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Diritti

Armi ed etica

Che cosa c’entrano le armi con l’etica? Attenzione: non stiamo parlando di approccio etico per una condanna delle armi e del loro uso, ma proprio del valore etico che hanno le armi. Spiazzati? Ma ciò è almeno quanto sostiene l’industria…

Che cosa c’entrano le armi con l’etica? Attenzione: non stiamo parlando di approccio etico per una condanna delle armi e del loro uso, ma proprio del valore etico che hanno le armi. Spiazzati? Ma ciò è almeno quanto sostiene l’industria che da questa produzione trae i propri guadagni, crescenti annualmente con due cifre percentuali.
Anzi, prestando ascolto a Nicola Perrotti presidente dell’Anpam (l’associazione di categoria dei produttori di armi e munizioni, associata a Confindustria – www.anpam.it) si arriva anche a ben più importanti definizioni perché le armi "sono strumenti democratici, in quanto hanno sottratto l’uomo alla disparità della forza bruta" (intervista data a "il Giornale" alla vigilia dello Shot Show di Las Vegas dove le pistole tricolori saranno "regine").
Quindi non certo il progredire del pensiero e delle istanze di uguaglianza ha creato il moderno concetto di stato democratico, ma le armi da fuoco! Resta da capire come mai le armi non abbiamo creato prima la democrazia, visto che stanno sulla scena della storia umana da diversi secoli: quelle da fuoco in particolare da almeno cinquecento anni ed è una tradizione ("una produzione ineguagliabile", secondo Perrotti) che ancora oggi in diverse zone del nostro paese porta guadagni e fatturati sicuri.
Ma soprattutto resta da capire cosa ne potrebbero pensare di questa bislacca teoria della "uguaglianza democratica figlia delle armi" le vittime degli assalti a fuoco, quotidianamente condotti da criminali o da pazzi scatenati con il comune denominatore di essere armati fino ai denti. Che bella democrazia e fine della disparità della forza bruta (solo quella muscolare però) sentirsi fischiare le pallottole sopra la testa o vedere cadere attorno a sé le persone ferite od uccise.

arma fimanteQuello dell’etica sembra essere recentemente un terreno su cui sbizzarrirsi a piacere per le aziende armiere, forse perché su questo i grandi magnati delle industrie belliche si sentono in difetto e messi sotto pressione e controllo da una consistente porzione dell’opinione pubblica. Non si spiega altrimenti la scelta di elaborare una "Carta dei principi etici" per il business dell’aerospazio e della difesa, decisione resa pubblica alla fine del 2009 dall’AIA, cioè l’associazione americana delle industrie della difesa (il sito ufficiale è www.aia-aerospace.org), e prontamente resa propria anche dalla controparte europea ASD (AeroSpace and Defence Industries Association of Europe, presieduta dal presidente di Finmeccanica Guarguaglini www.asd-europe.org). L’accordo finale anche degli europei, sul cui sito però non abbiamo trovato traccia dei punti del codice, è avvenuto ad ottobre durante la convention annuale tenuta ad Helsinki ma i principi del codice sono stati sviluppati lungo tutto il corso del 2009.

Le prime aziende a firmare sono state quelle del comitato esecutivo dell’AIA: BAE Systems, Boeing, General Dynamics, ITT, Lockheed Martin, L-3 Communications, Northrop Grumman e Raytheon, cioè le principali industrie a produzione armiera, capaci anche in anni di crisi di drenare risorse dai bilanci statali per farsi pagre i propri giocattolini armati. Sviluppati, a detta delle industrie, secondo  le migliori esperienze e i più alti standard i punti dell’accordo prevedono un controllo sui conflitti di interesse, sulla salvaguardia delle informazioni proprietarie, sull’uso di consulenze e soprattutto sulla corruzione durante il processo di vendita per cui viene evocata una "tolleranza zero". L’ultimo punto è davvero delicato poiché secondo le più accreditate stime il comparto delle armi, che copra circa il 2.5% del commercio mondiale, è responsabile della metà della corruzione globale.
Il problema è che tutte queste cose dovranno essere assicurate da programmi interni e percorsi di comunicazione alla propria struttura di tali principi. Possibili sanzioni, pur evocate nel testo del codice, non sono esplicitate e regolate e non viene previsto un organismo esterno all’azienda (non per forza pubblico, potrebbe essere di categoria) capace di controllare, misurare ed eventualmente modificare l’efficacia di tali processi (magari con multe e licenziamenti).

Insomma, una serie di principi generali scritti sulla carta che paiono solamente allineare anche le industrie belliche alla moda di un "lavaggio etico" delle proprie attività verso una opinione pubblica la cui fiducia nel business è provata da quanto visto nell’attuale situazione di crisi.
Le due associazioni di categoria scrivono all’inizio del proprio codice che "operare con i più alti standard etici porta beneficio alle compagnie ed alla società", ma nessuna parola viene espressa per cercare di capire se sia veramente giusto ed etico lucrare su strumenti di distruzione e morte e vendere i propri prodotti di tal natura soprattutto nei luoghi di maggiore conflitto.

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