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Terra e cibo / Reportage

Canali etruschi tra i campi: racconti di agricoltura che tutela la storia

Quando Lorenzo Caponetti ha preso in mano l’azienda agricola di famiglia era stato avvisato dai precedenti proprietari della presenza di un “cunicolo etrusco”. L’attenzione al territorio, unita alla sua passione per l’archeologia, ha portato alla nascita di un sistema di tutela e conservazione unico al mondo

© Max Dorigo

A Casa Caponetti non si butta via niente. O, almeno, si tenta sempre di valorizzare ciò che prima fu nascosto o dimenticato e che ora è diventato un prezioso patrimonio collettivo, anche grazie allo sforzo di chi quelle terre le lavora. Come Lorenzo Caponetti, che ha riportato in funzione il sistema di canali etruschi rimasto intatto tra i cinquanta ettari della sua azienda a Tuscania (VT) attraversata dalla Via Clodia, antica strada romana che collegava Roma con l’Etruria interna.

“L’acqua è ciò che lega la mia storia a quella degli etruschi”, racconta orgoglioso Caponetti, imprenditore, allevatore e agricoltore biologico autodidatta. Alla consegna degli uliveti che la sua famiglia lavora da ormai trent’anni, Lorenzo ricevette un avviso: “I proprietari precedenti mi dissero di stare attento al cunicolo dell’acqua etrusco: si sarebbe seccato se non l’avessi pulito”. Da quell’indicazione orale -forse tramandata nei secoli dai proprietari terrieri che si sono succeduti nella gestione della tenuta- e dalla passione di Caponetti per l’architettura (coltivata anche all’università) è nato un esperimento-modello di valorizzazione dell’intero sistema di irrigazione etrusco. Un connubio tra agricoltura e archeologia destinato a fare scuola. “Mi sono sentito come l’ultimo arrivato in un club di custodi fondato quasi tremila anni fa -ammette Lorenzo-. A partire da questi reperti e dalle conoscenze storiche abbiamo rimesso in funzione un sistema di irrigazione operante quasi esclusivamente per gravità.”

Negli anni, Casa Caponetti ha infatti deciso di investire nel recupero dei dieci ettari di necropoli che sorgono sul terreno di loro proprietà, innovando sistemi agricoli che già duemila anni fa erano all’avanguardia. Se si pensa al tempo in cui fu progettata, infatti, quella dei cunicoli drenanti e delle opere di captazione era una tecnologia che richiedeva livelli di conoscenza e capacità costruttive particolarmente elevati. Gli Etruschi prima e i Romani poi diedero così una lezione non solo di ingegneria idraulica, ma anche di sostenibilità ambientale attraverso l’utilizzo oculato delle risorse come l’acqua.

Il sistema dei cunicoli è infatti “passivo” (non richiedeva l’ausilio di pompe) e automatico. I tunnel etruschi venivano ricavati dall’escavazione del tufo ed erano progettati principalmente per raccogliere acqua potabile, drenare l’acqua dai terreni o, appunto, irrigare i campi coltivati. Le loro dimensioni dalle portate ingenti suggeriscono che in passato la disponibilità di acqua fosse maggiore rispetto ai giorni nostri. Per questo nell’antichità il sistema si reggeva solo sulla forza di gravità, assecondando il ritmo dell’acqua che cadeva e riaffiorava. L’attuale minore disponibilità d’acqua ha reso quindi necessario, nel caso di Caponetti, l’ausilio di una piccola pompa idraulica a energia solare.

Nell’ambito di un convegno sulla crisi dei sistemi idrici, gli autori dell’articolo “Gli antichi acquedotti sotterranei: esempi di uso sostenibile delle risorse idriche” sostenevano che -tremila anni fa come oggi- l’obiettivo dei cunicoli fosse quello, di rendere coltivabili aree che altrimenti sarebbero rimaste soggette a impaludimento: “Nel solo Lazio sono noti centinaia di cunicoli di drenaggio […], molti dei quali rendono tuttora possibile l’attività agricola”, scrivono, sottolineando come molti antichi acquedotti sotterranei “sono ancora oggi in funzione pur in assenza di opere di manutenzione e, spesso, di una precisa conoscenza della loro struttura; altri, dismessi in tempi relativamente recenti, potrebbero essere ripristinati con interventi contenuti a vantaggio delle comunità locali, anche a fronte delle crisi idriche”.

Le tecnologie ritrovate a Tuscania raccontano di una città etrusca particolarmente importante dal punto di vista agricolo, anche se la zona è sempre stata trattata come un centro minore dell’Etruria. La prima storia documentata di Tuscania risale addirittura al periodo Villanoviano, e nel 700 a.C. a quello etrusco. Anche gli ultimi scavi archeologici sembrano confermare la centralità di Tuscania, già conosciuta per la necropoli di San Potente sulle sponde del fiume Marta, un’area che conta oltre 200 tombe parzialmente scavate risalenti al VII secolo a.C.

“Lavoriamo con gruppi di volontari per organizzare gli scavi, documentare e catalogare per le istituzioni pubbliche lo stato di conservazione di questo patrimonio”, racconta Lorenzo. L’idea è quella che “i terreni sono nostri ma la necropoli appartiene a tutti”, con l’obiettivo quindi di mantenere il sito archeologico accessibile ai visitatori, anche grazie a convenzioni con le realtà vicine come la Riserva Naturale di Tuscania.

Caponetti conosce bene il grande patrimonio culturale che sorge sui suoi terreni, ma non saprebbe indicare esempi simili in Italia o nel mondo. Nemmeno Alessandro Naso, professore di etruscologia e antichità italiche all’università Federico II di Napoli e conoscitore del caso di Tuscania, saprebbe menzionare progetti simili a quello di Casa Caponetti. Si trova però a dover studiare reperti e necropoli scoperte su terreno privato: “In occasioni come queste, solitamente non arrivano finanziamenti da parte dello Stato”, racconta. Naso sostiene che l’interesse attuale per studiare i reperti e le pratiche etrusche si mantiene piuttosto basso: “Spesso sono i privati a iniziare le collaborazioni con il pubblico, ed è per questo che abbiamo sempre più bisogno di agricoltori illuminati come Lorenzo -aggiunge-. A volte invece devo difendermi da proprietari che mi puntano un fucile addosso quando mi perdo tra i campi in cerca di reperti”.

La Federico II non è l’unica realtà accademica a essersi interessata alla riscoperta del patrimonio etrusco sul suolo di Caponetti. Questa esperienza infatti, oltre a richiamare volontari e visitatori, ha incuriosito ricercatori agronomi e archeologi da tutto il mondo. “I prossimi tre anni saranno importanti per valorizzare le potenzialità dell’area”, dice Lorenzo. Casa Caponetti all’allevamento di suini e alla produzione di olio biologico affianca infatti alcuni progetti di educazione e le attività dell’agriturismo.

Lorenzo continua a seguire con interesse gli scavi in varie regioni del mondo per studiare casi simili a quello di Tuscania. Nel 2013 è stato invitato a parlare della sua esperienza alla Cornell University nello stato di New York, Stati Uniti. In occasione del suo seminario aveva paragonato i cunicoli etruschi di Tuscania ai grandi acquedotti romani: “Ma nel sistema idrico etrusco l’acqua entra ed esce dai canali, mentre gli acquedotti sono progettati esclusivamente per il trasporto dell’acqua”. Sistemi molto simili ma diversi: gli etruschi realizzavano opere adatte a centri abitati medio-piccoli, mentre Roma tendeva a costruire acquedotti più grandi e con gli archi, simbolo del suo potere centrale. “Si è sempre parlato di Tuscania come un centro minore dell’Etruria -chiosa Lorenzo-. Ma bastava scavare un po’ di più per accorgersi che, forse, in fondo la realtà era un’altra”.

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