (lo scarto).
L’abbondanza, il basso costo, la natura piroforica, la durezza e la resistenza fanno di quest’ultimo un elemento molto utilizzato nella produzione di munizioni. Un carro armato colpito da tre di questi proiettili e l’area attorno ad esso vengono contaminati da un particolato radioattivo che si deposita in un raggio di 50 metri dal bersaglio, ma le particelle più fini vengono disperse sotto forma di aerosol su distanze di centinaia di chilometri. Test dell’esercito statunitense, condotti fin dal 1977 nel Nevada, hanno dimostrato che questa polvere è priva di uranio ma densa di elementi metallici nuovi prodotti dall’esplosione.

Se i numeri non tornano
4/10/2007 Il consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, l’epidemiologo Valerio Gennaro cita i dati della Sanità militare: tra i soldati italiani che hanno svolto missioni all’estero 1.991 sono i casi di tumore maligno (158 i deceduti).
9/10/2007 Il ministro della Difesa Arturo Parisi, riferendo alla stessa Commissione, dichiara che i militari malati di  tumore impiegati all’estero tra il ‘96 e il 2006 sono 255, con 37 morti.
12/12/2007 Parisi cambia versione: 312 i casi di tumore tra il personale impiegato all’estero, con 77 decessi. 40 morti di differenza in due mesi e un’inquietante differenza tra le cifre fornite da due istituzioni: il ministero della Difesa e la Sanità militare. L’ex maresciallo Domenico Leggiero, responsabile dell’Osservatorio militare, ha rifatto le somme: “Per noi che assistiamo le vittime dell’uranio, i militari malati sono 2.540 e i morti 174. Siamo in grado di fare nomi e cognomi”. Capo di Stato Maggiore e ministero della Difesa non hanno mai smentito ne accettato un confronto.

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.