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Asilo: il parere legale che può far “saltare” il Regolamento di Dublino

© Natalia Tsoukala/ Caritas International, January 2016

In caso di arrivi “massicci” di profughi e richiedenti asilo, lo Stato competente per la valutazione della domanda di protezione non sarebbe più quello di primo ingresso ma quello in cui il migrante ha presentato la richiesta. Ecco perché l’approccio dell’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea -che dovrebbe esprimersi già entro l’estate- potrebbe rivoluzionare la normativa europea

In caso di eventi straordinari, come il massiccio afflusso di profughi e richiedenti asilo che ha attraversato i Balcani nell’estate 2015, l’applicazione del “Regolamento Dublino” non è obbligatoria. È la conclusione espressa l’8 giugno di quest’anno dall’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla vicenda di alcuni richiedenti asilo (un siriano e due famiglie afghane) che avevano chiesto protezione rispettivamente in Slovenia e in Austria. Ma la loro domanda era stata rifiutata perché -in base a quanto previsto dalle normative europee vigenti- deve essere il Paese di primo ingresso in Europa a farsi carico della richiesta d’asilo.

L’avvocato generale Eleanor Sharpston, invece, ha analizzato in maniera diversa la situazione che ha portato queste persone a “bussare” alle porte di Paesi molto lontani dalle frontiere esterne dell’Unione europea. Evidenziando -da un lato- il fatto che il Regolamento Dublino (firmato la prima volta nel 1990) non tiene conto della realtà odierna ed è stato scritto in un’epoca in cui la maggior parte dei richiedenti asilo arrivavano in Europa seguendo altri canali, in modo particolare l’ingresso per via aerea. Oggi, sottolinea invece l’avvocato, la realtà è totalmente diversa: alcuni Stati sono più esposti di altri rispetto al flusso di richiedenti asilo e in “tempi tutt’altro che normali”, come è stato il 2015. Anno in cui più di un milione di persone si sono dirette verso l’Unione europea. Una lettura per certi versi sorprendente e che -se venisse “approvata”- potrebbe portare a significativi cambiamenti nello scenario europeo.

“Se le conclusioni redatte dall’avvocato generale venissero accorte dalla Corte di giustizia ci troveremmo in una situazione in cui, in caso di afflussi massicci, lo Stato competente per la valutazione della domanda d’asilo non sarebbe più quello di primo ingresso. Ma lo Stato in cui il richiedente asilo presenta domanda di protezione”, spiega ad Altreconomia Chiara Favilli, docente di Diritto europeo all’Università di Firenze e socia dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). “Una decisione di questo tipo sarebbe dirompente, andrebbe a scardinare il Regolamento Dublino”. Al momento siamo davanti a una riflessione puramente teorica. Anche nel caso in cui la Corte dovesse accogliere le domande presentate dai rifugiati, ci sarebbero altri quesiti da sciogliere. Ad esempio definire con precisione cosa si intenda per “afflusso massiccio”. La sentenza, comunque, dovrebbe arrivare in tempi relativamente brevi, probabilmente entro la fine dell’estate. Tuttavia Favilli non è ottimista rispetto alla possibilità che la Corte possa accogliere il parere dell’avvocato Sharpston. E la precedente vicenda sui visti umanitari, quando la Corte di giustizia ha rigettato il parere positivo del legale, non lascia presagire un esito positivo.

75.044: i migranti giunti in Europa attraverso il Mediterraneo nel 2017. Di questi, quasi 64mila sono quelli arrivati in Italia (dati UNHCR aggiornati al 12 giugno 2017)

“Negli ultimi tempi la Corte di giustizia europea ha dimostrato un orientamento abbastanza restrittivo in materia di asilo o di cittadinanza, rispettando le competenze dei singoli Stati -spiega-. C’è però un’altra possibilità: posto che il parere del legale, a mio avviso, ha una buona tenuta dal punto di vista giuridico, la Corte potrebbe decidere di usare questa posizione per lanciare un segnale alla politica”. Una politica che -tanto a livello nazionale, quanto a livello europeo- non riesce a mettere a punto una riforma condivisa su un tema cruciale. “Tutti sono consapevoli che il Regolamento Dublino vada cambiato, ma i governi si trovano in un momento di impasse: non c’è accordo né tra Parlamento europeo e Consiglio, né all’interno del Consiglio. La proposta che è stata presentata in questi giorni a Bruxelles ha deluso molti governi, tra cui l’Italia -spiega Favilli-. Non c’è accordo su come realizzare questa riforma. Una sentenza di questo tipo da parte della Corte di giustizia europea potrebbe essere il detonatore che costringe i governi a trovare un accordo”.

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