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Armi nucleari, disarmo, Iran: l’agenda Biden e l’attesa discontinuità

Una manifestazione per il disarmo nucleare a Washington di fronte alla Casa Bianca - © Maria Oswalt - Unsplash

L’amministrazione Trump ha ritirato gli Stati Uniti dai principali trattati sul controllo degli armamenti nucleari. Le strategie possono cambiare con il nuovo presidente democratico a partire dal rinnovo del New Start. Il punto della situazione e l’analisi della Rete italiana pace e disarmo

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, entrato in carica il 20 gennaio 2021, ha a disposizione meno di due settimane per rinnovare il New Start, il trattato stipulato tra gli Usa e la Russia per la riduzione delle armi nucleari strategiche con raggio di azione intercontinentale. È l’unico trattato di controllo degli armamenti nucleari sopravvissuto alla presidenza di Donald Trump e, secondo l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Stockholm International Peace Research Institute, Sipri) il suo rinnovo per i prossimi cinque anni è una delle priorità nell’agenda della politica estera del neoeletto. In un editoriale firmato da Dan Smith, direttore di Sipri, e dal diplomatico svedese e ricercatore Jan Eliasson, i due autori sottolineano come con Biden si possa aprire “una nuova era” nel sistema di gestione delle armi nucleari in netta differenza rispetto alla precedente amministrazione. Trump infatti nel 2018 aveva ritirato il Paese dall’Accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan of Action, Jcpoa) e nel 2019 dal Trattato sulle forze nucleari a raggio medio e intermedio (Intermediate-Ranger Nuclear Forces Treaty, Inf) siglato tra Stati Uniti e Russia. Inoltre a novembre 2020 gli Usa sono usciti dal trattato Open Skies che autorizza a effettuare voli disarmati per l’osservazione aerea del territorio dei 34 Paesi firmatari.

“Nel suo programma elettorale Biden ha definito la proroga del New Start come il punto di partenza per avviare ulteriori misure di controllo sugli armamenti”, scrivono i due autori. “Non è ancora chiaro come potranno proseguire i negoziati che avvengono in un periodo non privo di ostacoli”. Il trattato New Start, firmato nel 2010 dall’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama e dal presidente della Russia Dmitri Medvedev, è entrato in vigore il 5 febbraio 2011 e ha previsto una riduzione del 30% degli armamenti nucleari strategici, ovvero quelli pensati per essere utilizzati lontano dal fronte come i missili balistici intercontinentali (Icbm) e i missili balistici lanciabili da sommergibili (Slbm). Il suo obiettivo è limitarne l’uso per entrambi i firmatari e prevede un rigido sistema di controllo volto a garantire la conformità delle parti alle disposizioni adottate.

“L’amministrazione Obama, nella quale Biden ha ricoperto il ruolo di vice-presidente, aveva fortemente sostenuto gli strumenti del New Start e dell’Accordo sul nucleare iraniano. Ora ci si può aspettare di tornare alla condizione precedente a Trump”, spiega ad Altreconomia Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete italiana pace e disarmo. “Le maggiori difficoltà potrebbero incontrarsi nel rientro nel Trattato sulle forze nucleari a raggio medio e intermedio perché era stato in parte violato sia dagli Stati Uniti sia dalla Russia”, prosegue. Siglato nel 1987 l’accordo aveva messo al bando qualsiasi missile balistico e da crociera basato a terra con una gittata compresa tra i 500 e i 5.500 chilometri. “Si tratta anche dell’accordo che ha per noi maggiori conseguenze perché i missili balistici a medio raggio sono quelli che minacciano le zone intermedie come l’Europa”.
Un’apertura invece potrebbe venire sull’Accordo sul nucleare iraniano da cui gli Stati Uniti si sono ritirati nel 2018. Sostenuto da Obama, l’accordo internazionale -raggiunto da Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania nel luglio 2015 ed entrato in vigore nel gennaio 2016- prevede che l’Iran, in cambio di un allentamento delle sanzioni, elimini le sue riserve di uranio a medio arricchimento e tagli del 98% quelle di uranio a basso arricchimento, portandole a 300 chilogrammi. Secondo il New York Times, Biden rientrerebbe nell’intesa se la Repubblica islamica rispetterà i parametri previsti dal Jcpoa. Il 4 gennaio 2021 il governo iraniano ha annunciato di avere ripreso l’arricchimento dell’uranio al 20% infrangendo l’accordo internazionale che limita il tasso di arricchimento al 3,6% per evitare la costruzione di un’arma nucleare.

Gli Stati Uniti non hanno invece aderito al Trattato di proibizione delle armi nucleari (Tnpw) -entrato in vigore il 22 gennaio 2021 dopo la ratifica da parte dell’Honduras- la prima norma internazionale che per i Paesi firmatari vieta esplicitamente il possesso, la costruzione e l’uso di armi nucleari, compresa la minaccia di utilizzarle. Il risultato è stato raggiunto grazie alle attività della International campaign to abolish nuclear weapons (Ican), Nobel per la Pace nel 2017, di cui fanno parte le italiane Senzatomica e la Rete italiana pace e disarmo. “Si tratta di un traguardo storico fondamentale perché rappresenta il primo passo verso la totale eliminazione degli armamenti nucleari. È un strumento chiave, una norma internazionale che dà più forza alle nostre richieste e non le lascia più solo ipotetiche”, prosegue Vignarca. “Noi continueremo a lavorare affinché ratifichino anche altri Paesi che ricadono sotto le pressioni della Nato”.

Ma nell’agenda dell’amministrazione Biden non c’è solo il rinnovo o la ratifica dei trattatati sul nucleare. Una ulteriore questione riguarda il Trattato internazionale sul commercio delle armi (Arms trade treaty, Att) da cui Trump ha ritirato gli Stati Uniti nel 2019. Sottoscritto da Obama nel 2013 il trattato -che regolamenta, senza vietarlo, il commercio internazionale di armi- non è stato mai ratificato dal Congresso. “È ragionevole aspettarsi che l’amministrazione Biden inverta in tempi rapidi la rotta dei cambiamenti avviati da Trump riguardo il commercio di armi. È in primo luogo necessario che il presidente agisca per revocare la decisione della precedente amministrazione ‘annullando’ la lettera inviata alle Nazioni Unite nella quale si specifica il ritiro della firma dal trattato”, spiega ad Altreconomia Jeff Abramson, senior fellow della Arms Control Association, organizzazione negli Stati Uniti che promuove campagne per il controllo dell’uso e dell’esportazione delle armi.

Negli ultimi due mesi dell’amministrazione Trump, secondo quanto riportato da Bloomberg, il Dipartimento di Stato avrebbe comunicato al Congresso che stava autorizzando il rilascio di una licenza per la vendita di munizioni aria-terra di precisione all’Arabia Saudita per un valore di 478 milioni di dollari. “L’amministrazione Biden dovrebbe rivedere i procedimenti di vendita delle armi ed esaminare un loro possibile uso improprio nei Paesi di destinazione in particolare Bahrain, Egitto, Ungheria, India, Messico, Nigeria, Filippine e Taiwan”, prosegue Abramson. “La sua amministrazione dovrebbe inoltre riconsegnare al Dipartimento di Stato il controllo sull’export delle armi semiautomatiche e delle loro munizioni. A Biden spetterà sviluppare una nuova politica sulle esportazioni che tenga conto degli impatti sui diritti umani. Le armi convenzionali non devono essere trattate come qualsiasi altra merce e l’amministrazione Biden deve riconoscerlo”.

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