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Canapa riscoperta – Ae 93

Una confusione “voluta” l’ha lasciata per decenni nel dimenticatoio. Oggi è tempo di riscoprire una coltura che si presta a mille usi, dall’industria tessile a quello alimentare     La canapa è una specie di millenario miracolo alimentare, medicinale, tessile, edile,…

Tratto da Altreconomia 93 — Aprile 2008

Una confusione “voluta” l’ha lasciata per decenni nel dimenticatoio. Oggi è tempo di riscoprire una coltura che si presta a mille usi, dall’industria tessile a quello alimentare    


La canapa è una specie di millenario miracolo alimentare, medicinale, tessile, edile, energetico. Potrebbe essere la regina della riconversione ecologica dell’economia. Solo in Italia, ha un mercato potenziale che l’associazione di coltivatori Assocanapa valutò nel 2001 in 300 miliardi di lire, “con la possibile creazione di molte filiere locali” a partire da una materia prima versatile che potrebbe sostituire buona parte dei derivati del petrolio e della nefasta petrolchimica. Dopo decenni di dimenticatoio, da anni le istituzioni italiane e perfino gli organi giudiziari sembrano aver superato la voluta confusione fra cannabis sativa (la varietà di cui stiamo parlando, a uso industriale e alimentare) e cannabis indica (la varietà che ha un alto contenuto del principio attivo tetraidrocannabinolo, Thc, con proprietà psicoattive).

Gli agricoltori -il nostro Paese è un ex produttore di primissimo piano- non sono più considerati criminali, la canapa è una coltura “normale”.

Ci si aspetterebbe una nuova stagione di gloria, ma non è (ancora?) così.

Nemmeno l’Europa brilla, con un’estensione di appena 20mila ettari coltivati, a fronte dei 24mila ai quali è arrivato il Canada in poco tempo -ne ricava l’olio alimentare con il quale sta invadendo gli Usa, dove la coltivazione è tuttora vietata-.

In Europa, l’Italia è ora ferma a 300 miseri ettari coltivati e a pochi impianti di trasformazione. Per anni, è sparito un progetto dopo l’altro: mancava sempre un pezzo nella catena produttiva.



Daniele Re è il più sfiduciato di tutti, tanto da aver abbandonato la partita già anni fa. Marchigiano, con la sua cooperativa Humus si è speso molto come “facilitatore” per un progetto di riconversione industriale redatto da un superesperto e sposato ufficialmente dalla Cgil e dai lavoratori dell’impianto del Poligrafico dello Stato di Foggia, produttore di pasta di cellulosa (il 90% di quella che usano le nostre cartiere è importata). Si trattava di introdurre in quello stabilimento in crisi una linea di produzione di pasta di cellulosa da fibre di canapa coltivate in Italia. Effetto collaterale: salvare 300 posti di lavoro e mettere a coltura almeno 10mila ettari di canapa. Il progetto -ovviamente costoso: 175 miliardi di lire, comunque meno di un sottomarino militare- si perse nelle nebbie delle ristrutturazioni e delle privatizzazioni. Così l’euro è stampato su lino egiziano anziché su canapa  europea.

Ma per Daniele il problema vero è un altro: “Se non si capisce che questo sistema economico basato sulla crescita deve cambiare, che occorre una riconversione totale, non c’è spazio nemmeno per la canapa”.

“Con incentivi da parte del governo la carta con pasta di cellulosa di canapa italiana potrebbe svilupparsi notevolmente”, sottolinea comunque Margherita Baravalle di Assocanapa, che ha sede a Carmagnola (Torino).

Al Consorzio Canapa Italia aderisce un gruppo di aziende che cercano di ricostruire filiere italiane, dalle sementi al campo, dalla prima lavorazione (la “stigliatura”) alla tessitura alla produzione di alimenti e cosmetici fino alla vendita. Obiettivo: la tracciabilità delle filiere, interamente made in Italy.

I soci non vedono nella canapa un’alternativa totalizzante ma piuttosto un importante segmento del mercato.   

Marilena Zaccarini, amministratrice di Progetti ambiente, specializzata nel prezioso olio e nella farina di canapa, trova che oltre alle difficoltà tecniche (“un conto è dire ‘che bella la canapa ci si può fare di tutto’, un conto è costruire tutti i processi di lavorazione”) ci sia ancora “confusione, scarsa conoscenza, sia fra i consumatori che fra le imprese”.  Intanto si è (ri)costruita la filiera tessile

a base di canapa italiana. Ecocanapa gestisce a Comacchio nel ferrarese un impianto di stigliatura nato nel 2004.

È, come spiega Stefano Lolli, “l’anello mancante, quel che serviva per produrre la fibra lunga necessaria alla lavorazione tessile. Il nostro prodotto principale lo vendiamo tutto ad aziende italiane che lo filano. Il resto sono stoppie corte che vendiamo all’estero -in Repubblica Ceca e Spagna ci fanno la pasta di cellulosa- e pellet dal canapulo, a scopi combustibili”.

Magnifiche sorti e progressive? Non proprio: l’impianto, costato 10 milioni di euro, potrebbe lavorare la produzione di 1.500 ettari coltivati a canapa e invece gli agricoltori conferenti sono fermi

a 300, 400 ettari al massimo. Conviene loro produrre grano, adesso che i prezzi sono alti (non c’è un particolare incentivo Ue per chi coltiva canapa). Di fronte al magro reddito dei coltivatori, quelli di Ecocanapa spiegano: “Non possiamo pagare di più, stiamo studiando piuttosto come aumentare le rese”. Però la coltura è stata “nanizzata” per un problema di lavorazione successiva. Assocanapa -che punta su filiere locali per l’olio alimentare, l’olio essenziale da infiorescenze e i pannelli per l’edilizia- ha invece pensato di incorporare una prima fase di trasformazione nell’attività agricola, con macchinari alla portata di prezzo di gruppi di coltivatori. Il valore aggiunto sul campo così aumenterebbe.

Un prototipo di macchina è stato fatto e adesso l’associazione attende sviluppi istituzionali. Intanto, un gruppo di piccoli Comuni piemontesi si è impegnato ad acquistare pannelli isolanti di canapa per le coibentazioni dei propri uffici.



Un’alternativa ecologica

Quasi tutti i materiali e prodotti inquinanti che ci circondano potrebbero essere sostituiti da derivati naturali dalla canapa.

Alimentazione. Olio di canapa, con una percentuale ottima dei preziosi acidi grassi omega 3 e omega 6. Semi di canapa (da cui si ricava anche la farina) ricchissimi in proteine, vitamine e minerali. Birra. Bibite energetiche.

Alternative alla petrolchimica. Solventi non inquinanti per le vernici. Carrozzerie per auto. Plastiche resistenti ma biodegradabili.

Carta per giornali e libri. Prodotti durevoli e resistenti, con rese in fibra per ettaro 4 volte superiori a quella di alberi da cellulosa.

Edilizia. Sostituzione non tossica di cemento (il canapolo dagli scarti), mattoni, legno, intonaco, materiali isolanti.

Energia. Si può gassificare lo scarto degli steli per alimentare generatori. L’etanolo di canapa può alimentare motori a scoppio.

Fibre tessili. Tessuti resistenti e sani per i capi di abbigliamento e l’arredo per la casa. Storici le vele, i cordami, le tele per dipingere.  

Igiene. Fitocosmesi, saponi, dentifrici.

Medicina. Dalla canapa si estrasse il primo analgesico. La cannabis ha valore terapeutico per molte malattie.

Protezione del suolo. Fitodepurazione dei terreni contaminati da metalli pesanti, fertilizzante e antierosiva. Coltivabile in modo ecologico.  



Perchè “fuorilegge”

Coltivata da millenni, negli anni Trenta la canapa era “matura” per servire come fonte abbondante di materie prime per numerosi settori dell’industria. Già allora, però, si erano consolidati grossi interessi che si contrapponevano a questa coltura amica. Dal petrolio si cominciavano a produrre materiali plastici e vernici, e la carta di giornale della catena Hearst era fabbricata a partire dal legno degli alberi, con un processo che richiedeva grandi quantità di solventi chimici, forniti dalla industria chimica Du Pont. La Du Pont e la catena di giornali Hearst si coalizzarono. Con una martellante campagna stampa durata per anni la cannabis, chiamata da allora con il nome di marijuana, venne accusata di essere la responsabile di efferati delitti. E nel 1937, negli Usa, venne approvata una legge che proibiva la coltivazione di qualsiasi tipo di canapa (anche se allora l’uso allucinogeno era di fatto sconosciuto). In Italia la messa al bando arrivò dopo. Fino agli anni 50 il nostro Paese continuò a essere il secondo produttore mondiale di canapa dopo l’Unione Sovietica. Il rifiuto delle faticose tecniche di macerazione (per il mancato investimento in innovazioni risparmia-fatica), l’aumento del costo del lavoro, lo sviluppo dell’industria delle fibre sintetiche, ma soprattutto l’applicazione dell’art. 26 del dl 309/90 (legge antidroga Jervolino-Vassalli), hanno decretato la fine della canapicoltura in Italia.



Una pianta da adottare

“Adotta una pianta per salvare il pianeta” è un progetto lanciato un paio d’anni fa dall’associazione Canapalive di Allumiere (Roma, www.canapalive.org) per sdoganare la coltura della canapa. L’idea è affidare in adozione, per pochi euro, piante di canapa (nella foto) in vaso non psicoattive, poiché ottenute da seme legale, garantite con punzone sul tronco e certificazione europea sul vaso. Ne sono state distribuite oltre mille, richieste da centinaia di persone. Ovviamente con una o anche dieci piantine in vaso non si aiuta direttamente la ripresa della coltura in Italia, ma si partecipa senza rischi a un’operazione culturale: la reintroduzione nel paesaggio quotidiano di questa pianta attraverso il suo aspetto estetico ornamentale, prima che con gli ultimi anziani contadini si perda anche il ricordo degli immensi campi coltivati a canapa.

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