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Economia / Varie

Alla fiera della sorveglianza

Cresce il mercato dei sofisticati software di “sicurezza”, confezionati anche per governi autoritari. Le regole però risalgono al 1996

Tratto da Altreconomia 174 — Settembre 2015

ISS World (www.issworldtraining.com), Technology Against Crime (www.forum-tac.org), Milipol (www.milipol.com): sono le tre più importanti ed altrettanto sconosciute fiere mondiali per la compravendita di software per la cybersorveglianza.
Intelligence Support System World tra luglio 2015 e marzo 2016 si terrà a Washington, Città del Messico, Kuala Lumpur, Dubai e Praga. Nel 2013, ultima esposizione di cui sono disponibili i dati, la fiera ha registrato complessivamente la presenza di 2.740 rappresentanti di 1.507 enti provenienti da 110 Paesi diversi, tra cui governi autoritari come quello bielorusso, dell’Egitto o del Bahrain così come “democrazie mature” come la Germania, la Francia o l’Italia, presente tanto attraverso istituzioni e forze dell’ordine (tra cui Presidenza del Consiglio, ministero della Difesa e Arma dei Carabinieri) che con imprese private come Selex Elsag, del gruppo Finmeccanica.

L’edizione 2013 della Technology Against Crime, si è invece tenuta a Lione sotto il patrocinio del ministero degli Esteri francese e dell’Interpol: ministri, esperti internazionali, rappresentanti delle forze dell’ordine e dell’industria hi-tech hanno affrontato temi come la “lotta al crimine internazionale e la sicurezza delle frontiere” o la “protezione dei diritti fondamentali e delle libertà”.  Parigi ospiterà inoltre, tra il 17 ed il 20 novembre 2015, anche il 19° Salone mondiale della sicurezza interna degli Stati, fiera biennale che ha già visto una prima esposizione a Singapore -riservata ai Paesi asiatici- dal 3 al 5 marzo scorsi ed un’altra, prevista per novembre 2016, che si terrà a Doha, in Qatar.
Sviluppare software per la cybersorveglianza non è di per sé illegale, poiché sono  pensati soprattutto per aiutare le indagini delle forze dell’ordine come dimostra il trojan “Querela”, utilizzato dalla Procura di Napoli per infettare il pc del faccendiere Luigi Bisignani -e trasformarlo in una cimice ambientale- nell’ambito delle indagini sulla P4.

Il problema è lo stesso che si riscontra nel mercato delle armi o con le tecnologie “dual-use”: lo stesso strumento può essere usato tanto per indagare su traffici illeciti o nella corruzione quanto per spiare computer e telefoni di attivisti per i diritti umani, giornalisti ed oppositori politici.
Gli ultimi dati disponibili, forniti da Reporter Senza Frontiere (“Nemici di Internet” è il rapporto -12mars.rsf.org/2014-en/- che per la prima volta cita, con nomi e cognomi, le fiere di questo genere di “articoli”) parlano di un’industria che nel 2012 registrava un giro d’affari di oltre 5 miliardi di dollari e un valore quintuplicato negli ultimi quindici anni, guidata soprattutto da società di Stati Uniti e Gran Bretagna. Un’industria sviluppatasi sul finire degli anni Novanta. 
Negli Stati Uniti l’industria della cybersorveglianza ha sviluppato un proprio sistema di rapporti con il decisore pubblico basato soprattutto sul sistema delle revolving doors, cioè il passaggio da una carica pubblica al settore privato senza intervalli tra le due cariche.

Il caso più emblematico è quello dell’ex generale Keith Alexander, il più longevo direttore dell’NSA oggi a capo della IronNet Cybersecurity, nata per “fornire un approccio innovativo alla cybersicurezza basato su tecnologia avanzata, ingegneria d’avanguardia e analisi di esperti”, come si legge sul sito della società (ironnetcyber.com), tra i cui consulenti c’è Matthew Glen Olsen, volto di ABCNews con un passato da avvocato al Dipartimento di Giustizia e direttore del National Counterterrorism Center, agenzia governativa di coordimaneto di tutte le attività anti-terrorismo statunitensi. Uno dei più importanti gruppi lobbistici pro-sicurezza di Washington, il Chertoff Group, è stato fondato dall’ex vicesegretario alla Sicurezza Nazionale (e coautore del Patriot Act) Michael Chertoff, dal 2006 al 2009 direttore della Cia, e da alcuni ex alti vertici dell’intelligence dell’amministrazione Bush jr,

L’industria della cybersorveglianza è un sistema di potere relativamente giovane, sviluppatosi soprattutto dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Un’industria giovane a cui corrisponde una regolazione ferma a quindici anni fa. Uno dei problemi più urgenti riguarda l’esportazione di questi strumenti -soprattutto quelli “dual-use”- regolata dall’Intesa di Wassenaar, lo stesso regime di controllo internazionale che si applica all’esportazione delle armi convenzionali nato nel 1996 per contribuire alla sicurezza internazionale. Dal 2013, la lista dei beni controllati da questo accordo -stipulato tra 41 Paesi (www.wassenaar.org) ma che non ha alcun potere vincolante- comprende alcuni strumenti per la cybersorveglianza.

Novanta Paesi hanno invece firmato o ratificato la Convenzione sulla criminalità informatica di Budapest del 2001 (http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/PDF/Italian/185-Italian.pdf), primo accordo internazionale sulle attività criminali commesse nelle reti informatiche che tratta tra le altre di violazione della sicurezza della rete e di frode informatica e che definisce come “infrazioni” azioni come l’accesso o l’intercettazione illegali ai dati presenti nei computer, azioni tipiche della cybersorveglianza. Varie organizzazioni, tra cui la Coalition Against Unlawful Surveillance Export (CAUSE, www.globalcause.net), hanno chiesto un aggiornamento di questi trattati all’interno di una più ampia battaglia per un cambiamento nella governance di internet. A richiedere l’adozione di una legge adeguata che regoli i rapporti tra industria della cybersorveglianza e istituzioni pubbliche in Italia è il Garante della privacy Antonello Soro, che già a febbraio aveva fatto cancellare l’emendamento al decreto antiterrorismo che avrebbe consentito le intercettazioni da remoto. —

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