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I beni confiscati alle mafie colpiscono i simboli del potere dei boss

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Recuperati, sono usati per finalità di sviluppo sociale e istituzionale. Un lavoro necessario che impoverisce i sistemi. La rubrica di Pierpaolo Romani (Avviso Pubblico)

Tratto da Altreconomia 231 — Novembre 2020

I mafiosi dispongono di molto denaro che accumulano, soprattutto, con il traffico e lo spaccio di droga. Non esistono dati precisi sul fatturato di quella che qualcuno ha definito “Mafia Spa”, paragonando le organizzazioni mafiose alle imprese, poiché l’operare nei mercati illeciti e criminali implica la necessità di agire con un elevato grado di segretezza evitando di lasciare tracce che potrebbero trasformarsi in prove per magistrati e investigatori.

Una parte del cosiddetto “denaro sporco” viene investito dai boss nell’economia legale acquistando case, palazzi, fabbricati, terreni e aziende (beni immobili e aziendali) oppure comprando azioni, obbligazioni e titoli di Stato (beni mobili). I mafiosi, purtroppo, riescono a riciclare i loro capitali illeciti grazie all’aiuto di imprenditori, politici, commercialisti, avvocati, notai, banchieri e bancari che offrono i loro servizi in cambio del pagamento di tangenti o di ricche parcelle.

La legge italiana prevede che ai mafiosi si possano confiscare, ossia togliere definitivamente, i beni e le aziende che essi hanno acquisito attraverso il riciclaggio di denaro. Grazie a una legge di iniziativa popolare voluta fortemente dall’associazione Libera -la legge 109 del 1996- è previsto che questi beni e queste aziende possano essere utilizzati per “finalità sociali e istituzionali” o di “sviluppo”. Questo significa, ad esempio, che alcuni terreni sono stati dati in gestione a cooperative di giovani che in questo modo possono lavorare e vivere nel territorio in cui sono nati, soprattutto nel Sud d’Italia; che alcune case sono state date a famiglie disagiate e che alcuni palazzi sono diventati sedi per le forze di polizia; che alcune aziende hanno cominciato a lavorare nella piena legalità rispettando l’ambiente e garantendo i diritti previsti dalla legge ai lavoratori.

34.776 sono i beni immobili confiscati alle mafie. A questi vanno aggiunte 4.190 aziende (Fonte: ANBSC, ottobre 2020)

I dati pubblicati a ottobre dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati sono i seguenti: 34.776 beni immobili di cui 16.446 già destinati per uso sociale o istituzionale; 4.190 aziende di cui 1.317 già destinate e avviate a una ripartenza nel segno della legalità.

L’Agenzia ha pubblicato di recente un bando che prevede la possibilità di assegnare direttamente, ossia senza il tramite degli enti locali, questi beni agli enti del Terzo settore. Si tratta di un’innovazione significativa che, tuttavia, secondo diverse associazioni, necessita di essere sostenuta con uno stanziamento di ingenti risorse. Dalle colonne di Avvenire, Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, ha chiesto al governo di stanziare 200 milioni di euro finalizzati a sistemare e a rendere utilizzabili i beni confiscati. Questi fondi possono essere attinti dal Fondo unico giustizia, dove finiscono anche soldi o titoli confiscati alle organizzazioni criminali, oltre che, secondo altre associazioni, dal Fondo sviluppo e coesione -da cui si è attinto per finanziare i primi interventi di valorizzazione sociale dei beni confiscati in attuazione della Strategia nazionale approvata due anni fa-.

I beni e le aziende confiscate devono essere assolutamente utilizzati laddove ci siano le condizioni poiché essi non hanno soltanto un valore economico ma anche un forte valore simbolico: rappresentano visivamente il potere dei boss. Impoverire i mafiosi è un’azione fondamentale, come ci ha insegnato Pio La Torre. Un concetto ribadito dalla Commissione parlamentare antimafia nel 1994 che affermava che “un mafioso senza ricchezze è come un re senza scettro”.

Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie

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