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Camice precario

Contratti a termine, blocco del turn over e tempi di ricovero ridotti. Le fatiche degli infermieri italiani a confronto dei Paesi Ocse —

Tratto da Altreconomia 162 — Luglio/Agosto 2014

"Contenimento dei costi, blocco del turn over, piani di rientro, queste sono le parole d’ordine, oggi, in tema di sanità. La tutela della salute è un diritto costituzionale ma oggi è messa seriamente a rischio da regole economiche sempre più stringenti”. Andrea Bottega, segretario nazionale del sindacato autonomo Nursind, è categorico. E le sue parole trovano conferma nel rapporto Health Data 2013 dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che si riferisce al 2011, l’Italia si colloca al di sotto della media in termini di spesa sanitaria pro-capite, con una spesa media di 3.012 dollari (corretta per il potere d’acquisto), rispetto ai 3.339 nei Paesi dell’Ocse. Per quanto riguarda le risorse materiali all’interno degli ospedali, in Italia il numero complessivo di posti letto ospedalieri era di 3,4 ogni mille abitanti nel 2011, ben al di sotto della media Ocse, pari 4,8 posti letto.
Guardando, invece, ai dati riguardanti il personale, in Italia risulta esserci un eccesso di medici e una carenza di infermieri, con 4,1 medici ogni 1.000 abitanti -rispetto alla media Ocse di 3,2- e un numero di infermieri molto inferiore alla media Ocse (6,3 per 1.000 abitanti contro 8,7 negli altri Paesi Ocse). In Italia dovrebbero, quindi, essere attivi circa 480.000 infermieri, ma guardando al numero di iscritti ai 103 Collegi Ipasvi, il numero risulta essere molto minore (circa 420.000), e poi non tutti lavorano.
Servirebbero molti più infermieri, quindi; “il paradosso -spiega Andrea Bottega- è che circa 25mila laureati infermieri in Italia, oggi, sono disoccupati, quindi anche le risorse che ci sono non sono impiegate. Il blocco del turn over ha causato la riduzione del numero degli infermieri, insieme all’aumento dell’età media di chi vi lavora e questo determina un peggioramento della qualità dell’assistenza”. Qualità messa in discussione anche dalla discontinuità nel lavoro causata da forme di assunzione sempre più precarie, attraverso le cooperative di somministrazione lavoro: “Il professionista -continua Andrea Bottega- non riesce più a fare un percorso lungo in ospedale, a crescere in un ambiente che diventa nel tempo familiare, a fare lavoro di squadra; con questi contratti a brevissimo termine anche l’infermiere più capace, non avendo il tempo di adattarsi renderà comunque meno”.
Assenza e instabilità di personale che causa, come spiega la presidentessa dell’Ipasvi nazionale e senatrice Annalisa Silvestro “un sovraccarico di lavoro cronico per chi il lavoro ce l’ha, e che costringe a doppi turni, a saltare ferie, a dedicare meno tempo alla propria vita. In alcune regioni è addirittura in dubbio la possibilità di fornire un’assistenza di base”.
Anche i tempi di ricovero si riducono, in un’ottica di risparmio e, certamente, anche grazie all’evoluzione scientifica. “In ogni caso -ragiona Andrea Bottega- né per l’economia né per la scienza, si dovrebbe escludere la conoscenza umana, il prendere per mano una persona malata, accompagnarla per tutto il percorso assistenziale. I problemi poi sono cambiati -spiega ancora il segretario del sindacato Nursind- la popolazione sta invecchiando, è aumentata la richiesta di assistenza a domicilio. Oltre al medico di famiglia, generalmente sovraccaricato di lavoro, abbiamo proposto l’infermiere di famiglia. Ma la contingenza economica, ancora, non permette di inserire questa risorsa”. —

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