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Ambiente

Allerta trivelle nel mar Jonio

Nove nuove istanze di permesso di ricerca di idrocarburi, secondo l’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse. Le hanno avanzate Northern Petroleum (4), Shell (2), Eni (1), Enel Longanesi Developments (1) e la coppia Nautical Petroleum e Transunion Petroleum Italia (1)

Dopo il mar Adriatico le compagnie petrolifere spostano la loro attenzione sullo Jonio. Gli ultimi dati pubblicati dall’Unmig (Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse) confermano che sono ben 9 le nuove istanze di permesso di ricerca di idrocarburi avanzate da Northern Petroleum (4), Shell (2), Eni (1), Enel Longanesi Developments (1) e dalla coppia Nautical Petroleum e Transunion Petroleum Italia (1), alcune in concorrenza tra di loro. 
Per un totale di circa 4.500 chilometri quadrati. La minaccia riguarderebbe le coste lucane, pugliesi e calabresi -tra le più colpite- dell’intero arco jonico.  
Nove nuove richieste in merito alle quali trapelano indiscrezioni importanti. Secondo quanto riferito dagli attivisti del Movimento NoScorie Trisaia -di recente promotori di una regata da Policoro a Crotone sulla barca a vela “Albachiara”, con l’intento di sensibilizzare sui pericoli che incombono per il mare a partire dall’inquinamento da idrocarburi- “esponenti della Shell starebbero incontrando, a porte chiuse e con incontri segreti, i sindaci dell’arco Jonico lucano e calabrese con l’intento di persuaderli e convincerli favorevolmente alle nuove attività ricerca di idrocarburi nel Mar Jonio, propedeutiche alle trivellazioni”. Un atteggiamento che -se dovesse trovare conferma- dimostrerebbe quanto le multinazionali del petrolio siano seriamente intenzionate a ricercare idrocarburi in questa fetta di mare italiano, stimolate e incentivate -da una parte- dalla normativa italiana particolarmente permissiva e -dall’altra- dalla volontà del ministero dello Sviluppo economico di riaprire le istanze in fase di rigetto. 
Infatti, scorrendo gli iter burocratici delle nuove 9 istanze, ben 8 sono state soggette a riperimetrazione dei confini del permesso di ricerca, in ottemperanza ai Decreti legislativi 128/10 (Decreto Prestigiacomo) -poi spazzato via dalla sanatoria contenuta nel Decreto Sviluppo- e 121/2011, riguardante le modifiche al Decreto legislativo n.152 del 3 aprile 2006 per quanto il divieto relativo allo sfruttamento di idrocarburi liquidi entro le cinque miglia dalla linea di costa della baia storica del Golfo di Taranto. In sostanza, potremmo essere di fronte a un tentativo di aggirare alcuni vincoli imposti dalla normativa, in aree in prossimità di ecosistemi e specie marine protette. Un po’ come quello che è avvenuto in seno all’iter procedurale avanzato dalla Petrolceltic per i permessi di ricerca al largo delle Tremiti. La compagnia irlandese avviò una richiesta di riperimetrazione che prevedeva l’inclusione nell’istanza di permesso di ricerca -autorizzata e poi bloccata dal Tar del Lazio- di particelle “fuorilegge”, perché troppo vicine alle isole.
Il pericolo di trivellare i fondali marini dello Jonio, non certamente vergini, andrebbe ad aggiungersi ad attività petrolifere già presenti ed invasive, addirittura localizzate tra i 2 e gli 8 chilometri di distanza dalle coste di Crotone. Entro gli attuali limiti di 12 miglia (19 chilometri). Infatti, sono presenti 4 impianti offshore (Hera Lacinia 14, Hera Lacinia Beaf, Luna A e Luna B) e 34 pozzi produttivi, dai quali si estrae oltre 1 miliardo di metri cubi di gas. La società titolare delle concessioni è la Ionica Gas, operativa dal gennaio 2010 e controllata al 100% da Eni.
Intanto, mentre si prefigura un nuovo assalto al mare italiano, Venezia ospita (il 9 novembre 2012) una Conferenza internazionale delle regioni adriatiche e joniche, per parlare della salvaguardia delle coste delle regioni del Mediterraneo dall’estrazione di idrocarburi in mare. Oltre alla presenza del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini -i cui uffici continuano a rilasciare Valutazioni d’impatto ambientali positive per nuovi progetti- è prevista la partecipazione del vice-ministro dello Sviluppo sostenibile e del Turismo del Montenegro e di un consulente del ministero dell’Agricoltura e dell’Ambiente della Slovenia. Evidentemente interessati a quello che succederà nel nostro Adriatico.

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