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Ambiente / Opinioni

Ancora una giornata sul suolo e quindi contro il suo consumo

Il 5 dicembre è la Giornata mondiale del suolo. “Continuiamo a non fare nulla contro il suo consumo -denuncia il prof. Pileri- e oggi Covid-19 ci dà pure una mano a non pensarci, a spostare la questione in fondo all’agenda. Eppure consumo di suolo e pandemia sono imparentati”

Cagliari - © Paolo Pileri

Nonostante Covid-19 stia monopolizzando e scolorando tutto, il 5 dicembre è la giornata mondiale, e sottolineo mondiale, del suolo. Oggi, la Milano che non si ferma, l’Italia che non si ferma, la politica che non si ferma, la Borsa che non si ferma, la corsa della delivery economy che non si ferma dovrebbero invece fermarsi, abbassare il proprio sguardo a terra e vedere cosa c’è là sotto, umilmente ai loro piedi. C’è la risorsa più fragile e necessaria al mondo: la terra.

Solo con il suolo mangiamo, visto che il 95% del cibo arriva dalla terra senza che ci chieda un affitto o un soldo. Solo con il suolo abbiamo una miglior qualità dell’aria che poi vuol dire anche minor rischio di beccarsi il Covid-19 visto che se l’aria è pessima, è più alta la possibilità di bronchiti che piacciono assai a Covid-19 per farci fuori più alla svelta. Solo con il suolo non affoghiamo visto che assorbe milioni di litri di acqua per ettaro quando non è cementificato. Solo con il suolo libero non aumentiamo la spesa pubblica mentre con quello cementificato mettiamo in tasca debiti pubblici su debiti pubblici. Solo con il suolo troviamo rimedi sanitari inattesi: antibiotici, antivirali, farmaci generici hanno principi attivi che spesso arrivano da funghi, alghe, batteri che vivono in quei 30 centimetri di suolo sotto i nostri piedi.

Insomma, solo con il suolo viviamo. Ma non ce lo diciamo. Non socializziamo la cosa. Il messaggio ancora non passa, visto che il cambiamento di uso del suolo è tra le prime cinque cause al mondo della insostenibilità ovvero dei cambiamenti climatici. E lo è anche in Italia, anche sotto le nostre finestre.
A Roma e Milano vogliono costruire nuovi stadi inutili mangiando suolo. In Sicilia come in Lombardia come in Veneto sono sempre lì a cercare di fare strade e autostrade inutili e mangiano suoli. Il mito abbagliante dell’economia dei pacchi (si dice delivery economy) sta uccidendo gli ultimi piccoli negozi rimasti e intanto si mangia centinaia di campi agricoli per fare i suoi capannoni e far correre i suoi tir. Non abbiamo suolo a sufficienza per mangiare e stiamo cementificando e inquinando quel che rimane, senza scrupoli. Siamo matti.

Forse questa non dovrebbe essere la giornata del suolo, ma una giornata dove ci dicono che siamo dei pazzi che viaggiano a tutta velocità con una benda sugli occhi, senza vedere chi travolgiamo e dove ci schianteremo.
Non so se sia eccesso di fiducia nelle istituzioni e nella politica, o illusione bella e buona e niente di più, o un atto di infinita resistenza, quel che fa sì che, ancora, siamo qui a dire che oggi è una giornata in cui tutto il mondo si deve fermare a pensare al suolo e chiede ai suoi calpestatori di smetterla, di pentirsi. Io chiuderei le Borse, le sale bingo e le piattaforme online come segno di rispetto davanti al suolo. Ma qui non si chiude neppur un vicolo.

Mi viene in mente la vedova Schifani che nel 1992 piangeva nella cattedrale di Palermo tentando di dire parole difficili rivolte a quei luridi mafiosi che avevano ucciso Falcone, la moglie e gli agenti di scorta, tra cui suo marito. Leggeva un testo dove chiedeva a quei mafiosi di pentirsi e di fermarsi. Ma poi, piangendo e singhiozzando, con parole sue diceva a tutti “ma tanto loro non si fermano. Non si pentono”. Chi di noi vide quelle immagini in diretta ricorda bene la scena. I testi formali da una parte, le parole di verità disilluse dall’altra. Io avevo 25 anni all’epoca e piansi altre lacrime oltre a quelle per l’attentato e i morti. La vedova Schifani era l’Italia turrita che si accartocciava su se stessa dicendo tra le lacrime che quelli non si sarebbero fermati. Un’Italia che cerca braccia che la sorreggano. Oggi siamo più o meno come in quel giorno funereo. Anzi peggio.

Il suolo italico, come lo chiamava Luigi Einaudi, è agonizzante ma non ci sono braccia a sorreggerlo perché non stiamo celebrando nessun funerale visto che continuiamo a consumare suolo in questo Paese (e non sta diminuendo: due metri quadrati al secondo da tre anni a questa parte) senza averne sostanzialmente bisogno e senza avere neppure un minimo dubbio di fare una cosa inutile, sbagliata, grave e che inchioda le prossime generazioni alla povertà e al conflitto. Figuriamoci se ci mettiamo ad ascoltare il suolo, se anche noi ci pentiamo, se ci fermiamo. Continuiamo a partorire leggi imperfette e forse appositamente incapaci di fermare il consumo di suolo, continuiamo a non parlarne nelle Università quanto si dovrebbe, continuiamo a pensare prima ai compromessi e poi alle soluzioni, continuiamo ad avere un Parlamento che non ne parla, continuiamo a dire che sono le bombe d’acqua a uccidere quando invece quei morti sono omicidi climatici di cui siamo complici quantomeno, continuiamo ad avere politici che neppur sanno cosa è il suolo eppure amministrano con spocchia e approvano trionfalmente piani e grandi opere, continuiamo ad avere urbanisti e tecnici pubblici e privati che infilano nei piani urbanistici modi furbi per consumare come prima, continuiamo a inquinare i suoli agrari con una agricoltura tossica, e via di questo passo.

Più che usarlo il suolo lo usuriamo. In buona sostanza, continuiamo a non fare nulla e oggi Covid-19 ci dà pure una mano a non pensarci, a ficcare questa questione ai piani bassi dell’agenda pubblica, a dire che ci sono cose più gravi da affrontare così da assolverci prima del tempo, prima di capire che consumo di suolo e Covid-19 sono imparentati. E così, nonostante il 5 dicembre in memoria del suolo, ho il sospetto che non succederà nulla. Ma spero di sbagliarmi e quindi che accada qualcosa. Ma non per fare la solita lezioncina ai nostri bambini a scuola: “Sappiate che il suolo è importante e i lombrichi pure”. Loro lo sanno e ridono quando noi riduciamo tutto a lombrichi e talpe. Loro sanno che il suolo è un grande ammortizzatore dei cambiamenti climatici. Sanno che dal suolo dipende il futuro. Sanno che è fragile, non rinnovabile e non resiliente. Siamo noi a infischiarcene. Queste giornate non sono fatte solo per i bambini, ma per i presidenti di Regione, i sindaci, i parlamentari, i ministri, il presidente del consiglio e perfino il presidente della Repubblica: perché dicano qualcosa sul suolo. Ricordiamoci il principio delle responsabilità differenziate. Vale anche qui.

Chi governa, chi è influente, chi è ascoltato non ha le medesime responsabilità di chi è governato. Ha anche “presa” sulle persone. Ecco che allora speriamo di ascoltare qualcosina, magari non alle tre di notte, ma possibilmente in prima serata, a reti unificate. Qualcosa che restituisca dignità alla terra, che ci sproni tutti a conoscerla e rispettarla, che faccia capire che da quelle zolle dipendiamo, che responsabilizzi il più piccolo sindaco d’Italia a non essere indifferente, che spieghi che dobbiamo occuparcene tutti innanzitutto parlandone, che faccia venire voglia di cambiare le leggi. Chissà se questo accadrà o se invece il tappeto spesso e polveroso di Covid-19 (insieme alla cozza della solita economia predona) sarà la grande scusa pronta all’uso per non dire nulla (“Con così tante cose brutte, vuoi parlare di suolo?”) e assolvere vip, politici, intellettuali dal fare qualcosa, dal prendersi impegni, dal capire e far capire che il consumo di suolo ci rende più fragili. Chissà.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)

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