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Opinioni

Biologico non è solo business

La truffa sui prodotti certificati, scoperta a dicembre dalla Guardia di finanza, interroga produttori e consumatori. Il mercato del “bio” soffre di un virus legato alla ricerca di profitto. Ecco alcuni possibili anticorpi

Tratto da Altreconomia 134 — Gennaio 2012

Parecchi anni fa l’amico Luigi Veronelli, uno dei più grandi sommelier italiani, che ha saputo e voluto promuovere i  grandi vini sconosciuti del nostro territorio, valorizzando con il prodotto le storie umane ed ambientali, coniò un bel termine: “Ecofurbi”. È quanto mai attuale, dopo che i giornali hanno dato notizia dello scandalo nel settore dei prodotti biologici denominato “Gatto con gli Stivali”, una truffa scoperta dai militari della Guardia di finanza di Verona, con un’indagine durata un paio di anni che ha portato al sequestro di circa 700mila tonnellate di prodotti alimentari e zootecnici certificati biologici ma che biologici non sono.
Sono state arrestate sei persone nelle città di Foggia, Ferrara, Pesaro, Urbino e Verona. È molto importante che la magistratura abbia scoperto questa truffa ed abbia arrestato i diretti responsabili, sequestrando 2.500 tonnellate di frutta fresca, frumento tenero, soia, favino e mais, che sarebbero finiti sulle nostre tavole, o nei mangimi degli allevamenti biologici (soia, favino e mais). In questa vicenda, i veri truffati siamo noi consumatori.

Mi chiedo, così, che cosa possiamo fare come produttori biologici e biodinamici che da anni lavorano seriamente, che cosa possiamo fare come consumatori di alimenti biologici? Prima di tutto, serve una riflessione: alle responsabilità dirette delle ditte coinvolte e degli arresati, si associano quelle indirette di tutti coloro che vogliono fare del settore biologico un settore di grande speculazione. Le aziende coinvolte erano probabilmente consapevoli di ciò che stavano facendo. Nessuna etica ha condotto l’agire di questi soggetti, solo il business. Quando si lavora solo per il profitto, senza valorizzare le strutture della filiera, anche in termine di relazioni, si creano le condizioni ideali per la truffa. Con questo non voglio affermare che l’etica, da sola, garantisce il prodotto, ma che nemmeno sono sufficienti le sole certificazioni, che pure sono indispensabili, o il business “buono”. Servono: etica, tracciabilità reale, controllo territoriale, certificazione biologica con  controlli costanti del ministero dell’Agricoltura e della Salute. È evidente che il personale deputato ai controlli deve avere una formazione tecnico/professionale molto alta, ma in egual misura un’etica ed un codice deontologico riconosciuto.
Inoltre la certificazione e il controllo dovrebbero essere eseguito dallo Stato, togliendo l’anomalia del rapporto ora esistente fra controllore e controllato.
I soggetti che hanno responsabilità indirette sono tutti quelli che fanno delle attività di distribuzione di prodotti biologici lo scopo di un pur legittimo profitto, ma che per averne sempre di più schiacciano i produttori di tutto il mondo, alla ricerca di prodotti certificati che costino sempre meno. Sfruttando i produttori dei Paesi considerati terzo mondo, costringono anche i produttori italiani a lavorare sottocosto, al limite o al margine delle regole.
Dentro questa truffa possiamo leggere con chiarezza come il modello economico, e la mancanza di etica, siano elementi scatenanti per le truffe, anche in un settore come quello del biologico che molti sono portati a ritenere inattaccabile.
È evidente che ad essere sbagliato è il modello economico predominate, ma non si può pretendere a priori che un prodotto buono, sano e certificato biologico costi sempre meno, e soprattutto che tutta la filiera di produzione e trasformazione sia schiacciata dalla logica del profitto finale, ottenuto sulle spalle dei produttori e dalle tasche dei consumatori, senza distribuzione della ricchezza prodotta a tutti gli attori della filiera.

Quindi, ringrazio la Guardia di finanza, che ha scoperto e reso pubblica questa truffa, salvaguardando l’ottimo lavoro di molti contadini e produttori biologici e biodinamici che da decenni lavorano con serietà, professionalità e trasparenza per fornire al consumatore un prodotto certificato e garantito, ma anche portatore di relazioni, valorizzazione dei  territori e salvaguardia dell’ambiente.

Tento, infine, di suggerire alcune indicazioni che garantirebbero chi produce e consuma biologico:
1. il controllo e la certificazione sia eseguita da organi pubblici, eliminando il rapporto fra controllore (ente certificatore) e controllato (produttore certificato);
2. inserire nella certificazione parametri etici come le condizioni di lavoro, in Italia e all’ estero; 3. creare una commissione nazionale che in base a reali costi produttivi indichi il prezzo minimo del prodotto biologico o biodinamico. Perché se non sapremo dare il giusto valore economico e sociale al lavoro del contadino, nel settore si infileranno facilmente gli Ecofurbi. Cosi è già stato, e cosi sarà ancora. —

Maurizio Gritta, contadino, è fondatore di Iris, società cooperativa agricola di produzione e lavoro (
www.irisbio.com)
 

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