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Ambiente

Bangladesh. Tre morti valgon bene una miniera

Wikileaks può non essere solamente una fonte di pettegolezzi sul nostro premier o sull’idiosincrasia di Massimo d’Alema verso la magistratura nostrana. E’ un oceano di informazioni nel quale perdersi per ritrovare i fili di una diplomazia di un altro mondo,…

Wikileaks può non essere solamente una fonte di pettegolezzi sul nostro premier o sull’idiosincrasia di Massimo d’Alema verso la magistratura nostrana. E’ un oceano di informazioni nel quale perdersi per ritrovare i fili di una diplomazia di un altro mondo, quello che non vediamo.
Tra i cablati svelati dalla rete di Julian Assange e pubblicati dal Guardian ce ne sono alcuni che mostrano le pressioni che gli Stati Uniti fecero sul Governo del Bangladesh per la riapertura di una miniera di carbone a cielo aperto dove, il 26 agosto 2006, trovarono la morte tre persone e centinaia furono ferite dall’esercito bengalese durante manifestazioni di massa pacifiche contro il progetto estrattivo.
Si chiamavano Salekin, Tariqul ed Amin, ed avevano rispettivamente 20, 21 e 13 anni.
Secondo l’Ambasciatore statunitense a Dhaka James Moriarty su una comunicazione del luglio 2009 chiariva come "la riapertura della miniera" e l’autorizzazione del suo sfruttamento all’impresa inglese Global Coal Management PLC fosse "il modo migliore per procedere".
Filantropia? In realtà sul cablogramma, Moriarty annota come "Asia Energy, la compagnia dietro al progetto Phulbari, è al 60% un investimento statunitense. Fonti di Asia Energy hanno detto all’Ambasciatore di essere cautamente ottimisti che il progetto guadagnerà l’approvazione governativa nei mesi a venire".
La Global Coal Management, che aveva gestito la miniera prima che fosse chiusa in seguito alle proteste ed agli scontri, decise di rimanere nel Paese spingendo per una sua riapertura, nonostante le proteste di migliaia di attivisti che, ancora lo scorso mese, hanno marciato tra Phulbari a Dhaka chiedendo alla Asia Energy Corp, una sussidiaria della GCM che sostiene il progetto, di lasciare il Paese.
La risposta da parte del Governo non si è fatta attendere, se è vero che Tawfiq-e-Elahi Chowdhury, adviser per la politica energetica del Bangladesh, ha acconsentito per un percorso parlamentare in sostegno alla riapertura, sebbene il progetto sia "politicamente delicato alla luce delle comunità indigene impoverite e storicamente oppresse" che abitano la zona interessata.

 

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