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Ambiente

Alla scoperta dell’acqua calda

Il teleriscaldamento porta calore nelle nostre case, ma non ha norme precise. Risultato: rischio di oligopolio e inefficienza energetica

Tratto da Altreconomia 139 — Giugno 2012

A Rimini, lungo la costa romagnola, c’è chi paga poco meno di 300 euro al mese per il riscaldamento. Il “prezioso” calore prodotto da un impianto di cogenerazione viene impiegato per scaldare dell’acqua, poi condotta agli appartamenti attraverso tubazioni interrate. Questo sistema virtuoso, diffuso oltreché a Rimini in oltre cento città italiane (2.800 chilometri di rete per una volumetria scaldata di 244 milioni di metri cubi), si chiama teleriscaldamento.
Come e perché si sia rapidamente raffreddato l’entusiasmo degli utenti ce lo racconta il consigliere comunale Stefano Brunori: “Dal 2006 due complessi di edilizia economica popolare sono serviti da una rete di teleriscaldamento gestita dalla società Sgr Reti spa, dove il Comune di Rimini ha il 51% delle quote. Il problema è che, legati da un contratto trentennale, i circa 5mila abitanti si sono ritrovati bollette fino a 280 euro al mese per riscaldare appartamenti di circa 70 metri quadrati”.
Tra i cittadini che si lamentano delle tariffe e l’amministrazione comunale -che ha assegnato il contestato servizio a Sgr Reti- si è aperto un contenzioso giudiziario. “164 nuclei familiari -racconta Brunori- si sono accollati 100 euro ciascuno per le spese legali”. Nell’attesa che l’iter giunga alla conclusione, il Comitato ha registrato un primo risultato: il 4 gennaio scorso il Segretario generale dell’Antitrust, Roberto Chieppa, ha scritto al sindaco di Rimini, Andrea Gnassi, evidenziando “i possibili effetti distorsivi” derivanti dall’obbligo di allacciare i fabbricati alla rete di teleriscaldamento in quanto limitativo “delle libertà dei residenti di scegliere tra sistemi alternativi di produzione di calore”. Un “vincolo concorrenziale” di cui l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, si legge nel documento indirizzato a Rimini, “auspica la modifica”, confidando nel “ripristino della piena facoltà per gli utenti di scegliersi il sistema di teleriscaldamento”. Una condizione atipica ma non così sporadica, che l’Antitrust ha deciso di approfondire. Il 21 dicembre 2011 ha così aperto un’indagine conoscitiva di carattere generale proprio sul settore del teleriscaldamento, che riguarda tutto il Paese e non solo le città, come Rimini, dove sono sorti comitati di protesta -Cinisello Balsamo (Mi), Cassano d’Adda (Mi), Rivoli (To), Tirano (So)-.
Nella relazione del professor Piero Barucci, già ministro del Tesoro, si legge che la cerchia dei “soggetti titolari dei sistemi” -cinquantanove nel 2010 secondo l’Associazione italiana riscaldamento urbano, www.airu.it– detentrice di un autentico “monopolio naturale” costituito dalle reti, mal sopporta probabili ripensamenti degli utenti: “una volta effettuato l’allacciamento alla rete […], i costi di disconnessione e di passaggio a un differente sistema di produzione di calore appaiono tali da rendere la scelta iniziale (il teleriscaldamento, nda) economicamente pressoché irreversibile”. Tornare indietro, oltreché difficoltoso, implica poi il superamento di “ostacoli” posti -in taluni casi- dai Comuni. Schizofrenia di un sistema che -sempre secondo l’Autorità- “gode di alcune agevolazioni”, di incentivi, pur non essendo soggetto ad alcuna regolamentazione da parte dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Oltre a non essere regolato, il teleriscaldamento non è neppure “configurato”: tradotto significa che il legislatore non ha ancora stabilito se questo sia un servizio pubblico locale oppure un’attività in libera concorrenza. Ed è per questo che tra i propositi dell’indagine dell’Antitrust si trova un’indicazione circa “le aree in cui sarebbe appropriato un intervento normativo e regolamentare”. L’attuale incertezza, nell’ambito del “risiko energetico” in atto nel Paese, ha di fatto spinto le grandi ex municipalizzate a puntare su questa forma di vendita del calore, in grado poi di assicurare margini di redditività significativi. È il caso della lombarda A2a, sei miliardi e duecento milioni di euro di fatturato nel 2011, quotata in borsa e controllata per il 55% dai Comuni di Milano e Brescia. Il comparto Calore&servizi (www.a2acaloreservizi.eu) nei primi tre mesi del 2012 ha realizzato ricavi per 192 milioni di euro, in crescita rispetto allo stesso periodo del 2011 (166 milioni di euro). In totale, nel 2011 il settore ha fatturato 397 milioni di euro.
Sul dato parziale 2012, il “margine operativo lordo”, prima di tasse e gestione finanziaria, si è attestato a quota 53 milioni di euro. L’azienda, al cui vertice siede Giuseppe Sala, presidente del Consiglio di gestione e amministratore delegato anche di Expo 2015 spa, può contare del resto su una ramificata rete di “punti di partenza” del calore.
Dalle centrali di cogenerazione di Lamarmora, a Brescia, a Goltara e Carnovali, nel bergamasco, passando per le centrali di Famagosta, Canavese e Sesto San Giovanni, nel milanese, alla centrale termolettrica di Cassano d’Adda, fino al decisivo contributo degli inceneritori di Brescia, il più grande d’Europa, e Milano, con l’appena ristrutturato “Silla 2” a Figino. Lorenzo Spadoni, responsabile sviluppo e gestione del teleriscaldamento di A2a Calore&Servizi, delinea i progetti futuri della società, che nel capoluogo lombardo serve già oltre 200mila abitanti e mira -entro il 2015- a raggiungere quota 300mila: “Il nostro obiettivo è di raddoppiare, entro il 2016, la quantità di calore distribuito, oggi a quota 700 GWh, connettendo i poli esistenti, da Famagosta a Figino”. “Silla 2”, poco fuori Milano, è il simbolo del problematico rapporto tra un servizio che dovrebbe rispondere a logiche di sostenibilità -il teleriscaldamento- e la diretta dipendenza dall’incenerimento dei rifiuti, come accade a Brescia e in parte nel capoluogo.
A2a conta di raggiungere il citato “traguardo” investendo 170 milioni di euro. “Il piano di sviluppo -prosegue Spadoni- prevede poi il supporto di altri 95 milioni di euro stanziati nel gennaio 2012 dalla Banca europea per gli investimenti per l’espansione della rete”, un finanziamento della durata di quindici anni. A2a, bollata dall’Antitrust nel maggio 2012 come “operatore monopolista” in tema di teleriscaldamento milanese, non rifornisce soltanto complessi privati ma anche edifici pubblici. Attraverso una Convenzione stipulata nel 2007 con Consip (società per azioni del ministero dell’Economia e delle finanze) del valore di 450 milioni di euro, la branca Calore&Servizi è responsabile del “servizio integrato energia” alle pubbliche amministrazioni di Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Marche. “In particolare -si legge dal sito internet-, [Calore&Servizi] ha sottoscritto il contratto per gli edifici del Comune di Milano”. Nell’ottobre 2011 anche il Palazzo di Giustizia del capoluogo lombardo, grazie a un finanziamento regionale di 160mila euro, è stato allacciato alla centrale di Canavese con una rete lunga circa due chilometri. Al di là dei comunicati stampa diramati dagli uffici della Regione Lombardia, non è stato possibile individuare chi, all’interno della pubblica amministrazione, debba occuparsi di valutare l’efficienza del servizio -verificando, per semplificare, se d’inverno le finestre restino aperte-. Quando il diretto interessato è il cittadino, al contrario, l’attenzione è massima. Lo sa bene il signor Decio Luciano, del quartiere Sant’Ambrogio a Milano, vicino a viale Famagosta. Nell’edificio teleriscaldato dal 2003, dove il Comune di Milano detiene il 45% delle proprietà, pesando in maniera non indifferente nelle scelte, i condomini hanno deciso di tagliare i ponti con A2a. “Senza voler dare la malafede alla società fornitrice -racconta il signor Decio- è un fatto che si è passati dagli 80 euro a megawattora del primo anno fino a 130 euro a metà strada, salvo poi rimodulare al ribasso la tariffa in prossimità della scadenza del contratto, della durata di nove anni”. Dopo un iter sofferto, il condominio ha bandito una gara, dove l’offerta della ex municipalizzata è stata scavalcata. Tra analisi tecniche contestate e tempi biblici manca ancora una risposta: quella del Comune di Milano. Come detto, Regione Lombardia, prima in Italia per estensione delle reti (oltre 1.000 chilometri), è un attore chiave del settore del teleriscaldamento: oltre 62 milioni di euro sono stati infatti riconosciuti a titolo di “sostegno” all’ampliamento del servizio. Sebbene dalla Direzione Ambiente, reti ed energia della Regione vengano esclusi “interventi a breve termine per la realizzazione di reti di teleriscaldamento” per la mancanza di conseguenti atti della Giunta regionale, è confermata quanto meno la “riflessione” effettuata da A2a Calore&Servizi rispetto alla costruzione di un grande tubo coibentato lungo 30 chilometri che trasporti il calore prodotto nella centrale termoelettrica di Cassano d’Adda  (con potenza termica installata di 30 MW) direttamente a Milano. Un’autentica “grande opera” di cui si è discusso, nel novembre 2011, proprio negli uffici di Regione Lombardia. Oltre ad A2a, sedeva intorno al tavolo anche l’azienda danese leader nella progettazione di reti di teleriscaldamento Ramboll. Vittorio Sartori, manager del ramo italiano del gruppo scandinavo, pur confermando la riunione al Pirellone, preferisce mantenere discrezione: “I dettagli riguardanti opere su larga scala sono curati dalla casa madre”. A specifica domanda circa i costi dell’operazione e il ruolo di Regione Lombardia, Spadoni (A2a Calore&servizi) replica: “Nel nostro piano di sviluppo il progetto di collegamento di Cassano d’Adda a Milano non c’è. Stiamo comunque predisponendo un progetto di trasporto di calore da lunga distanza”. Sui costi: “È un dato che non posso ancora diffondere”. Ordine di grandezza: “Sarà costoso”. Intorno all’eventuale dispersione di calore -e dunque inefficienza- di un tubo lungo 30 chilometri aleggia una riservatezza che l’Antitrust, indirettamente, contribuisce ancora una volta a dipanare: “La necessità di assicurare che i fluidi prodotti arrivino all’utente con la temperatura desiderata”, si legge nel bollettino pubblicato il 7 maggio scorso, “limita l’estensione geografica della rete di teleriscaldamento […] a causa della perdita di calore che il fluido subisce nel trasporto”.
L’efficienza del progetto di Cassano d’Adda, però, potrebbe traballare in virtù di studi di esperti austriaci, svedesi e francesi, secondo i quali a fronte di una potenza termica installata corrisponde una lunghezza standard delle tubature, oltre la quale il calore andrebbe disperso. Si calcola che la forbice sia compresa tra i due e i quattro MW/chilometro.
In attesa che l’indagine Antitrust faccia chiarezza in merito alle più idonee “caratteristiche tecniche ed economiche delle reti” -riguardando di fatto anche l’eventuale maxi progetto di Cassano d’Adda- è interessante rilevare che in Danimarca, Paese leader nel settore, le oltre quattrocento compagnie attive nel teleriscaldamento siano, nel caso delle più grandi, di proprietà delle autorità locali o, nel caso delle più piccole, di proprietà degli stessi consumatori. Acqua calda per gli scandinavi, doccia gelata per i protagonisti del “libero” mercato italiano. —

Il Nord teleriscalda
Secondo i dati relativi al 2010 diffusi dall’Associazione italiana riscaldamento urbano (Airu) l’estensione complessiva delle reti di teleriscaldamento, distribuite in cento città, è pari a 2.772 chilometri, pari alla distanza tra Milano e Mosca. Nel 2010 le tubature hanno scaldato una volumetria prossima a 244 milioni di metri cubi d’acqua, il 97% della quale è concentrata nel Nord del Paese. La Lombardia, con poco più del 45% del totale, è la regione più “teleriscaldata” d’Italia, seguita da Piemonte (25,4%) ed Emilia-Romagna (15,1%). Gas naturale, rifiuti solidi urbani (annoverati da Airu tra le fonti rinnovabili) e biomasse sono i principali combustibili utilizzati nei sistemi di riscaldamento. Tra i 59 soggetti titolari delle reti spiccano la lombarda A2a (filiera Calore&Servizi) e l’emiliana Hera. Torino, Brescia e Milano guidano la classifica dei capoluoghi più serviti.  Nell’ambito di un convegno sull’“energia pulita” tenutosi proprio a Milano lo scorso dicembre, Renato Ravanelli,  di A2a, ha dichiarato che la branca dedita alla distribuzione del calore servirà entro breve 400mila milanesi, distribuendo circa 700 GWh lungo una rete di 200 chilometri.

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