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Banche, chi non è stato salvato

Domenica 22 novembre, il Governo è intervenuto per “risanare” e “risolvere” le crisi di quattro banche: CariFerrara, Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti. L’ha fatto attraverso un “fondo di risoluzione” istituito da Banca d’Italia cui hanno concorso tutti gli istituti di credito italiano, compresa Banca Etica. Che denuncia: “risorse importanti vengono sottratte allo sviluppo sostenibile e all’economia sociale per salvare quattro banche mal gestite”

Domenica 22 novembre il Governo ha varato per decreto alcune “disposizioni urgenti per il settore creditizio” nell’interesse di quattro banche già poste in amministrazione straordinaria: Cassa di risparmio di Ferrara, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, Banca delle Marche e Cassa di risparmio della provincia di Chieti.
 
Banca Marche -commissariata nell’agosto 2013- aveva chiuso gli ultimi bilanci (semestrale 2013 e annuale 2012) rispettivamente con 232 e 526 milioni di euro di perdita. Anche CariFerrara, commissariata con decreto nel maggio 2013, poi prorogato nel 2014, aveva registrato nel 2012 perdite d’esercizio per 104,7 milioni di euro. Identico spartito per Banca Etruria, commissariata dal febbraio 2015 con "gravi perdite sul patrimonio", e CariChieti. 
Per “risanare” e “risolvere” gli esiti delle cattive gestioni degli istituti, l’esecutivo guidato da Matteo Renzi ha licenziato il decreto legislativo 180 attuando una direttiva europea chiamata “BRRD”, Bank Recovery and Resolution Directive, (la 59 del 15 maggio 2014), recepita solo il 16 novembre di quest’anno dopo che in estate il Parlamento aveva delegato il Governo.
 
Il cosiddetto strumento del “bail-in” di cui abbiamo scritto a luglio all’epoca della “Legge di delegazione europea 2014” che aveva delegato il Governo ad adottare la direttiva “BRRD”, e che consente alle autorità (Banca d’Italia nel nostro caso) di ridurre il valore delle azioni e di alcuni crediti o la conversione di azioni per assorbire le perdite di un certo istituto- non c’entra nulla in questa vicenda, non fosse altro perché entrerà in vigore dal primo gennaio 2016. Il meccanismo utilizzato nel caso delle quattro banche è stato invece quello dell’ente-ponte, regolato dalla direttiva e già operativo per decreto, che si affianca oltre che al “bail-in”, alla “cessione di beni e rapporti giuridici a un soggetto terzo” e alla “cessione di beni e rapporti giuridici a una società veicolo per la gestione delle attività”. 
 
Quel che prevede il provvedimento domenicale è la "ricostituzione", da parte di un "fondo di risoluzione" istituto da Banca d’Italia il 18 novembre (quattro giorni prima del decreto), del capitale sociale di quattro nuove società, tecnicamente “enti-ponte”, tutte presiedute da Roberto Nicastro, ex direttore generale di Unicredit, e al cui vertice del collegio sindacale siede Massimo Spisni, che ricopre l’identico ruolo nella Sgr di fondi comuni d’investimento Principia: quello della Nuova Cassa di risparmio di Ferrara -stabilito in 191 milioni di euro-, quello della Nuova Banca delle Marche Spa -1 miliardo di euro-, quello della Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio Spa -442 milioni di euro-, e quello della Nuova Cassa di risparmio della provincia di Chieti -141 milioni di euro-. 
 
Quel che i titoli definiscono “salvataggio” di CariFerrara, Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti ha raggiunto un valore complessivo di 3,6 miliardi di euro. Un’iniziativa che ha colpito in primo luogo piccoli azionisti e obbligazionisti degli istituti, che hanno visto fortemente intaccata l’entità del portafoglio titoli. Paolo Fiorio è il coordinatore dell’Osservatorio credito e risparmio del Movimento consumatori, una delle associazioni che sta seguendo con maggior preoccupazione gli eventi. “A noi risultano almeno 700 milioni di euro di obbligazioni strutturate che non sono state risolte e che non verranno rimborsate, e queste sono in buona parte nelle mani di piccoli risparmiatori”. Per Fiorio, però, estremi per richiedere il risarcimento del danno ci sono, eventualmente anche ai nuovi vettori societari sorti per decreto. “Nelle operazioni che hanno coinvolto i risparmiatori e le banche ‘risanate’ nella promozione di obbligazioni subordinate emesse talvolta per ripatrimonializzare l’istituto, queste ultime avevano palesi conflitti di interessi e il dovere di agire nell’interesse del cliente riteniamo sia stato in certi casi violato”. Ma se in tema di obbligazioni la prospettiva di un risarcimento non è così peregrina -stando a quanto afferma Fiorio- sulle azioni è molto più complicata. “Quei titoli sono più individuabili come ‘rischiosi’ -ragiona il coordinatore dell’Osservatorio credito e risparmio del Movimento consumatori- anche se abbiamo raccolto storie di persone indotte a sottoscrivere azioni delle banche per poter beneficiare di un mutuo”.
 
Azionisti, obbligazionisti e risparmiatori. Non sono gli unici ad esser stati colpiti dall’operazione “enti-ponte”. Tra chi ne ha rimesso dall’operazione rientrano infatti anche la finanza etica e lo sviluppo sostenibile. A sostenerlo è la Banca Popolare Etica, chiamata insieme agli altri istituti di credito italiano a concorrere al “fondo di risoluzione” previsto dalla norma e utilizzato con urgenza dall’esecutivo -su indicazione di Banca d’Italia- per il “risanamento” delle quatto banche, di media dimensione. 
 
“A fronte di questa scelta del Governo -spiega in comunicato Banca Etica- si richiede al sistema bancario, inclusa la finanza etica, un contributo al costituendo fondo di risoluzione di molto superiore a quanto previsto. Nello specifico, per quanto riguarda Banca Etica, era stato preventivato e comunicato un contributo di 130mila euro per il 2015 e identica cifra per il 2016. Ora, a seguito del decreto salva-banche, ne sarà richiesto uno molto più oneroso che potrebbe superare i 500 mila euro nel 2015 e sfiorare i 400 mila nel 2016. Sono cifre importanti che sottraggono risorse allo sviluppo sostenibile e all’economia sociale a cui Banca Etica fa credito, perché, essendo banca nonprofit, ogni euro di utile che viene sottratto per salvare altre banche rappresenta 12 euro in meno di credito erogabile”.
 
Anche la Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali ha preso una posizione molto netta, esprimendo “viva preoccupazione per gli effetti sull’industria bancaria italiana e sulla capacità di finanziamento dell’economia reale generati dalle modalità con le quali si è deciso di gestire l’ultima fase della crisi di quattro banche da tempo commissariate”. Al “sistema BCC” l’operazione di Governo e Banca d’Italia costerà peraltro 225 milioni di euro solo nel 2015. 
 
Colpisce leggere e confrontare le storie e le ripercussioni a danno degli azionisti o obbligazionisti degli istituti interessati dalla “risoluzione” disposta da Banca d’Italia con le “considerazioni” della direttiva comunitaria da cui tutto ciò discende: “l’ente-ponte -si legge nella 2014/59- ha come finalità principale quella di garantire che i clienti dell’ente in dissesto continuino a ricevere i servizi finanziari essenziali e che si continuino a svolgere le attività finanziarie fondamentali”.
E assume ancor più rilevanza la decisione del Parlamento -quest’estate- di non avvalersi di una clausola di salvaguardia pur prevista (in via del tutto facoltativa) nella direttiva BRRD. All’articolo 85 (“Approvazione ex ante delle autorità giudiziarie e diritti di impugnare le decisioni”) avrebbe consentito agli Stati membri di “imporre che una decisione di adottare una misura di prevenzione della crisi o una misura di gestione della crisi sia soggetta a un’approvazione ex ante delle autorità giudiziarie”. A patto che ciò avvenisse “con urgenza”.
 
“Prendiamo atto che una volta ancora la regolamentazione penalizza la finanza etica che da tempo annunciava i problemi del sistema finanziario e che durante la crisi è stata sempre in controtendenza -ha dichiarato Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica-: mentre le grandi banche contraevano sempre più il credito all’economia reale, Banca Etica ha mantenuto importanti tassi di crescita nei finanziamenti erogati a favore di famiglie e imprese sociali. Erogazioni che ora potremmo essere costretti a ridurre a causa dei contributi che ci vengono richiesti per salvare banche mal gestite. E nel colpire la finanza etica si colpisce quella parte di paese che continua a lavorare quotidianamente per lo sviluppo sostenibile e la solidarietà”.

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