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Debito pubblico, titoli e minibot. La strada stretta del Tesoro

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L’ipotesi di utilizzare i minibot come carta moneta italiana nella fase di transizione dall’euro alla lira è davvero insidiosissima. Soluzioni di questo genere, volte a dar vita a una complessa ingegneria finanziaria che ricorda da vicino la vicenda dei derivati, favorirebbero l’allontanamento dei compratori del debito italiano, aggravando la situazione. L’analisi del prof. Alessandro Volpi

Il debito pubblico italiano ha assunto ormai dimensioni decisamente critiche e ha bisogno di compratori perché non è pensabile che continui ad essere finanziato dalla Banca d’Italia e da altre banche italiane, attraverso la liquidità della Bce, come è avvenuto in larga misura negli ultimissimi anni. Se per coprirlo non si intende procedere lungo la strada del prelievo forzato sul risparmio degli italiani, è necessario quindi che i titoli del nostro debito recuperino credibilità anche in previsione del giudizio delle agenzie di rating. Non bisogna dimenticare che se il debito venisse ulteriormente declassato, finirebbe per essere classificato come “spazzatura” e quindi non potrebbe più essere acquistato dagli investitori istituzionali che, anzi, sarebbero spinti dalle autorità di controllo sui loro bilanci a venderlo. In questo senso è bene aver altrettanto chiaro che il problema per la finanza pubblica italiana non discende dalle sanzioni europee in se stesse, ma dalle conseguenze che queste potrebbero avere proprio sui potenziali, indispensabili, compratori di titoli. Il combinato disposto di eventuali declassamenti e di sanzioni europee toglierebbe definitivamente qualità al debito italiano obbligando il Tesoro alla sua dolorosa ristrutturazione; ciò significherebbe il rimborso solo parziale dei creditori dello Stato italiano e dunque l’avvio di un default. Sembra che questo percorso sia già purtroppo in parte tracciato e la sensazione è che si stia facendo di tutto per accelerarlo.

Non si capisce che senso abbiano infatti proposte come quella dei minibot o della moneta fiscale. I minibot sono stati concepiti -peraltro da una mozione parlamentare bipartisan votata da maggioranza e opposizione- per pagare i debiti dello Stato verso i creditori delle pubbliche amministrazioni; si tratta di un obiettivo importante, vista la forte esposizione che tali enti hanno ancora verso i loro fornitori, pari a circa 60 miliardi di euro. L’utilizzo dei minibot avrebbe lo scopo di liquidare subito tali crediti, con benefici per le aziende e i soggetti interessati, evitando di coprirli con un aumento del carico fiscale o con incrementi del Debito pubblico. I minibot, a differenza dei titoli di Stato, infatti non accrescono subito il debito statale perché non vengono considerati nella contabilità pubblica fino a quando lo stesso Stato o le amministrazioni locali non procederanno a pagarli “realmente”. In questo senso dovrebbero funzionare in maniera analoga ai crediti fiscali che potrebbero essere messi in circolazione per pagare debiti dello Stato e poi rivenduti. Chi vanta crediti nei confronti dello Stato potrebbe essere pagato, in tale prospettiva, con uno sconto fiscale che potrebbe essere ceduto ad altri come se si fosse in presenza di una moneta. Anche in questo caso il debito non salirebbe e la speranza, nutrita dagli ideatori sia dei minibot sia dei crediti fiscali, è quella che nell’arco di tempo compreso fra la loro emissione e la loro scadenza, grazie al mancato ricorso al debito e all’aumento fiscale, salga il Pil.

L’incremento del Pil, in tal senso, dovrebbe rendere sostenibile l’aumento del debito prodotto, in ritardo dopo la loro emissione, dagli stessi minibot e dai crediti fiscali, destinati comunque a generare nel tempo una minore entrata per le casse pubbliche. Simili operazioni presentano però un duplice, evidente pericolo. In primo luogo minibot e crediti fiscali costituiscono una scommessa; si creano strumenti di pagamento che non fanno crescere subito il debito, ma solo dopo due-tre anni in base alle loro scadenze, scommettendo appunto sulla possibilità che nel frattempo cresca il Pil. Ma se il Pil non crescesse, o in alternativa, i soggetti entrati in possesso dei minibot e dei crediti non fossero nelle condizioni di utilizzarli per pagare i loro debiti verso lo Stato, allora l’esplosione del debito pubblico risulterebbe molto pesante. Ci potrebbe essere il rischio anche che, per rendere utilizzabili i crediti fiscali, vengano decisi nuovi aumenti della tassazione, rendendo del tutto vana l’emissione degli stessi crediti. In secondo luogo esiste il pericolo, come del resto preannunciato da alcuni dei promotori degli stessi minibot, che la loro creazione sia finalizzata non solo a dilazionare i tempi di crescita del debito ma a dar vita ad una moneta parallela -vietata dai Trattati europei- in grado di preparare l’uscita italiana dall’euro.

In altre parole, i minibot sarebbero la carta moneta italiana da utilizzare nella fase di transizione dall’euro alla lira; un’ipotesi davvero insidiosissima. È molto probabile, allora, che soluzioni di questo genere, volte a dar vita ad una complessa ingegneria finanziaria che ricorda da vicino la vicenda dei derivati, favoriscano l’allontanamento degli indispensabili compratori del debito italiano, aggravando il già ricordato percorso verso la ristrutturazione del debito. Se poi si fanno girare bozze di “letterine” all’Europa più o meno credibili, o si forniscono risposte tutte centrate sul primato della politica nazionale, l’arrivo delle tempesta degli spread, che aprirà in concreto la fase di ristrutturazione del debito pubblico italiano, rischia di essere davvero alle porte.

Università di Pisa

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