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Esteri / Reportage

Il respiro dell’Armenia. Così può rinascere il polo tossico del Caucaso

I processi industriali della valle del Debed, nel Nord del Paese, compromettono la salute degli abitanti di un’area dal grande potenziale turistico. A battersi per la salvaguardia vi sono associazioni di artiste e profughi abili nell’arte orafa

Tratto da Altreconomia 218 — Settembre 2019
La funivia che collega l’area industriale di Alaverdi al monastero Unesco di Sanahin, in vetta al canyon del Debed, permette di cogliere le impressionanti dimensioni del vecchio complesso estrattivo-minerario sovietico © Alberto Caspani

Scrutare la ciminiera in vetta al canyon del Debed, al confine settentrionale fra Armenia e Georgia, è diventata l’attività principale dei cittadini di Alaverdi. Un tempo, invece, i loro occhi erano solo per i monasteri gemelli di Sanahin e Haghpat, arroccati nelle immediate vicinanze e riconosciuti dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità.

Passato remoto. I due tesori risalenti al X secolo, già sede di una rinomata scuola di medicina, rischiano di essere tagliati fuori da ogni contatto col mondo esterno. Proprio come negli anni è capitato ai mille lavoratori impiegati dal Partito Comunista armeno nel mastodontico complesso estrattivo di Alaverdi, motore industriale dell’Unione Sovietica. Oggi tutti stanno col naso all’insù. Se la ciminiera scarica diossido di zolfo, significa che per l’ex polo minerario e metallurgico esiste ancora un barlume di speranza. Se resta spenta, l’unica consolazione per gli abitanti è tirare un sospiro di sollievo per la propria salute. Potrebbe però essere già troppo tardi.

Dopo la pubblicazione dello studio “Heavy metals in the surrounding of mining and metallurgic sites in Lori region in Armenia” (2018), curato dall’Università di Chimica e Tecnologia di Praga, in collaborazione con cinque partners armeni, l’estrema tossicità dei processi industriali dell’area è stata provata senza più ombre d’incertezza. “Alte concentrazioni di rame e altri metalli pesanti, fra cui piombo, zinco, arsenico e molibdeno -spiega Martin Bystriansky, principale autore della ricerca- sono state riscontrate in tutta la Valle del Debed. Persino le acque meno contaminate sono in grado di causare gravi problemi di salute a chi è rimasto esposto ai loro effetti per lungo tempo, ad esempio lavandosi sotto la doccia o usando l’acqua per la coltivazione. Il rame, poi, è risultato avere un effetto negativo soprattutto su fegato e reni”.

Le prime lotte per tutelare il territorio risalgono in realtà agli anni 70 del secolo scorso, quando in Urss prendeva timidamente piede il movimento ecologico dei lavoratori comunisti, ma è con il rilevamento del complesso industriale da parte del Gruppo Vallex che i problemi si sono aggravati. Nonostante le promesse di applicare filtri depurativi sin dal 1997, seguite quindici anni dopo dal mero trasferimento in quota della grande ciminiera di scarico, la scure del governo ecologista di Nikol Pashinyan si è infine abbattuta su Alaverdi. La fabbrica, che pur a regime ridotto assorbe l’80% della forza lavoro locale, è stata chiusa a tempo indeterminato il 1° luglio scorso.

L’ultima parola sul caso, che rischia di avere pesanti ripercussioni internazionali, potrebbe arrivare addirittura da Putin. Il presidente russo è atteso in Armenia il 1° di ottobre, in occasione del Supremo Consiglio Economico Euroasiatico, che raccoglie i leader di Armenia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Bielorussia e Russia, appunto. Dopo la prima Conferenza Metallurgica Euroasiatica, svoltasi in primavera, le attenzioni delle ex repubbliche sovietiche si sono rivolte sullo stato di crisi dell’Armenia. Il piccolo Paese caucasico è l’unico del gruppo ancora in sofferenza economica, nonostante la Cina stia trainando la domanda di servizi e risorse. “La situazione del settore metallurgico nell’Unione Economica Euroasiatica -ha sottolineato Nikolay Kushnarev, direttore del suo Dipartimento per le politiche industriali- risulta ora stabilizzata. Nel 2018 la nostra produzione è cresciuta complessivamente del 2%, ma con tassi di sviluppo variabili fra le repubbliche: +7% per la Bielorussia, +2,2% per il Kazakhstan, +4,4% per il Kirgyzstan e +1,7% per la Russia. Dobbiamo assolutamente proseguire la cooperazione”, conclude.

In che modo, però, resta un rompicapo e la comunità internazionale teme ulteriori recrudescenze in quello che alcuni già definiscono il “polo tossico del Caucaso”. Dopo la cosiddetta “rivoluzione di velluto” dell’aprile 2018, attraverso la quale è stato portato al potere l’ex giornalista Nikol Pashinyan, le risorse dell’Armenia sono tornate a far gola a molti. Fra gli obiettivi più appetibili, appunto, le miniere di Alaverdi, oggi in grado di produrre 12mila tonnellate di rame all’anno, ma capaci di quantità cinque volte superiori nei tempi d’oro sovietici. Analoghe potenzialità sono presenti nei vicini siti di Akhtala e Teghut, da cui vengono estratte altre 100mila tonnellate di rame l’anno, oltre ai metalli pesanti strategici. Che, però, non si trovano solo nelle viscere delle montagne del Debed.

Prendendo come riferimento i capelli umani, nel 42% delle donne locali sono stati trovati livelli di mercurio superiori a tutti gli standard sanitari: superando la quantità massima di una parte per milione, il cervello subisce inevitabilmente danni, decresce il quoziente intellettivo, si manifestano gravi problemi cardiocircolatori e alterazioni del feto. La contaminazione dei residenti è inoltre aggravata dalla presenza di zinco, arsenico e piombo, rinvenuti in alimenti quotidiani come le uova e nelle sabbie dei giardini pubblici dove giocano i bambini. Un vera e propria forma di avvelenamento quotidiano, tanto persistente quanto invasiva. “Ad Alaverdi -ha sentenziato Jitka Strakova, esperta di contaminanti chimici dell’ong ceca Arnika- sono stati individuati livelli di diossine cinque volte superiori del previsto”.

Senza adeguati investimenti nell’uso di filtri di scarico e nei processi di purificazione degli scarti industriali, la stupenda Valle del Debed è a un passo dal trasformarsi in un territorio completamente invivibile, nonostante preservi la maggior concentrazione di reperti storici e culturali di tutta l’Armenia. Non potendo più produrre, gli impianti locali rischiano inoltre di essere espropriati dalla banca russa VTB, già entrata in possesso delle miniere Vallex per il mancato rimborso di un prestito di 380 milioni di dollari, finalizzato alla modernizzazione delle strutture di lavoro.

“La valle del Debed potrebbe vivere di solo turismo -spiega Tsovi Kocharyan, residente ad Alaverdi prima di trasferirsi prima a Yerevan e poi in Italia per studi- dal momento che conserva testimonianze eccezionali dell’antichissima storia del nostro popolo. Un tempo era il centro della Chiesa apostolica armena e, ancor prima, un importante sito pagano da cui si è sviluppata una misteriosa tradizione ermetico-alchimista, senza contare che qui è nato Anastas Mikoyan, ideatore insieme al fratello maggiore dei primi esemplari di aerei Mig, oggi in mostra in un museo interessantissimo. Nonostante l’inquinamento, l’habitat è ancora selvaggio, fioriscono ateliers creativi e se fossero dirottati investimenti in questo settore, l’intera area godrebbe di una popolarità ben superiore a quella di altre zone dell’Armenia”.

Alaverdi è costellata di “khrushchevki”, gli economici condomini ad alveare fatti per agevolare la vicinanza dei lavoratori al complesso minerario. Per anni sono stati investiti dagli scarichi tossici della lavorazione del rame, con gravi conseguenze sulla salute dei residenti © Alberto Caspani

In prima linea per la salvaguardia e la valorizzazione del territorio armeno sono proprio delle associazioni di artiste che cercano di far conoscere il contributo avanguardistico del femminismo armeno nel mondo. Lo studio sull’inquinamento della Valle del Debed, ad esempio, è stato realizzato col supporto dell’ong “Armenian Women for Health and Healthy Environment”, mentre il gruppo Instagram “Armenian_women_artists”, insieme alla community di changemakers OneArmenia, ha collaborato alla realizzazione della campagna grafica “We move mountains”, per finanziare la pulizia del campo minerario di Artsakh, nel Nagorno-Karabach. Nella provincia di Vayots Dor, inoltre, le donne hanno preso posizione contro il progetto anglo-americano di apertura della miniera d’oro di Amulsar, guidate dalla prima vice-ministra alla Protezione della natura, Irina Ghaplanyan.

Vivendo di agricoltura e allevamento, ma soprattutto in un’area dove si sono rifugiati gli ultimi esemplari di leopardo caucasico, la maggioranza degli abitanti teme un altro disastroso caso di devastazione del territorio.

Altre vie di sviluppo sono possibili. Grazie all’arrivo di quasi 22mila profughi di origine armeno-siriana, in maggior parte specializzati nella lavorazione dell’oro, ad esempio, è rinato il settore della gioielleria di lusso, la più rinomata tradizione nazionale sino alla diaspora ottomana. Un chiaro segnale per il nuovo governo: per tornare davvero “in salute”, l’economia armena ha bisogno di microimprenditoria.

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