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Ammalati e offesi

È per colpa di lavori degradanti e non tutelati che i lavoratori irregolari si ammalano quando stanno in Italia. Dove un decreto non ancora operativo vorrebbe fossero denunciati se si recano in ospedale. Con rischi per tutti H. si alza…

Tratto da Altreconomia 105 — Maggio 2009

È per colpa di lavori degradanti e non tutelati che i lavoratori irregolari si ammalano quando stanno in Italia. Dove un decreto non ancora operativo vorrebbe fossero denunciati se si recano in ospedale. Con rischi per tutti

H. si alza alle quattro del mattino per andare a lavorare nelle campagne di Castelvolturno, in provincia di Caserta.
Alle 5 l’odore di mare arriva fino alla piazza dove si trovano centinaia di migranti pronti per essere caricati sui furgoni che li accompagnano nei campi di fragole, insalata e pomodori.
H. viene dalla Nigeria e soffre di mal di schiena cronico. Per 12 ore al giorno ripete lo stesso gesto: in questo periodo dell’anno la semina dei pomodori (la paga giornaliera è 25 euro, 5 per il caporale). Nella stessa piazza c’è S., 40 anni, viene dall’Ucraina e raccoglie le fragole sotto le serre. L’unica protezione contro i pesticidi usati in maniera massiccia è un paio di guanti da cucina. Nessuno però le ha detto che non servono per proteggersi dalle malattie della pelle e dalle infezioni delle vie aeree. Senza contratto di lavoro, senza diritti e totalmente al di fuori delle norme di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro, persone come H. e S. sono arrivate in Italia sane e si ammalano perché togliere loro i diritti significa abbassare il prezzo della loro fatica. È la miopia di chi li rifiuta ad ogni costo e vede solo i profitti di un sistema produttivo che sfrutta queste braccia per sostenere l’agricoltura nazionale. È la vita quotidiana di una comunità di 14mila disperati, 2-3mila sono donne. La scarsa presenza dello Stato e l’alta densità demografica ha favorito l’insediamento. Vivono in squallide case di villeggiatura abbandonate, pagano l’affitto ma sono invisibili: vittime di violenze e soprusi non conoscono i propri diritti sanitari. Si ammalano perché non hanno acqua potabile da bere, né luoghi salubri in cui vivere. Qui si possono vedere i frutti di una dinamica economica che taglia i costi sanitari agli immigrati, ma il risparmio è solo di facciata. Medici senza frontiere nel rapporto sulle condizioni degli immigrati nelle regioni del Sud Italia snocciola i dati. Movimenti ripetitivi e sforzi da lavori agricoli provocano lombosciatalgie nel 57% dei pazienti, 6 lavoratori su 10 soffrono di infezioni alle vie respiratorie a causa del freddo e dei pesticidi usati nelle serre. Il 74% soffre di carie per carenza di calcio, nutrienti e scarsa igiene orale.
Il 60% sviluppa malattie infettive perché vive in luoghi di fortuna senza servici igienici, acqua corrente e raccolta di immondizia. Ma anche problemi psico-affettivi: molti scappano dalla guerra, dalla povertà e dalle malattie con la speranza di una vita nuova non di finire schiavi nello squallore delle campagne e delle città del Belpaese. L’ipocrisia dello sfruttamento: le patologie sono curabili con terapie antibiotiche e semplici cure da medicina di base ma in Italia si cronicizzano perché non si ha un medico cui rivolgersi né i soldi per acquistare le medicine. A Castelvolturno, Villa Literno, San Cipriano e Aversa Medici senza frontiere ha portato uno staff di medici, infermieri e mediatori culturali per l’assistenza medica negli ambulatori “stp” (stranieri temporaneamente presenti) gestiti in collaborazione con l’Asl locale. Informazioni, sensibilizzazione, prevenzione e 4 ambulatori dove ricevere le prime cure è il lavoro quotidiano. Spesso per assistere alcolismo, malattie sessuali, depressioni, i segni dell’autolesionismo e delle violenze. Come nel caso di K., 23 anni, dal Sudan della guerra civile è arrivato in Italia come richiedente asilo. È scappato dal Cpt di Lampedusa e ora vive a Castelvolturno. Nei campi ha protestato contro un caporale che trattava lui e i suoi compagni come bestie, è stato preso a botte per insegnare a tutti l’educazione. “Sono scappato dall’inferno del Darfur per ritrovarmi in questa campagna del cazzo, picchiato dai caporali” spiega amaramente K. In ambulatorio arrivano spesso con patologie ormai croniche che generano una spirale perversa: senza lavoro non si mangia e non si spediscono soldi a casa, ma lavorando come bestie si acutizza il male finché diventa cronico e prima o poi si è costretti a fermarsi per sempre. Il corpo non regge più lo sforzo fisico. E a 35 anni ne dimostri 50 con volti scavati e corpi piegati dalla fatica. Ma al peggio non c’è fine. A febbraio dopo l’annuncio del Governo di sopprimere dal Testo Unico sull’immigrazione la norma che sancisce il principio di “non segnalazione” (vedi box) per due settimane i migranti spariscono dai centri di assistenza. “Chi ha paura non si presenta più nelle strutture sanitarie -racconta Antonio Virgilio, capo-missione di Msf- non si fa curare e si rivolge a sistemi paralleli illegali: in casa si fanno le interruzioni di gravidanza”. E la totale mancanza di controllo sanitario comporta rischi anche per la salute pubblica. A marzo si presenta all’ambulatorio stp dell’Ospedale Ascalesi di Napoli un ragazzo nigeriano con prurito alle gambe. La dermatologa Patrizia Forgione lo visita e non ha dubbi: lebbra. Un tempo considerata una maledizione di Dio e incurabile, in Italia i focolai sono praticamente estinti e la malattia è considerata rara. Ma nel cuore del capoluogo campano se ne contano già 5 casi. Il ragazzo è scappato e con lui ogni possibilità di curarlo ed evitare il contagio. A questi si aggiungono 8 casi di tubercolosi. “Il trenta per cento degli immigrati -spiega Patrizia Forgione- hanno infezioni cutanee; Tbc e lebbra stanno tornando e la stupidità di questa legge favorisce la mancanza di controllo delle malattie”. E fuga dall’assistenza sanitaria. A Castelvolturno le donne nigeriane non portano più i bambini a fare le vaccinazioni e in qualche caso ritirati dalle scuole per paura di denunce. Anche nell’ambulatorio stp di Napoli l’effetto annuncio di Palazzo Chigi ha prodotto risultati immediati: meno 50% di migranti nelle settimane successive alla notizia. Paura e diffidenza hanno allontanato centinaia di persone e preparato il terreno all’eccesso di zelo. A marzo una donna cinese si rivolge al Pronto soccorso per un blocco urinario. Si risolve con un semplice catetere ma la prima cosa che gli viene chiesta sono i documenti sotto minaccia di denuncia alla Polizia. “Il paradosso è che la legge è ancora in discussione e ai pazienti italiani nessuno ha mai chiesto nulla” commenta Paolo Fierro, medico e fondatore dell’ambulatorio stp. Già i migranti sono vittime di ignoranza, razzismo e rifiuto. Sono centinaia i casi simili nella sola Napoli, come la storia di Kante, rifugiata politica dalla Costa d’Avorio che al momento di partorire viene denunciata per mancanza di documenti. Esattamente ciò che la norma in vigore non prevede. A Napoli l’ambulatorio stp è nel cuore del quartiere Forcella, controllato dalla camorra dei clan Giuliano e Nuvoletta. Uomini e donne dall’Ucraina, Romania, Senegal, Marocco, Algeria, Nigeria, Pakistan e Cina si mettono in fila pazienti per parlare con un medico. Due volte alla settimana, una media di 400 pazienti al mese. I migranti vivono nelle cantine affittate dalla camorra dove un tempo si nascondevano sigarette di contrabbando. Da quei rifugi di fortuna spuntano per farsi curare traumi, ferite, malattie alla vie respiratorie e depressioni. Paolo Fierro non ha dubbi sul valore dell’ambulatorio: “Il lavoro nero non paga i contributi, ma la ricchezza che generano i migranti dobbiamo ridistribuirla come assistenza sanitaria”.

I tagli del ministero
Migliaia di volontari e 700 medici in Italia assistono gli immigrati senza permesso di soggiorno sopperendo di fatto alle carenze della Sanità pubblica.
Il ministero della Salute stima una spesa di 42 milioni di euro, divisi tra Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) con 30 milioni stanziati e 12 milioni dal Ministero dell’Interno. Queste risorse sono previste dalla Legge Turco-Napolitano ma da qualche anno risultano insufficienti per curare 650-800mila stranieri irregolari. Le spese sono lievitate fino a 60 milioni di euro, 18 erogati da Regioni ed enti locali e rimborsati dal Servizio sanitario nazionale. Nella sola Lombardia 20 associazioni (7 in provincia di Milano) si rimboccano le maniche per curare gli immigrati anche al di fuori dei codici stp garantiti dal ministero della Salute e soprattutto per le malattie meno gravi. A Milano dal 1987 il Naga offre assistenza a cittadini irregolari effettuando più di ventimila visite all’anno e 9mila persone assistite tra immigrati temporaneamente presenti, rifugiati politici e nomadi. Chi si rivolge è soprattutto la fascia più debole dell’immigrazione: stranieri di recente arrivo con problemi sociali, economici, lavorativi, linguistici e di marginalità relazionale.
Il ministero della Salute per un cittadino italiano stima una spesa annua di 1.100 euro, l’irregolare costa solo 75 euro.

Un diritto negato
La legge “Bossi-Fini”, l’attuale normativa sull’immigrazione, garantisce il diritto alle cure sia per gli stranieri regolarmente presenti sul territorio che per gli irregolari. Gli stranieri che si trovano in Italia senza permesso di soggiorno e necessitano di cure mediche urgenti e necessarie possono accedere al Sistema sanitario nazionale richiedendo un tesserino chiamato codice stp (straniero temporaneamente presente). Il codice è un libretto sanitario anonimo che permette di rivolgersi alle strutture sanitarie senza alcun timore di essere denunciato alle autorità. Ma con il pacchetto sicurezza del ministro dell’Interno Roberto Maroni, la Lega Nord presenta a febbraio un disegno di legge che dà la possibilità per i medici di denunciare gli immigrati clandestini che si recano nelle strutture sanitarie pubbliche. Cancellando la norma della legge Turco-Napolitano del 1998 che sancisce il principio di “non segnalazione alle autorità” e svuotando di significato l’articolo 32 della Costituzione che prevede la salute come diritto pieno e incondizionato della persona in sé, senza limitazioni di alcuna natura. Medici senza frontiere e altre associazioni stanno facendo la loro battaglia contro la “marginalizzazione sanitaria” di una fetta della popolazione straniera con oltre 25mila firme già raccolte (divietodisegnalazione.medicisenzafrontiere.it) in attesa del passaggio alla Camera. Le associazioni che hanno aderito alla campagna “Divieto di segnalazione” hanno dalla loro dati concreti: la tutela sanitaria degli stranieri va di pari passo con la riduzione dei tassi di Aids, stabilizzazione di casi di tubercolosi, riduzione della mortalità neonatale e basso peso alla nascita. Tutto con evidente effetto sul contenimento dei costi, perché l’utilizzo appropriato dei servizi sanitari si dimostra meno dispendioso di risorse.

In missione in Italia
Medici senza frontiere è la più grande organizzazione umanitaria indipendente di soccorso medico, presente in 63 Paesi con 365 progetti.
Con Missione Italia dalla fine degli anni 90 Msf ha deciso di intervenire per dare assistenza sanitaria agli stranieri regolari e irregolari con l’obiettivo di garantire l’accesso alle cure e all’assistenza dei migranti che sbarcano sulle coste italiane. Dal 2003, in collaborazione con le Asl locali, ha aperto 35 ambulatori per stranieri irregolari e curato oltre 18mila pazienti. Ogni anno migliaia di migranti vengono impiegati come lavoratori stagionali per la raccolta di primizie nelle regioni del Sud Italia, dove spesso vivono nelle campagne e si spostano da una regione all’altra per essere impiegati in agricoltura come braccianti.
Per seguirli, nell’estate 2005 Msf ha avviato un’attività di clinica mobile per fornire assistenza sanitaria diretta.
Il 31 ottobre scorso le attività di soccorso medico di Msf al molo dell’isola di Lampedusa è stata sospesa dopo che il ministero dell’Interno ha deciso di non firmare un nuovo Protocollo d’intesa e di non rilasciare così le autorizzazioni necessarie perché si continui ad assistere gli sbarchi. Dopo cinque mesi e continui attracchi di imbarcazioni dalla Libia una equipe di Medici senza frontiere (formata da due medici, due infermieri e un mediatore culturale, con il supporto di una clinica mobile) è tornata sull’isola i primi di aprile.

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