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Economia / Opinioni

Casa ed energia: chi paga davvero e come ristabilire la progressività

La riforma fiscale -a partire dal catasto- è una delle strade principali per ridurre le disuguaglianze e frenare l’impoverimento di ampi strati della società. Eppure governo e Parlamento ampliano il sistema di deduzioni e detrazioni a beneficio di ridotti gruppi di privilegiati. L’analisi di Alessandro Volpi

© Tierra Mallorca - Unsplash

A proposito di bollette e tasse. Secondo i dati dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), ogni anno gli italiani pagano 52,5 miliardi di euro per le bollette elettriche. Di questi ben 12 sono costituiti dai sussidi per le energie rinnovabili e altri due per la “gestione” delle centrali nucleari inattive. Questi costi, inseriti in bolletta, pesano nello stesso modo per una persona che ha due milioni di euro di reddito e per una che ha 15mila euro di reddito. 

Il prossimo anno, secondo le stime del governo, è possibile che ai già citati 52,5 miliardi se ne aggiungano altri 19, a spese di tutti i contribuenti, mentre i produttori di energia rinnovabile, sussidiati dalle bollette, stanno registrando profitti elevatissimi perché vendono in asta ai prezzi, decisamente più alti, dell’elettricità di fonte termica. Naturalmente, ancora una volta, la possibilità di scommettere su questi prezzi utilizzando strumenti finanziari contribuisce a farli salire in maniera rapida. 

Sembrerebbero naturali, in simili condizioni, una revisione della struttura delle bollette e un freno immediato ai medesimi strumenti di speculazione finanziaria. Lo stesso ministro Cingolani infatti dovrebbe ricordare che gran parte del paventato aumento dipende proprio dalla colossale speculazione sui permessi di emissione di CO2, oggetto ormai, appunto, di continue scommesse al rialzo. In pochissime parole, le imprese hanno bisogno dei certificati per avere la possibilità di inquinare e, da qualche anno, tali certificati sono diventati oggetto di una miriade di prodotti finanziari che scommettono sul loro prezzo, naturalmente al rialzo. L’esito di ciò è tristemente chiaro; i grandi fondi hedge che scommettono fanno montagne di soldi, le imprese vere arrancano perché devono pagare carissimi i certificati e i cittadini pagano bollette salatissime per effetto dell’adeguamento delle tariffe ai prezzi nati dalla speculazione. 

La finanziarizzazione, che traduce ogni cosa in scommessa, è davvero pericolosa e ci riguarda tutti, o almeno quasi tutti, trasformando anche la lotta all’inquinamento in un mostruoso gioco destinato ad approfondire le disuguaglianze. 

Mentre si appesantiscono le bollette, tra una narrazione surreale e l’altra, l’Italia sta invece accelerando lo sfascio del proprio sistema fiscale; o meglio lo sta rendendo sempre più ingiusto, con premialità ad personam. Accanto alle innumerevoli cedolari secche e vari bonus, naturalmente tutti privi di progressività e dunque di giustizia fiscale, sta prendendo corpo un ulteriore ampliamento del sistema di deduzioni e detrazioni, concepite per gruppi e lobby più o meno numerose. 

Nel solo 2020 tale sistema è aumentato di ben 300 voci avvicinandosi ad un totale di circa 1.000 per un peso che è ormai superiore all’8% del Pil italiano. In altre parole, mentre il governo e il Parlamento dovrebbero fare una riforma fiscale che restituisca progressività e presenti caratteri strutturali, con una miriade di micro misure, come accennato, ad personam, definiscono tanti sgravi mirati, spesso disorganici e chiaramente orientati in direzione di gruppi di privilegiati. 

Tutto ciò continua a ridurre la base fiscale del Paese, costringendo una fascia limitata della popolazione, in genere con redditi medio bassi, a pagare per tutti. Con una vera progressività fiscale, è evidente che sarebbe praticabile trasferire una parte dei costi energetici sulla fiscalità generale, progressiva a differenza delle bollette che non sono, praticamente mai, in grado di tener conto del reddito e del patrimonio del contribuente. 

Un’opportunità in tale direzione sarebbe a portata di mano. Nell’ambito della riforma fiscale che il Governo Draghi intende proporre al Parlamento per la ormai consueta “ratifica” pare che possa comparire la revisione degli estimi catastali. Si tratta di un tema di cui si discute da almeno vent’anni e che si lega alla ormai molto datata e inefficace modalità del loro calcolo, basata sul desueto vano catastale e non sui metri quadrati e sul loro prezzo reale di mercato. Ciò produce profonde distorsioni nell’applicazione delle imposte sugli immobili, tendendo a privilegiare quelli di pregio che, proprio per effetto di questo metodo di calcolo, beneficiano spesso di un prelievo fiscale inferiore rispetto ad abitazioni più nuove ma di dimensioni certamente assai inferiori e collocate in aree periferiche. La revisione degli estimi, in tale ottica, potrebbe restituire una maggiore aderenza alla realtà della base imponibile con un presumibile sollievo per le fasce più deboli della proprietà immobiliare, soprattutto se la revisione si abbinasse anche ad una ridefinizione delle aliquote Imu. 

D’altra parte, come accennato, il ripristino di una vera progressività fiscale consentirebbe di spostare dalle tariffe delle bollette, ad esempio da quelle dell’energia, che colpiranno soprattutto le famiglie più numerose e in difficoltà, alla fiscalità generale progressiva, e quindi in direzione delle fasce più ricche, alcune voci assai pesanti come quelle per i sussidi alle rinnovabili e per lo smantellamento degli impianti nucleari abbandonati. La riforma fiscale è una delle strade principali per ridurre le disuguaglianze e frenare l’impoverimento di ampi strati della società italiana.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.

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