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Altre Economie / Reportage

La Budapest che non ti aspetti, tra orti urbani, bici e partecipazione

L’Ungheria del premier Viktor Orban è “famosa” per le posizioni radicali sulle migrazioni, ma nella capitale è possibile scoprire quartieri solidali ed economie alternative. Viaggio a Wekerle, sobborgo “in transizione”: 11mila abitanti e 20 tra associazioni e comitati

Tratto da Altreconomia 186 — Ottobre 2016
Dori di Cargonomia durante una consegna di ceste di verdura a Budapest con bici cargo - © Sára Révai

Per arrivare a Wekerle si viaggia sull’unica linea di metro di Budapest che usa ancora traballanti carrozze sovietiche degli anni 70. Quando si sbuca in superficie, si è davanti a uno dei primi mega centri commerciali costruiti negli anni 90 con l’arrivo del capitalismo. Questi strati di storia coesistono in modo naturale, e quasi non ci si stupisce quando nella periferia della capitale ungherese ci si trova immersi in un’atmosfera da tranquillo paesino.

Wekerle è un progetto di edilizia sociale dell’inizio del Novecento: vennero costruiti 270 edifici in stile liberty e 650 casette con giardino, mentre negli spazi pubblici vennero piantati 50mila alberi. Ogni famiglia aveva diritto a quattro alberi da frutto e un servizio comunale di orticoltura era a disposizione dei residenti per consigli. Nei giardini privati del quartiere la quantità di orti è significativa, e si ha la sensazione che l’autoproduzione alimentare sia ancora un aspetto importante. “Un evento popolare qui a Wekerle è la ‘Fiera dei semi’: ogni primavera attira più di un centinaio di persone interessate a scambiare sementi. Ma l’associazione orticola che l’organizza, composta da una quindicina di membri fissi, si raduna per discutere di orticoltura tutto l’anno”, racconta Ágnes Lőrincz, che vive qui da un paio d’anni.


A Wekerle ogni famiglia aveva diritto a quattro alberi da frutto e un servizio comunale di orticoltura era a disposizione dei residenti per consigli

Wekerle è famoso per l’attiva partecipazione dei residenti alla vita del quartiere: in questo sobborgo di 11mila abitanti esistono una ventina di iniziative sociali e associazioni ambientaliste, tra queste anche un gruppo locale del “Movimento di transizione”, il progetto nato in Inghilterra con l’idea di preparare le comunità locali a un futuro senza petrolio. Con questo gruppo Lőrincz sta cercando di modificare le regole che impediscono l’installazione di pannelli fotovoltaici: “Dal 2012 Wekerle è un sito protetto, con una serie di regole architettoniche stringenti: siamo in contatto con l’associazione locale degli architetti e con le istituzioni per lavorare a un nuovo piano regolatore che ne renda possibile l’installazione a partire dal 2017. Abbiamo già una lista di settanta famiglie potenzialmente interessate a un gruppo di acquisto di pannelli fotovoltaici”.


Kati e Katika sono due signore di Zsámbok. Lavorano nella fattoria tre volte alla settimana – © Alessandro Pilo

Il distretto a cui Wekerle fa riferimento è uno dei pochi in città a non essere amministrato dal partito al governo del premier Viktor Orbán e ad avere un sindaco di quartiere socialista. Varie organizzazioni collaborano con le autorità locali, ma Gabriella Schneider, un’altra residente impegnata col gruppo di Transizione, ammette che è un tema delicato: “Se lavori come associazione od organizzazione con il sindaco di un determinato colore, poi è probabile che riceverai una ‘etichetta politica’ e verrai giudicato a priori. Il che può renderti la vita davvero difficile in caso di cambi d’amministrazione”.

Se Wekerle è un angolo di Budapest poco noto agli stranieri, il settimo distretto ne è forse il lato più noto. Fino alla fine degli anni 90 era il degradato ex quartiere ebraico, oggi è il centro della vita culturale, grazie soprattutto al diffondersi dei ruin pub, locali realizzati all’interno di edifici cadenti e arredati da artisti budapestini con materiali riciclati, per esempio trasformando vecchie Trabant in sedie e tavolini. Szimpla è il primo spazio di questo genere sorto in città all’inizio del 2000 e il più famoso: nel 2012 è stato giudicato dalla guida Lonely Planet il terzo miglior club al mondo. Szimpla è ormai un’attrazione turistica, e l’80 per cento degli avventori serali sono stranieri, eppure il locale continua a funzionare da centro sociale di quartiere. Dal 2012 un mercato contadino che si svolge nel cortile ogni domenica mattina dalle 9 alle 14. I produttori locali sono tra i 30 e i 40, mentre in media i clienti oscillano tra i 1.500 e i 2mila. In modo da autofinanziarsi, ogni domenica una diversa organizzazione o collettivo cittadino prepara un pranzo da offrire dietro donazione: in quattro anni sono stati raccolti quasi 50mila euro.

L’Ungheria è uno stato sempre più al centro dell’attenzione mediatica per via del suo governo ultra-conservatore e dentro Szimpla è possibile farsi un’idea articolata della situazione politica nazionale grazie a dibattiti ed eventi, per esempio quelli della “Biblioteca vivente Kazinczy”. Una volta al mese tra le venti e le quaranta persone appartenenti ai gruppi sociali più discriminati nella società ungherese vengono invitate per raccontare le loro storie. Come fossero dei libri viventi. La “Biblioteca vivente Kazinczy” ha ospitato in passato una quarantina di libri viventi senza tetto, rom e LGBT. In occasione del referendum del 2 ottobre che ha chiesto agli ungheresi se accettare o meno il sistema delle quote di rifugiati deciso dall’Unione Europea, è stata organizzata una sessione speciale in cui i testi viventi sono stati immigrati e rifugiati residenti nel Paese.

Budapest ha una lunga tradizione di città ciclabile, dimostrata anche dalla famosa Critical Mass locale che attira ogni anno più di 50mila partecipanti. Cargonomia, una delle più recenti iniziative, ha le radici in questa sottocultura, e sta provando a portare in città un modello economico inedito: “Un anno e mezzo fa la compagnia di bike messenger Kanta si è interessata alle potenzialità delle bici cargo. La ciclofficina Cyclonomia, invece, cercava un modo di tirare avanti, magari producendo e vendendo bici cargo, e l’azienda agricola biodinamica Zsambok biokert, che si trova a cinquanta chilometri da Budapest, voleva sviluppare un sistema di ceste”, racconta Vincent Liegey, ricercatore e uno dei fondatori del progetto. Nasce l’idea di collaborare portando in città ogni giovedì delle ceste di verdura distribuite da bike messenger su bici cargo realizzate ad hoc. Grazie a un progetto di riutilizzo degli spazi cittadini inutilizzati, da un anno Cargonomia ha sede dentro un’autofficina abbandonata di 80 metri quadri. Una parte dello spazio è attualmente utilizzata da Kanta, l’altra ospita attività conviviali e laboratori legati alla condivisione dei saperi. Ogni mese viene organizzato un Repair café, un evento che permette d’imparare a riparare piccoli elettrodomestici non funzionanti, a cui partecipano tra le 15 e le 50 persone. Inoltre da Cargonomia è possibile affittare bici cargo di vario tipo per traslochi e trasporti fino a 200 chili.

Il progetto sperimenta nuove forme di cooperazione economica basate sul dono. Chi ha bisogno di una bici cargo o vuole ordinare una cesta di verdura ma non ha soldi per pagarle, può offrire qualcosa che non sia denaro, una competenza specifica o il suo tempo. “Si basa tutto sulla fiducia, senza una moneta locale o senza contabilizzare gli scambi: vogliamo provare a sviluppare un’economia basata sul dare, ricevere e ricambiare”, spiega Liegey. Questo atteggiamento è evidente anche quando si parla delle ceste distribuite settimanalmente: “Non ci piace misurare il successo di Cargonomia dal volume d’affari. Il livello d’interazione e convivialità tra le persone che sono venute a ritirare le verdure ci sembra un indicatore più adeguato”. Ogni giovedì pomeriggio Cargonomia consegna dalle 3 alle 10 ceste in bici mentre dentro i loro spazi ne vengono ritirate tra le 10 e le 40. L’obiettivo è stabilizzarsi su 50 ceste dentro Cargonomia e 20 consegnate in bici. “Non c’interessa crescere ulteriormente, quando arriveremo a quei numeri ci piacerebbe aiutare a creare altre piccole realtà indipendenti in altre parti della città, magari con altri nomi e altre anime”.

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