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Diritti / Intervista

“Sull’autonomia ci sia un dibattito pubblico”

Intervista a Gianfranco Viesti, docente di economia e autore del saggio “Verso la secessione dei ricchi?”. “Se il processo di autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia si realizzerà così come lo conosciamo il rischio è la disgregazione dell’unità nazionale”

“Comunque la si pensi, le materie che verranno toccate dall’intesa sull’autonomia differenziata in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, sono di importanza capitale. Il tentativo di far passare questo processo sotto silenzio è totalmente inaccettabile: bisogna discutere a fondo e adeguatamente di questi temi: serve un dibattito pubblico che, a differenza di quanto è avvenuto in questi mesi, permetta anche agli esperti delle singole materie di esprimere un parere, penso ad esempio alle possibili ricadute in materia ambientale. Infine, se si vuole avviare un processo di riforma che vada verso una maggiore autonomia, si faccia un dibattito in Parlamento”.

Gianfranco Viesti, docente di economia presso l’Università degli Studi Aldo Moro di Bari, ha raccontato le origini di questo processo, le richieste avanzate dalle Regioni coinvolte e le possibili conseguenze nel saggio “Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale”, edito da Laterza. Il volume è disponibile gratuitamente in edizione digitale sul sito della casa editrice “perché il tema delle autonomie regionali è passibile di forti cambiamenti in breve torno di tempo”.

Professor Viesti, quali rischi vede dietro il processo di autonomia rafforzata per Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, se si realizzerà come oggi lo conosciamo?
GV
In una frase: la disgregazione dell’unità nazionale. L’approvazione dell’ipotesi più estrema oggi sul tavolo, promossa dai presidenti di Veneto e Lombardia, comporterebbe la fine dei grandi servizi pubblici come li conosciamo oggi nel nostro Paesi. Un processo che avviene attraverso due grandi processi: uno di merito, l’altro finanziario.

Iniziamo dal processo di merito
GV Si rischia di andare verso una riduzione del ruolo di garanzia e di coordinamento dello Stato nazionale sulle più importanti politiche pubbliche italiane, penso ad esempio alla scuola e alla sanità. Una situazione frammentata in cui ciascuno scrive le proprie regole, con conseguenze che al momento sono anche in parte difficili da immaginare. Facciamo esempio insegnanti: quali saranno le conseguenze di concorsi regionali per il reclutamento dei docenti? Se vinco un concorso in Veneto potrò andare a insegnare in Emilia? E il vincitore di un concorso nazionale potrà insegnare in Veneto? Gli stipendi potrebbero essere diversi e così via. Questo è solo uno dei tanti esempi delle conseguenze che questa svolta potrebbe determinare sulla vita dei cittadini. Il rischio è una possibile segmentazione dei diritti dei cittadini in base alla regione di residenza.

C’è poi la questione finanziaria
GV L’iniziativa promossa dalla Regione Veneto e dalla Lombardia viene fatta per acquisire maggiori risorse finanziare. Una richiesta che si è radicata negli anni della crisi economica, in cui anche le grandi regioni produttive hanno visto aumentare le difficoltà nell’erogazione dei servizi pubblici. Quello che succede in Veneto è simile a quello che è successo in Catalogna: si è generata una tensione data dalla contraddizione tra il fatto di essere ricchi e avere difficoltà nell’erogazione dei servizi pubblici. Così si è individuata una soluzione semplice: cercare un trattamento speciale da parte della comunità nazionale.

Questa richiesta, in un Paese come l’Italia o la Spagna, che devono fare i conti con colossali problemi di finanza pubblica, questa richiesta pone un’ulteriore criticità: maggiori risorse in una regione, significano una riduzione delle risorse in un’altra. È un questo quadro che si inserisce la nota del ministero dell’Economia che ha indicato chiaramente che il saldo finale per i conti pubblici deve essere lo stesso.

Il decentramento però non è necessariamente un male
GV Assolutamente: sono contrario all’idea di uno stato centralizzato di memoria fascista e sono un fiero paladino del fatto che le comunità locali debbano avere un grande potere nelle politiche di sviluppo economico. Trovo essenziale per il funzionamento dei servizi pubblici e per la democrazia stessa che in uno stato ci sia un buon decentramento. Questo in Italia c’è già, ma qui si sta pensando di aumentarlo molto per alcune regioni e non per altre. Come hanno sottolineato i sindaci di Milano e Bologna -che si oppongono con forza a questo progetto- bisogna stare attenti anche al bilanciamento tra città e regioni: questo disegno sposta il potere sulle seconde e personalmente non sono convinto che un neo-centralismo regionale sia una buona idea. L’articolo 116 nostra Costituzione offre un menu amplissimo di possibili competenze che possono essere attribuite alle regioni. Ciascuna può, motivatamente, chiederle. L’operazione discutibile di Lombardia e Veneto è stata quella di dire allo Stato: “Dammi tutto”.

Quali sono i settori della vita pubblica in cui vede i rischi maggiori?
GV Potenzialmente nella scuola, la grande infrastruttura che costruisce l’unità nazionale. Un tema apparentemente minore, in realtà importantissimo, sono le cosiddette zone franche: aree in cui la tassazione viene notevolmente ridotta per attrarre le imprese e creare occupazione. Si sta provando a crearne alcune al Sud, dove c’è una maggiore esigenza di impresa. Il fatto che una regione come il Veneto abbia la totale libertà di istituirle mi pare contestabile: significherebbe portare imprese dove ce ne sono già molte.
Siamo di fronte a una questione politica e non di contrapposizione tra territori. E c’è una domanda di fondo: i diritti dei cittadini devono essere parametrati al luogo in cui vivono? Io credo di no. Penso che questo sia profondamente sbagliato, dal punto di vista dell’eguaglianza tra i cittadini: pari diritti devono essere garantiti a tutti, indipendentemente dal luogo di nascita e residenza. Perché quello che fa una nazione sono diritti e doveri condivisi. Così come tutti pagano le tasse, tutti devono avere gli stessi servizi, in tutte le regioni. Dunque bisogna lavorare per rendere più uguali questi diritti, con tutte le politiche necessarie.

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