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Economia / Inchiesta

Bolletta della luce e mercati elettrici, i conti che non tornano

La centrale termoelettrica Enel “Federico II” di Brindisi. Ad aprile, Enel avrebbe incassato con questo impianto 28,7 milioni di euro - www.flickr.com/photos/enelsharing/

I “costi di dispacciamento” sono una parte rilevante del prezzo finale dell’energia elettrica nel nostro Paese. Diverse indagini, anche parlamentari, puntano ad accertare se è avvenuta una manipolazione del comparto

Tratto da Altreconomia 185 — Settembre 2016

In ogni bolletta dell’energia elettrica c’è una voce che dice “costi di dispacciamento”. Insieme al prezzo dell’energia, rappresenta in percentuale la componente più importante della nostra spesa, il 36,23%. Se il significato di “prezzo dell’energia” è facilmente intuibile, però, capire che cosa sia il “dispacciamento” è più complicato. Possiamo partire dalle nostre case: se accendiamo contemporaneamente il forno, la lavatrice e il condizionatore, è probabile che salti la corrente, che ci sia un piccolo black-out.


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Quando la potenza richiesta supera quella impegnata (3 kiloWatt, in media, per le utenza domestiche), cioè, il sistema c’invita a ridurre i consumi, perché se tutti facessero come noi il sistema rischierebbe di perdere il suo equilibrio, quello per cui in ogni istante produzione e consumo di energia elettrica devono essere pari. Anche quando la domanda complessiva tocca un picco, com’è successo il 21 luglio dello scorso anno, con una richiesta di 57.287 MW alle 15.15. A differenza delle nostre case, però, su scala nazionale il gestore della rete di trasmissione elettrica, che è Terna, non può permettersi “che vada via la corrente”, e i “costi di dispacciamento” sono quelli che la società -quotata in Borsa e controllata con il 29,85% delle azioni da CDP Reti, a sua volta partecipata da Cassa depositi e prestiti e da State Grid Corporation of China- sostiene per garantire l’equilibro in ogni momento.
L’ambito in cui Terna interviene è uno dei tre che compongono il mercato elettrico (www.mercatoelettrico.org), l’MSD, o “Mercato del servizio di dispacciamento”. Per prevenire un eventuale sbilanciamento, che potrebbe risultare dalle dinamiche di domanda e offerta che risultano dal Mercato del giorno prima (MGP) e dal Mercato infragiornaliero (MI), l’azienda “chiama” alcuni impianti -centrali termoelettriche alimentate a gas o a carbone- perché entrino in produzione, e per ogni megawattora riconosce loro un corrispettivo, quello che chiedono, anche dieci volte più alto rispetto al prezzo di mercato. E questo per evitare una potenziale emergenza. Nel mese di aprile, ad esempio, a Sorgenia, società controllata dai principali gruppi bancari del Paese (Mps, 22%, Ubi, 18%, Banco Popolare, 11,5%, Intesa e Unicredit, 9,8%, e Bpm, 9%) e presieduta da Chicco Testa, sono stati riconosciuti in media 352,1 euro/MWh per produrre in tutto 77.794 MWh nella centrale a ciclo combinato di Modugno (BR). Il prezzo medio, sul Mercato del giorno prima, è stato di 32,3 euro/MWh.

Secondo i calcoli del Coordinamento consorzi, un organismo di Confindustria nato per “aggregare” la domanda elettrica di circa 3mila piccole e medi imprese, quello che per primo ha denunciato gli extra-costi insieme al senatore del Movimento 5 Stelle Gianni Girotto, l’azienda avrebbe ricavato in un mese quasi 25 milioni di euro in più rispetto al valore medio di mercato dell’energia elettrica.

Nello stesso periodo, Enel avrebbe incassato oltre 28,7 milioni di euro partecipando al mercato del dispacciamento con la propria centrale a carbone di Brindisi, e ben 33,4 milioni di extra-ricavi sarebbero stati appannaggio di EP produzione, la società del gruppo ceco EPH che è subentrata a E.on nel controllo dell’impianto sardo di Fiumesanto, un’altra centrale a carbone. Nel solo mese di aprile, il Mercato dei servizi di dispacciamento (MSD) avrebbe visto extra-costi pari a circa 230 milioni di euro. “Noi siamo preoccupati per le bollette delle imprese, perché un aumento del costo dell’energia elettrica comporta un gap di competitività” spiega ad Altreconomia Marco Bruseschi, presidente del Consorzio Friuli Energia e del Coordinamento dei consorzi.

Secondo l’Autorità per l’energia elettrica si sarebbero verificate delle “condotte anomale sul piano della concorrenza”. La pratica è stata inviata all’Antitrust

Il problema di bollette più care, però, riguarda da vicino ogni singolo utente: quando il 28 giugno 2016, l’Autorità per l’energia elettrica ha annunciato che a luglio, agosto e settembre ogni kilowattora ci sarebbe costato 18,67 centesimi di euro, il 4,3% in più rispetto al secondo trimestre del 2016, ha spiegato che l’aumento era essenzialmente dovuto agli extra-costi sostenuti per il “dispacciamento”. Che sarebbero pari a 745 milioni di euro, cioè alla differenza tra i “costi di dispacciamento” sostenuti nei primi sei mesi del 2016 e lo stesso semestre nell’anno precedente: questa stima complessiva l’ha offerta Alberto Biancardi, componente dell’Autorità per l’energia elettrica, che il 13 luglio 2016 è stato audito dalla X commissione del Senato, “Industria, commercio e turismo”, e l’ha confermata sei giorni più tardi di fronte agli stessi senatori Pier Francesco Zanuzzi, amministratore delegato di Terna Rete Italia. Entrambi sono stati convocati nell’ambito di un’indagine conoscitiva sui prezzi dell’energia elettrica. Sul sito del Senato (www.senato.it) è disponibile un riassunto delle due audizioni, mentre i documenti elaborati e consegnati -spiega Terna- sono tutti secretati.

Ci sono indagini in corso, e non solo quella della commissione parlamentare: per questo né l’Autorità né Terna hanno accettato di rispondere alle nostre domande. Qualcuno -tra i produttori di energia elettrica- potrebbe aver abusato del dispacciamento, come sottolinea un procedimento avviato a fine giugno dall’Autorità per l’energia elettrica, che sottolinea anche le eventuali “condotte anomale sul piano della concorrenza”, e per questo ha inoltrato tutta la documentazione all’Antitrust.

Le due parole che spiegano queste anomalie, e tornano più volte nella delibera 342/2016/E/EEL con cui l’Autorità per l’energia elettrica ha dato il “la” al procedimento, sono sovraprogrammazione e sottoprogrammazione. È come se alcune aziende avessero creato le condizioni per “uscire” dal Mercato del giorno prima (MGP) e dal Mercato infragiornaliero (MI), che si chiudono alle 15.30 del giorno precedente a quello in cui l’energia viene prodotto e messa a disposizione dei clienti finali, in una condizione di disequilibrio, obbligando Terna ad intervenire per non rischiare un black-out.

Il 20 luglio 2016 il Tribunale amministrativo della Lombardia ha disposto il “congelamento”, fino al 15 settembre, dell’aumento del costo dell’elettricità

Secondo Davide Tabarelli, professore a contratto alla Scuola di Ingegneria e Architettura dell’Università di Bologna, e presidente di Nomisma Energia, società di ricerca indipendente sull’economia dell’energia e dell’ambiente, “l’equilibrio costante tra energia prodotta e consumata, cioè i due elementi del mercato, rende ‘impossibile’ il mercato dell’energia elettrica. Che non è un bene come gli altri, perché due entità diverse, domanda e offerta non esistono”. Secondo Tabarelli, “possiamo dire che le riforme, la liberalizzazione avviata nel 1999, sono sostanzialmente fallite”. Il presidente di Nomisma Energia definisce “soluzione ardita” la tripartizione del mercato, ed è convinto che serva un intervento del regolatore -l’Autorità- a fronte della crescente complessità del sistema elettrico. Il “mercato”, insomma, deve sapersi adattare alla realtà di una “generazione distribuita”, con la presenza di 657mila piccoli impianti di produzione, l’80 per cento dei quali alimentati da fonti rinnovabili, che oggi sommano un quarto della potenza installata a livello nazionale. La caratteristica di questi impianti -in particolare per il fotovoltaico e l’eolico- è però la non programmabilità. Basti pensare che contribuiscono per circa il 23% alla produzione nazionale totale, ma in momenti di picco (come il 25 aprile 2016) arrivano a coprire il 63 per cento della domanda su base giornaliera. “Si deve tornare a fissare i prezzi in anticipo, come già avviene in Gran Bretagna”.

Intanto il 20 luglio 2016 il Tar della Lombardia ha “congelato”, fino al 15 settembre, l’aumento del costo dell’elettricità: accogliendo un ricorso del Codacons, il tribunale amministrativo ha bloccato per alcuni mesi gli effetti della delibera di fine giugno sulle tariffe (l’Avvocatura dello Stato per conto dell’Autorità per l’energia elettrica ha comunque presentato un’istanza di revoca). Entro il 24 agosto dovrebbe essersi conclusa l’indagine dell’Autorità. Se davvero venisse provata una “manipolazione del mercato” -spiega il Tar- perché farla pagare agli utenti?

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