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Diritti

Caso Diaz, la Cassazione alla prova di indipendenza

Con la conferma ai rispettivi posti degli altissimi dirigenti imputati, la posta in gioco è diventata la decapitazione del vertice di polizia. Il procuratore generale ha chiesto la conferma di tutte le condanne, ma i vertici istituzionali e politici si aspettano l’esito opposto. Per i giudici una pressione enorme e impropria ma anche una questione di credibilità

Qualche giorno fa la Polizia di Stato ha tenuto una conferenza stampa per annunciare l’arresto dell’autore dell’attentato alla scuola "Falcone e Morvillo" di Brindisi. Un caso risolto in breve tempo. L’incontro coi giornalisti è stato condotto dal capo dell’Anticrimine, Francesco Gratteri. Lo stesso Gratteri è in questi giorni sotto giudizio davanti alla Corte di Cassazione, chiamata a valutare se il processo Diaz, chiuso in appello nel maggio 2010, sia stato corretto o no sotto il profilo strettamente giuridico.

La sentenza è attesa per venerdì sera e se la Cassazione dovesse confermare le condanne d’appello, il dottor Gratteri sabato mattina non potrebbe presentarsi in ufficio, perché scatterebbe, oltre alla pena principale di 4 anni di reclusione (coperti dall’indulto), l’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Lo stesso accadrebbe per molti degli altri 24 imputati, inclusi dirigenti di primo piano come Gilberto Caldarozzi, capo dello Sco, e Giovanni Luperi, responsabile del Dipartimento analisi del servizio segreto Aisi.

È davvero singolare che la polizia di stato esponga suoi altissimi dirigenti a una simile possibilità: passare nell’arco di una settimana da rappresentanti di forze dell’ordine efficienti e rassicuranti, a cittadini condannati penalmente ed espulsi per 5 anni dalle amministrazioni pubbliche. In nessun altro paese sarebbe ammesso niente del genere, nel senso che i dirigenti sarebbero stati sospesi molto prima del giudizio in Cassazione: al momento del rinvio a giudizio (nel nostro caso nel 2004), o nel peggiore dei casi all’indomani della condanna in tribunale (2010).

Con la conferma dei dirigenti ai loro posti si è creata una situazione che definire impropria è un eufemismo. La Cassazione, di fatto, si trova a decidere non solo e non tanto la sorte di 25 dipendenti dello stato: la posta in gioco è diventata la decapitazione o meno del vertice di polizia. Non è la migliore condizione per decidere in piena serenità. La pressione sui giudici è enorme: l’attesa generale – forze politiche parlamentari, vertici isituzionali, per non parlare del governo, che addirittura annovera come sottosegretario Gianni De Gennaro, capo della polizia ai tempi del G8 di Genova – è che la Cassazione cancelli le condanne o almeno ordini il rifacimento del processo, quanto meno per i dirigenti di grado più elevato.

La Cassazione è quindi chiamata a una prova assai gravosa e quanto sia stata irresponsabile la scelta di non sospendere gli imputati, è oggi ben chiaro a chiunque. Oltretutto la recente assoluzione in Cassazione di Gianni De Gennaro non è parsa molto convincente nelle sue motivazioni, come ha fatto notare fra gli altri Livio Pepino. Per la Cassazione il "caso Diaz" è davvero una questione di indipendenza e di credibilità, qualunque decisione prenda. Il procuratore generale ha intanto chiesto la conferma di tutte le condanne e c’è da star certi che nei palazzi del potere in queste ore c’è parecchia fibrillazione.

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