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Guerra alle Ong: anche l’Aquarius messa fuori gioco

Dopo 34 mesi di operazioni in mare e il soccorso di oltre 30mila naufraghi, la nave affittata da SOS MEDITÈRRANÈE è costretta a ritirarsi. Una scelta “estremamente difficile”, spiega l’organizzazione, dovuta a un clima di “criminalizzazione, delegittimazione e diffamazione” a danno di chi salva vite. Il nodo della bandiera e il diniego contraddittorio della Svizzera. “Torneremo, siamo speranzosi e determinati”

© Laurin Schmid/ SOS MEDITERRANEE

“La portata del problema è allarmante. […] Le missioni SAR nelle vicinanze o all’interno delle acque territoriali della Libia hanno conseguenze indesiderate. In particolare, influenzano la pianificazione dei contrabbandieri e agiscono come un fattore di attrazione che aggrava le difficoltà inerenti al controllo delle frontiere e al salvataggio di vite umane in mare”.

A quasi due anni dal primo “sospetto” inoculato tramite il Risk Analysis Report 2017 (relativo al 2016) dall’agenzia europea Frontex ai loro danni, la cancellazione delle organizzazioni non governative nel Mediterraneo centrale può dirsi compiuta. Il 7 dicembre 2018, infatti, anche SOS MEDITÈRRANÈE è stata costretta ad annunciare la fine delle operazioni condotte in partnership con Medici Senza Frontiere a bordo della nave Aquarius, affittata presso un armatore. La colpa? Aver contribuito a salvare oltre 30mila naufraghi in 34 mesi. Frédéric Penard, direttore delle operazioni di SOS MEDITÈRRANÈE, ha parlato di “decisione estremamente difficile da prendere”, in un contesto di “criminalizzazione, delegittimazione e diffamazione” a scapito dei soccorritori.

Oggi l’Aquarius, un’imbarcazione lunga 77 metri che può arrivare ad ospitare fino a 750 persone, 550 in condizioni ordinarie, si ritrova senza bandiera e non può lasciare il porto di Marsiglia, dove è ferma dal 4 ottobre, data dell’ultimo scalo tecnico della missione nel Mediterraneo centrale.

“Nel momento dello scalo a Marsiglia -riassume Avra Fialas, responsabile comunicazione a bordo della nave Aquarius (per SOS MEDITÈRRANÈE)- ci è stata data comunicazione che alla nave sarebbe stata ritirata la bandiera di Panama, sotto pressione del governo italiano, cosa che è avvenuta formalmente la sera del 29 ottobre”. Tramite l’armatore è stato poi predisposto un cambio di bandiera tecnico attraverso la bandiera della Liberia, a partire dal 30 ottobre, in via del tutto temporanea. “Purtroppo questo passaggio non dà la possibilità all’Aquarius di tornare in mare per operare ricerca e soccorso -continua Fialas-. Durante i negoziati con altri Paesi è uscita la notizia della nuova indagine della Procura di Catania, il 20 novembre, e questo insieme di cose ha fatto sì che decidessimo, con grande difficoltà, che fosse meglio trovare un’altra nave, con un’altra bandiera, per tornare in mare in maniera più sostenibile e più duratura”.

L’Aquarius dunque esce di scena. “A fine anno riconsegneremo la nave. Sono già iniziati i lavori di smantellamento per restituirla all’armatore allo stato originario, così come l’abbiamo affittata agli inizi del 2016”.
La denuncia di SOS MEDITÈRRANÈE è netta. “Condanniamo le politiche europee di criminalizzazione, diffamazione e di delegittimazione delle operazione di soccorso e salvataggio in mare. Non siamo l’unica Ong a essere stata bloccata, e la situazione in mare oggi è molto ostile, con una massiccia presenza delle guardie costiere libiche che operano rimpatri di massa verso la Libia, dove le condizioni sono più che terribili. I morti aumentano, come dimostrano anche le oltre 15 vittime dei giorni scorsi, e non c’è nessuno in mare per soccorrerli e per testimoniare”. Dal luglio di quest’anno, infatti, alla voce “numero di persone soccorse” sotto il coordinamento del Centro di coordinamento del soccorso marittimo della Guardia costiera italiana, le navi delle Ong sono inchiodate impietosamente a quota “zero”.

Nonostante l’annuncio, però, SOS MEDITÈRRANÈE resta positivamente combattiva. “In questo momento siamo in contatto con diverse compagnie di navigazione per trovare una nave che sia coerente con i nostri criteri e requisiti -prosegue Fialas-. Non è facile ma siamo sulla buona strada, siamo speranzosi e molto determinati a tornare in mare nella prima parte del 2019”.

Tra gli snodi principali del clima ostile alle Ong, Fialas individua il “codice di condotta” proposto nell’estate 2017 dall’allora ministro dell’Interno, Marco Minniti, che fece sì che “diverse organizzazioni già allora si tirarono indietro”. Quell’iniziativa italiana ricevette l’imprimatur europeo e venne poi inclusa nel “Piano d’azione sulle misure per sostenere l’Italia, ridurre la pressione lungo la rotta del Mediterraneo centrale e accrescere la solidarietà”, presentato dalla Commissione europea.

A compimento della deriva è poi arrivato il nuovo governo guidato da Giuseppe Conte, dal primo giugno 2018, con l’immediato annuncio della chiusura dei porti annunciato tramite social network proprio durante un’operazione che vide protagonista l’Aquarius. Il 10 giugno di quest’anno, infatti, quella nave salvò 629 persone (123 minori non accompagnati, 11 bambini e 7 donne incinta) nelle acque del Mediterraneo, in sei diverse operazioni. Dopo 48 ore di stand-by fu spedita a Valencia, scortata da due navi militari italiane. I naufraghi, stremati dalla Libia e dal viaggio, furono così costretti ad altri cinque giorni di navigazione verso la Spagna, affrontando cattivo tempo e maestrale. “Le condizioni a bordo sono buone”, disse il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli. Arrivarono a Valencia il 17. Il governo italiano trovò però modo di festeggiare: “In un mese la sveglia all’Europa l’abbiamo suonata in maniera evidente”, le parole del ministro Salvini.

“Dopo Valencia -ricorda Fialas- siamo tornati in mare, ad agosto, ed è ricapitata la situazione dei porti chiusi, con intense negoziazioni per lasciare le persone soccorse a Malta. In quel momento ci hanno notificato il ritiro della bandiera di Gibilterra, la prima bandiera della nave, senza una ragione specifica, se non una mera scusa. Per noi è stato facile trovare l’alternativa di Panama poiché l’armatore ha lì diverse navi registrate. Quindi siamo usciti di nuovo in mare, poco prima di sapere che anche lo Stato di Panama aveva disposto il ritiro della bandiera, avvenuto poi al nostro primo attracco. Rappresentiamo purtroppo il primo caso della storia marittima di una nave che in meno di due mesi si è vista togliere dai registri di due bandiere e non trova un Paese che risponda positivamente all’appello. È una cosa scioccante per noi”.

Fino ai primi di dicembre è stata in lizza per l’Aquarius l’ipotesi del riconoscimento della bandiera da parte della Svizzera. “Grazie a una straordinaria mobilitazione civile -spiega Fialas- sono state raccolte più di 35mila firme e il popolo svizzero ha chiesto di dare la bandiera all’Aquarius. Per legge, in Svizzera, superata una determinata soglia di firme la questione posta deve essere discussa a livello federale. Cosa che è avvenuta. La decisione del Consiglio federale è giunta il 30 novembre ed è stata comunicata ufficialmente il 3 dicembre. Il diniego è stato accompagnato da motivazioni contraddittorie. Sostanzialmente la Svizzera ha detto che non poteva dare la bandiera fino a quando non ci sarebbe stato un sistema europeo coordinato sugli sbarchi, sui salvataggi in mare, sulle migrazioni. Il che è paradossale visto che noi operiamo in conformità alle leggi internazionali marittime. Ma questo è il frutto del clima politico che si respira in generale in Europa, come dimostra anche la retromarcia di diversi Paesi rispetto al Global Compact on Migration delle Nazioni Unite”.

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