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Esteri / Attualità

Armi alla Turchia: i contratti e le forniture sotto la lente

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan

Il governo italiano ha annunciato un decreto per bloccare le nuove licenze all’esportazione ad Ankara e condurre un’istruttoria sui contratti già stipulati. Chi dovrebbe condurla e come? Il ruolo decisivo dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA)

L’Italia ha preso posizione nei confronti dell’invasione della Turchia nel Nord-Est della Siria, condannando l’attacco delle forze militari di Ankara. In un’informativa urgente alla Camera, svoltasi martedì 15 ottobre, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha annunciato che, tramite un decreto ministeriale, l’Italia avrebbe bloccato il rifornimento di materiale bellico alla Turchia precisando che “essa è la sola responsabile dell’escalation in Siria e deve sospendere immediatamente le operazioni militari”. Operazioni militari iniziate lo scorso 9 ottobre.

La posizione dell’Italia è in linea con quella di diversi Stati europei. In attesa del prossimo Consiglio europeo che si riunirà il 17 e 18 ottobre, l’Unione europea ha condannato l’attacco turco ma non ha adottato un embargo comune sul rifornimento di armi, lasciando così ai singoli Stati membri la decisione da prendere nel merito. “Siamo soddisfatti che alla fine si sia arrivati a fare quello che chiedevamo da diversi giorni –spiega Francesco Vignarca della Rete italiana per il disarmo (disarmo.org)-. Nonostante il ministro Di Maio e il presidente del Consiglio Conte sostenessero che fosse importante arrivare subito ad una decisione comune, di fatto far sì che ogni singolo Stato possa muoversi autonomamente in questi giorni resta la soluzione più immediata. Resta il fatto che la mancata previsione di un embargo è una sconfitta per l’Unione europea: un passaggio politicamente molto negativo”. Pesano, sotto questo punto di vista, l’opposizione di Ungheria e Bulgaria, preoccupate per un’eventuale reazione del presidente turco Erdogan che da giorni minaccia di “lasciar scappare” migliaia di rifugiati presenti sul suo territorio, in particolare siriani. Norvegia, Finlandia, Paesi Bassi, Francia, Germania e Italia hanno invece previsto misure contro la fornitura di materiale bellico.

A differenza di quanto dichiarato inizialmente da Luigi Di Maio, nel decreto ministeriale dovrebbe essere inserita, oltre allo stop sulle nuove licenze, anche la previsione di un’istruttoria sui contratti già stipulati. “In pratica –spiega Vignarca- verrà valutato quali delle licenze attualmente in essere e di quelle passate saranno bloccate o meno. Si valuterà il destinatario, inteso in termini di tipologia di corpo militare, la tipologia di armamento e la possibilità di utilizzo dello stesso”. Un passo importante, che renderebbe più efficace il blocco, rispetto ad uno rivolto solo al futuro. Questo significa, teoricamente, che se le armi previste in un determinato rifornimento non possono essere utilizzate in questo caso specifico, la valutazione potrebbe rimanere positiva. “La nostra posizione –precisa Vignarca- rimane quella per cui l’embargo dovrebbe essere immediato e trasversale: se vendi armi al Paese, di fatto legittimi la sua scelta bellica indipendentemente dal fatto che le armi che vendi vengano utilizzate o meno”.

La competenza sull’esito dell’istruttoria sarà duplice. “Riferendoci a quali armi potrebbero venire utilizzate nel Nord-Est siriano nei confronti delle popolazioni curde -spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal)- serve un controllo da parte del ministero della Difesa e degli Esteri, con un’eventuale valutazione dell’intelligence in aggiunta. Per capirci, se gli elicotteri AugustaT-129 possono essere utilizzati sia per attacchi aria-aria sia per attacchi terra-aria, nel caso specifico avrebbero le potenzialità per essere utilizzati e quindi la licenza che prevede la fornitura di pezzi di ricambio per questi elicotteri andrebbe bloccata”.
A monte di questa valutazione, un ruolo fondamentale è giocato dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA), istituita nel 2012 per garantire l’applicazione della normativa italiana in materia di esportazione e importazione di materiali d’armamento. “Ogni esportazione di materiali d’armamento deve ottenere l’autorizzazione dell’Uama -continua Beretta-. Per questo motivo, questa unità è l’unica ad avere un quadro completo della situazione, conoscendo tutte le licenze presenti e passate poste in essere da aziende italiane e soprattutto i relativi Paesi di destinazione di ogni fornitura”.
La Rete italiana per il disarmo ha messo in fila dati riguardanti la fornitura di armi e munizioni militare alla Turchia da parte di aziende italiane. Secondo dati Istat, l’Italia nei primi sei mesi del 2019 ha esportato 46 milioni di euro di armi e munizioni, di cui circa 6/7 milioni per armi o munizioni comuni. “Per sottrazione -precisa Beretta- oltre 39 milioni di euro riguardano munizionamento o armi pesanti. È un dato molto rilevante, che non può passare inosservato”. Un altro elemento interessante, riguarda i circa 124 milioni di euro esportati dalla provincia di Roma alla Turchia per componenti di aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi. “In questo caso, diventa difficile sapere se si tratti di materiale per uso civile o militare, l’Istat non lo specifica. Bisognerebbe studiare le varie sottocategorie ma è complicato. Ipotizziamo, per esempio, la fornitura di un rotore per un elicottero: non si saprebbe in ogni caso se viene utilizzato per il trasporto di persone o per il trasporto di truppe. Servirebbe un maggior grado di trasparenza da parte delle istituzioni e soprattutto un maggior controllo del Parlamento sulle esportazioni di armamenti”.

Come riportato in un recente rapporto dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla pace di Stoccolma (SIPRI), fra il 2009 e il 2018 la Turchia ha aumentato del 65% i fondi destinati al materiale bellico (arrivando a circa 17 miliardi l’anno). Un ingente sforzo economico per colmare il gap con altri eserciti. “Sì, negli ultimi anni -specifica Vignarca- sono stati numerosi i rifornimenti, non solo di armi ma anche di know-how. Mi riferisco per esempio agli elicotteri T-129 di derivazione italiana. Sosteniamo da diversi anni che sia stato un grosso errore: anche se manteniamo la coproduzione, di fatto abbiamo trasferito ai turchi le competenze necessarie per la costruzione. Questa politica ha reso sicuramente la Turchia più autosufficiente. Detto questo, nessun Paese, salvo gli Stati Uniti, può resistere in un conflitto senza ricevere rifornimenti. La decisione del Governo italiano diventa importante non solo a livello politico ma anche da un punto di vista strettamente bellico nel caso in cui si dovesse protrarre il conflitto”.

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