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Esteri / Reportage

La resistenza invisibile dei “riciclatori” di Bogotà

In Colombia, il 60% dei lavoratori non ha un contratto. Tra questi ci sono anche i “recicladores” del Barrio Ramirez, quartiere sorto nella capitale dopo le occupazioni condotte da chi non si può permettere un affitto. Il gruppo dei Los Piratas de Ramirez opera per far uscire dal ghetto questo pezzo di città

Una vista su Bogotà dal Barrio Ramirez - © Federico Annibale

“Ho sempre vissuto in questa zona di Bogotà -racconta Jonathan davanti a un piatto di riso e pasta scotta -ma non conoscevo questa parte. Il barrio Ramirez vive uno stato d’invisibilità. Venimmo con mia moglie Maryory perché sapevamo che vendevano per tre milioni di pesos (circa 830 euro, ndr) un pezzo di terra; e che c’era dunque la possibilità di costruirci la nostra casa e vivere senza pagare affitto” conclude. Il quartiere Ramirez è un cosiddetto “barrio d’invasiones” che sorge alle pendici della cordigliera orientale, situandosi nel Centro-Sud della citta di Bogotà. Qui la legalità è un concetto lontano. Le 400 persone circa che vivono nelle case-baracca di questo quartiere non sono proprietarie dello stabile, non pagano elettricità o acqua, i servizi sono minimi e lo stato sociale è poco presente. “Quando due anni fa decidemmo di venire a vivere qui non avevamo altra scelta. Non avevamo i soldi per pagare affitto e dunque l’unica alternativa era occupare illegalmente e trasferirsi in un barrio d’invasiones” spiega Jonathan. Se si considera che più del 20% della superficie urbana di Bogotà è composta da questi quartieri illegali, è evidente come la questione della casa sia preminente in Colombia e nella sua capitale da 9 milioni di abitanti.

Una parte della popolazione non riesce a guadagnare a sufficienza per poter vivere all’interno dei confini legali. La casa, che dovrebbe essere un diritto, in uno Stato come la Colombia non è alla portata di centinaia di migliaia di cittadini. Così, molte persone si sono prese ciò che il lavoro non riusciva a dargli. La genesi di questi quartieri ha diverse cause. Una di queste è la quota elevata di “lavoro nero” in Colombia. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), infatti, il 60% circa dei lavoratori colombiani non ha un contratto. Nelle città la percentuale “scende” al 50%, rimanendo comunque altissima. Lavorando per stipendi bassissimi, senza alcuna protezione sociale, la casa diventa un bene di lusso per gran parte della collettività.

“Di mestiere faccio il riciclatore, come la stragrande maggioranza della gente che vive qua a Ramirez”, racconta Salado dentro la sua casa costruita con pezzi di legno usati, lamiere sbeccate e tavole consumate. Sono tutte cose che Salado, come il resto dei riciclatori, trova quando va in giro per la città rovistando nella spazzatura. “Per noi, ciò che per gli altri è spazzatura, diventa un tesoro”, continua. Legno, metalli, vetro, alluminio sono tutti materiali che se trovati nei bidoni della spazzatura, possono essere rivenduti sul mercato. “Al mese il massimo che riesco a fare sono 550.000 pesos, non sufficienti per pagare un affitto. Così sono venuto qui, sette anni fa. Al tempo non pagava nessuno, prendevi un pezzetto di terra e iniziavi a costruirti la casa” dice Salado. Non è un caso che la quasi totalità degli abitanti del barrio Ramirez sia composta da riciclatori. Persone che lavorano tanto, senza contratto, ai quali la città “legale” è preclusa.

“Per me lavorare in questo campo è come aiutare il Pianeta. Il riciclo migliora la qualità della nostra vita, genera lavoro e trasmette valori”. Afferma con convinzione il riciclatore di Ramirez. Salado è un uomo di 40 anni con due figli, la figlia vive e studia in Germania. “Sono stato in prigione varie volte. L’ultima due anni fa. So che cosa significa vivere in strada, drogarsi, derubare un turista nel centro di Bogotà. Sono tutte cose che ho fatto. Adesso però basta, ho un figlio che sta crescendo con me. E dobbiamo dare un esempio in questo quartiere per risollevarci” conclude il leader di questa comunità “d’invasori”. Fa parte di un progetto, Los Piratas de Ramirez, attraverso il quale volontari di Bogotà o di altre nazionalità, tutti i sabati vengono nel quartiere per aiutare i suoi abitanti ad essere inclusi nel tessuto sociale della città. Portano avanti alcune attività con i bambini del barrio, oppure aiutano i giovani del quartiere che vogliono continuare a studiare all’università a scegliere la facoltà giusta. Salado è parte attiva del progetto. “Molte cose sono cambiate con l’arrivo dei Pirati. Il tentativo di creare uno spazio che non fosse solo un ricettacolo di spazzatura è stato per me molto motivante. Ora mi sento orgoglioso di essere parte di questo quartiere. L’idea è di lasciare un messaggio ai bambini. Farli riflettere”.

Nel libro Ciudad Urbana. Barrio construido por la gente, Carlos Tovar, ha analizzato il problema della casa nelle città colombiane. Il professore di architettura e urbanistica della Universidad Nacional di Bogotà chiarisce che se esistono interi quartieri sorti illegalmente, questo è determinato da una mancanza di programmi di edilizia popolare accessibili, dall’eccessivo costo della terra nelle città e da investimenti pubblici per infrastrutture urbane inadeguati. Gli assembramenti di case informali sono figli di condizioni storiche anomale causate da una totale assenza di soluzioni istituzionali o legali; vivere in queste zone delle città non è una scelta. Bogotà è la città dove il fenomeno dei “barrio d’invasiones” è più evidente: da Nord a Sud, casette in lamiera attaccate l’una all’altra, alcune prive di qualunque tipo di servizio o acqua corrente, si perdono a vista d’occhio, arrampicandosi sui monti che cingono la capitale. Così si è creata una città caotica -con un piano urbanistico attutato solo in alcune parti-, congestionata e con aree in cui la criminalità è forte, pervasiva, ghettizzante.

Bogotà nel 1973 aveva una superficie urbana di 13.985 ettari. Nel 2003 è più che raddoppiata, arrivando a 32.000. Questo aumento è dovuto a una serie di fattori: i bassi livelli di produttività agraria, la carenza di servizi alla salute e all’educazione nelle zone rurali, una crescente domanda di lavoro urbano e la violenza nelle campagne a causa del conflitto armato, hanno determinato un processo migratorio significativo verso le città. Questa massa di gente giunta nella capitale, non vedendosi protetta da alcuno Stato sociale, si è caoticamente costruita la propria casa. Nel quartiere Ramirez c’è anche un refettorio francescano dove ogni giorno viene preparato il pranzo a più di 250 bambini del barrio. “I problemi in questo quartiere sono diversi. Droga, criminalità, un’educazione scolastica pessima, rendono difficile l’emersione delle nuove generazioni. Così i figli finiscono a fare lo stesso lavoro dei padri”, racconta Giovanni Caro, missionario francescano responsabile di questo refettorio.

La cuoca di questa mensa francescana è una rifugiata interna colombiana che con tutta la famiglia è scappata dalla regione di Antiochia (Centro-Nord del Paese), a causa del conflitto politico armato. Persone che vivevano nelle strade, poveri, sfollati, tossicodipendenti, trovano tutti rifugio in questi quartieri. Qui dove lo Stato si vede cinque volte al giorno, con due poliziotti che attraversano in moto la strada sterrata del quartiere. Controllare l’ordine, evitando di combattere le ragioni sociali che creano il disordine, la tossicodipendenza, la delinquenza. “Noi qui la autorità la vediamo solo quando si tratta di arrestare, o reprimere” spiega Jonathan. “Ci sentiamo completamente abbandonati”.
Jonathan, come Salado e come molti altri abitanti del barrio Ramirez, ammette che prima o poi intende lasciare il quartiere. Sono zone della città dove emergere è più difficile. Pur esistendo uno spirito di comunità, la situazione di estrema marginalità socio-economica delle persone produce violenza. E le persone hanno paura della violenza.

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