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Ambiente / Opinioni

A caccia di anidride carbonica per salvare il Pianeta

Rottamare l’economia fossile non è sufficiente. Occorre catturare il gas serra in quantità. Ma non sappiamo ancora come farlo. La rubrica “Il clima è (già) cambiato” a cura di Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 194 — Giugno 2017
© WWF France

Per chi giustamente ha festeggiato l’approvazione dell’Accordo di Parigi da parte di 194 capi di governo, e la ratifica da parte già di 140 Stati, potrebbe essere utile avere chiaro quanto grande sia lo sforzo per poter metterlo in pratica. Chi analizza i numeri in gioco spesso conclude che per raggiungere l’ambizioso obiettivo dell’Accordo -limitare l’aumento medio della temperatura globale “ben al di sotto dei 2° C”- è necessario azzerare in 30 o 40 anni le emissioni mondiali dei gas serra. È vero, ma non è tutto. Quando sarà stato rottamato il sistema energetico fossile saremo circa a metà del lavoro, dello sforzo. L’altra metà è quella di sottrarre dall’atmosfera quella parte di anidride carbonica emessa dalle attività umane e che è incompatibile con quei livelli di temperatura.

I climatologi dicono che non è una cosa così difficile da valutare, perché c’è un legame sostanzialmente lineare fra la quantità cumulata di anidride carbonica (CO2, il principale dei gas climalteranti) emessa nell’atmosfera e le temperature medie globali. Per cui se si fissa un livello di stabilizzazione delle temperature globali, ad esempio +1,5° C rispetto ai livelli pre-industriali, c’è una quantità fissa di CO2 che si può emettere. Se si eccede il limite, bisogna togliere quella in eccesso.

800: i miliardi di tonnellate di CO2 che sarà necessario rimuovere dall’atmosfera nei prossimi decenni se si vuole limitare il riscaldamento globale ai livelli ambiziosi approvati con l’Accordo di Parigi

Anche nell’ipotesi di una traiettoria molto rapida di riduzione delle emissioni nei prossimi decenni, la quantità di CO2 che sarà necessario togliere è enorme: uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Climate Change” ha indicato una cifra di 800 miliardi di tonnellate di CO2 da rimuovere dal 2020 al 2100 se ci si vuole fermare a +1,5° C. Per avere un’idea si pensi che le emissioni mondiali di CO2 sono circa pari a 36 miliardi all’anno, quindi lo sforzo che ci sarà da fare è quello di riprendersi l’equivalente di 22 anni delle attuali emissioni, come “emissioni negative”.

Questa quantità di CO2 da catturare è molto superiore a quello che potrebbero assorbire le foreste e i suoli del Pianeta, dopo che si sarà fermata la deforestazione. E non solo perché molte aree un tempo forestate sono utilizzate per le città, per le strade o per i terreni agricoli necessari per sfamare 7 miliardi di persone. La sfida è quindi quella di trovare un modo di prendere la CO2 già dispersa nell’aria con qualche meccanismo chimico-fisico: ci sono diversi sistemi proposti, sperimentati in varie parti del mondo e oggetto di studio di grandi centri di ricerca pubblici e privati; ma per ora i costi economici ed energetici sono troppo alti. Dopo aver catturato la CO2 sarà necessario comprimerla e metterla da qualche parte: si sta studiando come metterla sottoterra, negli acquiferi salini o negli ex depositi di metano. Non è facile, bisogna essere sicuri che il deposito sia capiente e affidabile, che non rilasci nel tempo quella accumulata. Un’altra proposta è di comprimere la CO2 in capsule sigillate da accumulare sul fondo dei mari, ad un paio di chilometri di profondità, ma è ancora nella fase iniziale. Ci sono poi ricerche per riutilizzare la CO2 (ad esempio in manufatti o biocarburanti), ma le quantità che si potrebbero impiegare in questo modo non sono grandi.

Insomma, non abbiamo ancora in mano la tecnologia per realizzare l’altra metà dello sforzo che ci serve per limitare il riscaldamento globale come ci siamo impegnati a fare con l’Accordo di Parigi. Dobbiamo affidarci alla creatività e capacità di innovazione degli esseri umani.

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