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Diritti / Attualità

“Una vera legge sulla tortura”. L’appello al Parlamento

Dal pm del processo Diaz al giudice di appello sul caso di Bolzaneto. Studiosi e testimoni di tortura si rivolgono ai parlamentari chiedendogli di approvare una legge rispettosa delle convenzioni internazionali e non frutto di “incomprensibili compromessi”. Quella in discussione in Parlamento sarebbe infatti un “pericoloso arretramento” per lo Stato democratico

La proposta di legge sul reato di tortura ferma in Senato dal luglio scorso non è una buona legge. È una “non legge” che va nella “direzione opposta” rispetto agli standard internazionali delle Nazioni Unite. E nemmeno un eventuale ritorno al testo approvato alla Camera nel 2015 -anch’esso gravemente carente in alcuni punti fondamentali- cambierebbe il quadro.

Ad affermarlo sono testimoni, studiosi, operatori di giustizia che in questi anni si sono occupati a vario titolo di abusi di potere e casi di tortura -dal pm del processo Diaz, Enrico Zucca, al giudice di Corte d’appello nel processo Bolzaneto, Roberto Settembre, dal giornalista Lorenzo Guadagnucci alla presidente del Comitato Verità e giustizia per Genova, Enrica Bartesaghi-, autori di un appello pubblico (lo sottoscriviamo anche noi della redazione di Altreconomia) lanciato il 6 marzo 2017 contro quello che definiscono un “pericoloso arretramento per lo Stato democratico”, a favore di una “vera legge sulla tortura”.

Il testo in discussione a Palazzo Madama, secondo i firmatari, è “contorto e inusuale” e rischia di “rendere incerto e di difficile applicazione il crimine di tortura”, rivelandosi nei fatti “controproducente”. Prima di tutto la formulazione del reato di tortura come reato “comune” (cioè che “chiunque” potrebbe commettere) è in piena contraddizione con “lo spirito della Convenzione Onu e l’ampia letteratura in materia di tutela dei diritti fondamentali, oltre che la stessa secolare storia della tortura, il reato del potere pubblico statuale o gestito all’ombra di quello”. Anche il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha indicato da tempo la strada del reato specifico (del pubblico ufficiale). Che invece l’Italia vuole ignorare.

SCARICA QUI L’APPELLO PER “UNA VERA LEGGE PER LA TORTURA”

Non è previsto alcun divieto di prescrizione, che è invece “cardine delle normative internazionali contro la tortura, ribadito con fermezza da tutta la giurisprudenza della Corte europea per i diritti umani”. Per le vittime della tortura non è istituito alcun fondo che assicuri sostegno e cura da parte dello Stato. Su questi punti e ancora, per definire la tortura, il testo approvato dalla commissione Giustizia del Senato utilizza espressioni come “violenze o minacce gravi”, mentre negli altri ordinamenti la formula è opportunamente lasciata al singolare. Esclude poi le condotte “omissive”, considerando solamente quelle “attive” e sancendo -secondo i promotori dell’appello- “la liceità della tortura (una volta si può)”.

Il torturato, qualora il ddl in Senato vedesse la luce, dovrà provare d’aver patito un “verificabile trauma psichico”, offrendo così il fianco a “incerte verifiche tecniche l’applicabilità del crimine di tortura, prefigurando anche pericolose disparità di trattamento”. Un’impostazione che è a dir poco “meno rigorosa” rispetto al quadro internazionale: il torturatore sarà tale quando avrà agito “con crudeltà”, potendo così contare su un “sicuro quanto incomprensibile restringimento delle possibilità di applicazione”, come si legge nell’appello.
“Una normativa sulla tortura che voglia essere efficace, sia nella punizione sia nella prevenzione del crimine -proseguono gli autori dell’iniziativa- non può ignorare la necessità di sospendere e sottoporre a provvedimenti disciplinari i pubblici ufficiali sottoposti a inchieste e processi”. Elemento che invece non rientra nel disegno di legge “bloccato” dall’estate 2016 in Parlamento e che non incoraggia le forze dell’ordine “nella loro evoluzione democratica”.

“La legislazione italiana in tema di tortura è inadeguata rispetto all’esigenza di sanzionare gli atti in questione e al tempo stesso priva dell’effetto dissuasivo necessario per prevenire altre violazioni simili” – Corte europea dei diritti umani, sentenza Cestaro contro Italia, 7 aprile 2015

In tema di diritti umani, riflettono i promotori dell’appello, la teoria del compromesso è una sconfitta: “Una legge difettosa, difficilmente applicabile, frutto di incomprensibili compromessi, non sarebbe d’aiuto nel difficile compito di prevenire e limitare gli abusi di potere e di favorire la trasparenza e l’assunzione di responsabilità da parte dei pubblici ufficiali. Non dovrebbe essere quindi approvata con la giustificazione che sarebbe ‘il massimo’ possibile. Se l’attuale Parlamento non è in grado di approvare una buona legge sulla tortura, in linea cioè con gli standard indicati sopra, dovrebbe assumersi la responsabilità di prenderne atto e accettarne le conseguenze, in un rapporto aperto e leale con i cittadini”. Come? “Impegnandosi a includere nella futura legge italiana i punti cardine della Convenzione Onu contro la tortura”. Il testo esiste già.

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