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Altre Economie / Opinioni

Cambiare i sistemi alimentari per sfamare il mondo

I nostri modelli di produzione e consumo devono radicalmente mutare, diventando davvero sostenibili, equi e salutari. Con il biologico al centro. La rubrica della “Rete Semi Rurali” a cura di Riccardo Bocci

Tratto da Altreconomia 236 — Aprile 2021
© Masahiro Naruse - Unsplash

Come sfamare più di nove miliardi di persone previsti nel 2050? È la domanda che a un certo punto emerge in ogni discussione sul futuro dell’agricoltura e su quali modelli siano più sostenibili. È una domanda trabocchetto che di solito ha sempre la solita risposta banale: il biologico e qualsiasi altro modello alternativo all’agricoltura industriale non saranno in grado di far fronte all’aumento necessario del 50% della produzione alimentare perché hanno basse rese per ettaro. Quindi per produrre di più con meno rese sarebbe necessario aumentare il consumo di suolo, finendo di distruggere quel poco che resta dei sistemi naturali. Seguendo questa narrazione qualsiasi velleità di cambiamento è messa a tacere e il “business as usual” viene presentato come l’unico mondo possibile. Ma le cose stanno veramente così? Leggendo l’articolo “Strategies for feeding the world more sustainably with organic agriculture” pubblicato su Nature nel 2017, si capisce che il problema è più complesso e la questione andrebbe posta in un contesto più appropriato.

Gli autori, infatti, sostengono che la risposta si possa dare solo allargando l’orizzonte dalla produttività per ettaro ai sistemi alimentari e alle relative diete. Immaginare di avere domani il 100% di biologico senza cambiare i sistemi alimentari attuali non è sostenibile. Allo stesso modo mantenere tutto come adesso non è sostenibile. Se, però, riduciamo l’allevamento e dirottiamo cereali e legumi verso il consumo umano e non alla produzione di carne, in questo caso, numeri alla mano, il biologico potrebbe reggere la sfida senza aumentare le terre coltivate e, anzi, riducendo l’impatto dell’agricoltura sui sistemi naturali. Inoltre, dicono gli autori, bisogna considerare lo spreco alimentare, inaccettabile ai livelli attuali.

17%: è la produzione mondiale di cibo sprecata. Il 60% dello spreso avviene nelle nostre case (Fonte: Unep, 2021)

Non ha senso spingere a produrre di più, pompando chimicamente la nostra agricoltura e inquinando l’ambiente, se poi una parte di quello che si produce viene gettato. Quindi le diverse agricolture biologiche possono sfamare il mondo e al contempo ridurre l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente solo se ridurremo il consumo di carne e lo spreco alimentare, e cominceremo a mangiare più legumi. Quanto sia urgente incidere sulla quantità di cibo che ogni anno buttiamo lo conferma il rapporto “Food Waste Index 2021” pubblicato a marzo dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep).

I numeri sono impressionanti: il 17% della produzione mondiale di cibo viene sprecata, circa 931 milioni di tonnellate. In Italia si stima uno spreco pari a 67 chilogrammi di cibo all’anno per persona. I dati dell’Unep raccontano anche che lo spreco non è uguale lungo la catena alimentare: circa il 60% avviene a livello familiare, il 26% a livello dell’industria agroalimentare e il 13% alla vendita. E qui la responsabilità torna a noi cittadini. Infatti cambiare regime alimentare riducendo le proteine animali e programmare meglio la propria spesa per ridurre il cibo comprato e poi buttato sono tutte scelte individuali o familiari per le quali ognuno di noi ha una parte di responsabilità. Ecco che rispondere alla domanda iniziale significa aprire e non chiudere il dibattito.

Sarà possibile produrre a sufficienza per tutti solo se cambieremo dal profondo i nostri modelli di produzione e consumo, rendendoli più sostenibili, equi e salutari. E, soprattutto, se smetteremo di pensare a un’unica soluzione semplice e tecnologica. Perché, purtroppo, non esiste. Nemmeno il biologico, infatti, può essere la risposta se non si interviene in maniera olistica e integrata sul sistema di produzione e consumo.

Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola

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