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Antonio Montinaro: un uomo, non un vigliacco

I resti dell'auto in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Laura Morvillo e gli agenti della scorta

Il 21 marzo, a Padova, si è tenuta la Giornata nazionale in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Tra queste, la storia del caposcorta di Giovanni Falcone, ucciso a 29 anni. La rubrica di Pierpaolo Romani

Tratto da Altreconomia 213 — Marzo 2019

“Chiedere un favore è come firmare una cambiale in bianco. Se non ti piace studiare vieni a lavorare con me. Io non chiederò mai a nessuno il favore di trovarti un lavoro”. Questo diceva il padre ad Antonio Montinaro, agente di polizia e caposcorta di Giovanni Falcone, quando era ancora un ragazzino che faticava a frequentare la scuola. Montinaro è morto a 29 anni nella strage di Capaci del 23 maggio 1992, insieme ai colleghi Rocco di Cillo e Vito Schifani, e ai giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo.

A casa Montinaro si viveva una vita semplice. La famiglia campava con una piccola pescheria. La madre si definiva “orgogliosamente analfabeta”. Insieme al marito, tuttavia, aveva deciso di investire in cultura e formazione per i propri figli, convinta che il futuro sarebbe stato migliore solo combattendo l’ignoranza attraverso la conoscenza. “In famiglia ci nutrivamo di pane, Bibbia e Costituzione” ha raccontato la sorella Matilde a 200 studenti veneti che partecipano a un percorso educativo promosso dalla Regione del Veneto, in collaborazione con Avviso Pubblico e la partecipazione di Libera, per ricordare le vittime innocenti delle mafie.

Il 21 marzo, a Padova, si è svolta la Giornata nazionale proprio in ricordo delle mille persone barbaramente assassinate dalle mafie. Organizzata per la prima volta da Libera nel 1996 e, successivamente con la collaborazione di Avviso Pubblico, dallo scorso anno il primo giorno di primavera è diventato per legge una giornata della Repubblica italiana. “Non possiamo dimenticare chi è stato ucciso dalle mafie. Dietro ogni nome c’è un volto, un’identità, una storia. Non ricordare queste persone significa ucciderle una seconda volta” ha sottolineato Matilde Montinaro.

Tantissime vittime innocenti delle mafie -tra cui magistrati, appartenenti alle forze di polizia, preti, sindacalisti, imprenditori, amministratori locali, medici e tanti cittadini- “non erano eroi o miti” ha sottolineato la sorella del caposcorta di Falcone. “Mio fratello e tanti altri come lui erano persone normali, cittadini che hanno svolto fino in fondo e con responsabilità il loro dovere senza girarsi dall’altra parte”. Dopo aver ascoltato queste parole, alcuni ragazzi hanno chiesto a Matilde se suo fratello avesse paura a svolgere il suo lavoro e lei ha risposto: “Antonio aveva paura ma, soprattutto, ha avuto tanto coraggio per combatterla”. E per testimoniare quanto fosse vera questa affermazione ha fatto ascoltare la voce del fratello tratta da un’intervista, postata anche su YouTube, concessa pochi giorni prima di morire. In quell’occasione, Antonio Montinaro disse: “Chi decide di fare la mia attività ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualcosa che tutti abbiamo. Chi ha paura sogna, ama, piange. È un sentimento umano. È la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell’ottica umana. Io come tutti gli uomini ho paura, ma non sono un vigliacco”.

1.000 è il numero delle vittime innocenti delle mafie. I loro nomi e le loro storie si possono consultare sul sito: vivi.libera.it

Essere in tanti a Padova il 21 marzo è stato fondamentale. Fare memoria delle vittime innocenti delle mafie, infatti, significa anche stare vicino ai loro famigliari, molti dei quali hanno trasformato il loro dolore in impegno civico, e comprendere che è necessario che tutti chiediamo verità e giustizia su decine e decine di orrendi delitti e stragi che hanno insanguinato la storia d’Italia. Un Paese diverso e migliore si può costruire soltanto sulla verità.

Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”.

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