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Ambiente / Attualità

Le Alpi Apuane corrono il rischio di diventare montagne sbriciolate

I cavatori producono almeno 3 milioni di tonnellate di scaglie e terre di scarto all’anno. Una parte dei residui è accumulata lungo i versanti, in vere e proprie discariche che rendono fragile l’equilibrio idrogeologico a Massa e Carrara. I detriti del marmo contengono carbonato di calcio fino al 90 per cento

Tratto da Altreconomia 188 — Dicembre 2016
Il bacino estrattivo di Fantiscritti, sulle Alpi Apuane, alle spalle della città di Carrara. Foto di Elia Pegollo

Alle spalle della città di Carrara la strada s’inerpica verso le montagne di marmo. Sopra il borgo di Miseglia, a pochi chilometri dal capoluogo, ci sono due “ravaneti” che incombono sul paese. Tra le Alpi Apuane questa parola descrive i cumuli di materiali di risulta dell’attività estrattiva abbandonati lungo i versanti: di questi detriti -che possono essere scaglie, ma anche terre- ogni anno se ne producono 3 milioni di tonnellate. Un ravaneto può anche essere pericoloso: quando scivola a valle, specie durante i temporali, le polveri più fini miste all’acqua diventano fanghiglia, una “marmettola” che finisce nel bacino dei fiumi apuani (sono tre: il Carrione a Carrara, il Frigido a Massa, il Versilia in Versilia), intorbidendone le acque, intasandone il letto.

1.200 metri: è l’altitudine oltre la quale le cime appenniniche sono tutelate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (l. 137/2002); la “tutela” riguarda anche la morfologia, ma le cave continuano a trasformare le vette delle Alpi Apuane

“Le nostre Apuane sono diventate cave di detriti” dice Alberto Grossi. Massese, Grossi è un funzionario di banca in pensione, ha 65 anni, e nel 2015 ha vinto il premio “Luisa Minazzi” di Legambiente per l’ambientalista dell’anno. Dalla metà degli anni Novanta, la videocamera è il suo strumento di comunicazione: “Cosa c’è sotto le nuvole” (2004) e “Aut Out” (2010), due dei suoi lavori dedicati alle Apuane, sono stati presentati, e premiati, al Trento Film Festival. Il 15 luglio del 2016 nella sua inquadratura sono entrati alcuni mezzi meccanici al lavoro all’interno della cava denominata Castelbaito Fratteta, nel Comune di Fivizzano (MS), all’interno del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane: le immagini girate da Grossi mostrano in modo distinto un camion col cassone ribaltabile gettare detriti su un ravaneto, e altri mezzi movimentare marmo in blocchi.
Quasi due mesi prima, il 27 maggio 2016, il tribunale amministrativo regionale (TAR) della Toscana aveva confermato la sospensione delle attività estrattive voluta dal Parco, poiché il concessionario -la ditta Marmi Walton Carrara- non sarebbe stata nelle condizioni di rispettare le prescrizioni contenute nella Pronuncia di compatibilità ambientale del 2014, in particolare per quanto riguarda l’eliminazione dei rifiuti presenti in cava e il divieto di accrescere il volume del ravaneto.
Così quei fotogrammi sono allegati all’esposto che l’associazione ecologista Gruppo d’intervento giuridico (GrIG, gruppodinterventogiuridicoweb.com) ha presentato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Massa il 4 novembre. L’esposto chiede il sequestro preventivo del bacino estrattivo, e di valutare la consistenza di reati come il disastro ambientale e l’abbandono di rifiuti (cioè i detriti gettati sul ravaneto).
Per comprendere i rischi ambientali, basta leggere la relazione sul bacino del Torrente Carrione che il professor Giovanni Seminara dell’Università di Genova ha presentato al consiglio comunale di Carrara nel novembre del 2015. Seminara, esperto di idraulica fluviale, evidenzia come la presenza di “discariche” di rifiuti dell’attività estrattiva (così definisce i ravaneti) possa favorire in caso di forti piogge un pericoloso apporto di sedimenti che rischiano di intasare i corsi d’acqua a valle. “Oggi i ravaneti sono fatti per lo più di ‘terre’ -sottolinea Seminara-, e per questo poco permeabili. Ciò favorisce il ruscellamento, e la formazione di correnti detritiche”.

Secondo Legambiente Carrara, nel decennio 2005-2014 ben 55 cave su 93 avrebbero sforato il limite del 75% di produzione di detriti in rapporto al marmo estratto in blocchi

“Il dato che mi preoccupa è un rapporto: tre a uno”, sottolinea Alberto Grossi. Per legge, spiega, le cave dei bacini estrattivi di Carrara possono produrre ogni anno un volume di detriti pari a tre volte la massa asportata in blocchi. E il Comune è tenuto a monitorare il rispetto di questa misura, “relazionando alla Regione Toscana entro il 31 marzo di ogni anno”. Grossi ha ricostruito in un file excel i dati relativi al 2014: ben 30 ambiti estrattivi -di cui è ovviamente nota la localizzazione, e anche il nome del concessionario- eccedono questo rapporto: per le due cave più grandi, che da sole producono oltre un quinto dei detriti totali, quasi mezzo milione di tonnellate su 2,3 milioni, il rapporto è nove a uno.
Secondo Legambiente Carrara, che ha analizzato i dati tra il 2005 e il 2014, nel decennio sarebbero ben 55 cave su 93 quelle che hanno “sforato”. È in corso la valutazione ambientale strategica (VAS) relativa ai piani attuativi di bacino estrattivo, e l’associazione ambientalista (www.legambientecarrara.it) è convinta che queste cave potrebbero essere progressivamente chiuse. Anche la Regione Toscana, nel Piano d’indirizzo territoriale del 2015, ha sottolineato l’importanza di migliorare la “compatibilità ambientale e paesaggistica per le attività estrattive delle Alpi Apuane”. E se è vero che l’export di marmo in blocchi lavorato dalla provincia di Massa-Carrara vale almeno 367 milioni di euro (nel 2015, secondo Confindustria Livorno Massa Carrara), lo è anche il fatto che queste “cave di detriti” non migliorano il conto economico del comparto e l’immagine delle Apuane nel mondo. Eppure, 39 società di escavazione hanno appena dato vita a Marble Way, una società nata con l’obiettivo di valorizzare la gestione dei “residui dei marmi, derivati dai tagli, il cui contenuto di carbonato di calcio è del 90%”, come spiega ad Altreconomia il presidente Giuseppe Baccioli, già alla guida di Assindustria Massa Carrara. Il consorzio è stato presentato lunedì 7 novembre. Nasce da una considerazione: “la produzione di marmo in blocchi è ferma a intorno a un milione di tonnellate all’anno, meno dell’1% di quanto viene estratto nel mondo. La nostra- dice Baccioli- è una gara per sopravvivere”.
Da giocare, imparando a vendere anche le montagne sbriciolate, come fa già Omya spa, filiale italiana dell’omonima multinazionale svizzera, che a Carrara ha due stabilimenti: il carbonato di calcio è utilizzato nell’industria alimentare e in quella per l’igiene della persona, nell’edilizia -pittura, sigillanti- e negli imballaggi. Marble Way pensa di poter usare scaglie e terre anche per l’arredo urbano, sviluppando progetti anche in collaborazione con alcune università.
Il nome di Omya si legge anche in una sentenza della Corte Costituzionale, pubblicata il 24 ottobre, e relativa alla legge toscana sulle cave. Nel 2015, la Regione aveva deciso che una serie di aree estrattive -quassù chiamati “agri marmiferi”- nei territori di Massa e Carrara, sarebbero dovute tornare a far parte del patrimonio indisponibile comunale, dato che oggi sono considerati a tutti gli effetti di proprietà privata, anche di soggetti come Omya, in virtù di un editto ducale del 1751 che li definisce “beni estimati”. Secondo la Corte, la Regione Toscana avrebbe violato le proprie competenze: spetta allo Stato, insomma, decidere se porre fine o meno alla “privatizzazione” delle Alpi Apuane.

Nella Cava Romana-Rava sono stati trovati quattro tunnel scavati dentro la montagna senza autorizzazioni. Il marmo “Bianco P” asportato varrebbe almeno 12 milioni di euro

Questo è solo un aspetto. L’altro riguarda l’esclusione dei bacini estrattivi di Carrara dal Parco regionale delle Alpi Apuane, che con le proprie ordinanze potrebbe garantire trasparenza e controlli. “Finalmente c’è maggiore attenzione nei confronti delle nostre azioni -racconta Franca Leverotti, socia GrIG, già docente di Storia medievale all’Università di Milano-Bicocca e consigliera di Italia Nostra-: a partire dal primo esposto del Gruppo d’intervento giuridico, relativo alla marmettola dei corsi d’acqua e indirizzato nell’agosto del 2015 al ministero dell’Ambiente, a quello dei Beni culturali, alla Regione Toscana, alla Corte dei Conti, e non solo alla Procura di Massa, le nostre denunce non cadono nel vuoto”.
Leverotti sottolinea l’importanza di attivare anche la Procura della Corte dei Conti, cioè la magistratura contabile dello Stato: il rischio di una condanna per danno erariale è stata capace di allertare funzionari e dirigenti pubblici. L’esempio più evidente, spiega, è l’ordinanza (del giugno 2016) con cui il Parco regionale delle Alpi Apuane ha sospeso lo sfruttamento della Cava Romana-Rava, nel territorio del Comune di Massa, dopo che i Guardiaparco avevano rilevato “lavorazioni realizzate in difformità dalle autorizzazioni rilasciate” ed elevato due verbali a Giorgio Turba, legale rappresentante della ditta Turba Cava Romana srl e presidente della Massese Calcio. “Da lì a pochi giorni si sarebbe riunita la Conferenza dei servizi per discutere la richiesta di proroga dell’autorizzazione per la coltivazione della cava Romana -racconta Leverotti-: anche se l’attività estrattiva si svolgeva all’interno del Parco, i Guardiaparco fino a quel momento non avevano fatto sopralluoghi”. Dentro la montagna, hanno trovato quattro gallerie scavate al di fuori della zona prevista nel progetto autorizzato, misurandone il volume: “Complessivamente, 4.263 metri cubi, che sono pari a circa 12mila tonnellate di marmo” calcola Alberto Grossi. Quello estratto all’interno della cava Romana è il prezioso “Bianco P”, senza sbavature, “un marmo pregiato, utilizzato in particolare nell’arte funeraria, che vale fino a 8mila euro la tonnellata” spiega Grossi. Calcolando, per difetto, un prezzo medio di 1.000 euro a tonnellata, il marmo estratto senza autorizzazione varrebbe almeno 12 milioni di euro. “E i Guardiaparco hanno annotato l’esistenza di una ulteriore galleria, che però risultava chiusa da una grata, e di cui hanno misurato la profondità, oltre 29 metri. In casi come questo il danno ambientale è anche danno erariale”. Almeno 100mila euro, dato che la tariffa “canone marmi” è pari a 8,30 euro per tonnellata nel Comune di Massa. Ma forse 1,2 milioni, se il calcolo venisse fatto sul valore medio di mercato del marmo, come auspicato dalla legge regionale toscana.

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