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Cultura e scienza / Intervista

Alice Milani. La dottrina di don Lorenzo Milani

Il linguaggio è uno strumento di emancipazione dei deboli contro i forti. La scuola popolare di Barbiana come laboratorio per la tutela dei propri diritti. Intervista alla pronipote

Tratto da Altreconomia 220 — Novembre 2019
Alice Milani (1986, Pisa) si è formata come fumettista all’Accademia Albertina di Torino

“Don Lorenzo somiglia al mio babbo. Così ho avuto il vantaggio di disegnare qualcuno di familiare, è stato più semplice interiorizzarlo”. Alice Milani (1986, Pisa) si è formata come fumettista all’Accademia Albertina di Torino e il suo ultimo libro –“Università e pecore. Vita di don Lorenzo Milani”, appena pubblicato da Feltrinelli Comics- è dedicato a Don Lorenzo Milani, il priore e “maestro” di Barbiana (Firenze), di cui è pronipote.

Alice Milani, come è stato confrontarsi con una figura così importante e discussa nell’immaginario del nostro Paese?
AM Don Milani era lo zio di mio padre, non l’ho mai conosciuto direttamente, ma quando ho iniziato a leggere qualche suo scritto che avevamo in casa per me è stato uno shock. Penso sia una sensazione comune: don Milani è una lettura che la prima volta non può lasciarti indifferente. Da tempo pensavo di lavorare a fumetti sulla sua figura, ma sono felice di averlo fatto solo ora che ho maturato più esperienza. Si tratta, infatti, di un personaggio molto complesso, dalle tante sfaccettature, alcune anche contradditorie. È considerato un idolo nell’ambiente di sinistra non cattolico ed è visto come un anticlericale per le sue aspre polemiche con la Curia, mentre lui è sempre stato fedele alla Chiesa. Gli intellettuali che andavano a trovarlo a Barbiana -dove era stato mandato da Calenzano, perché non potesse più nuocere alla Curia fiorentina- lo incitavano a lasciare la Chiesa cattolica, ma lui è sempre rimasto fedele. E nonostante questo rapporto controverso gli abbia causato molte sofferenze, ha dedicato la sua vita a “servire i poveri” proprio come chiede il Vangelo. Ed è stato ripagato a pesci in faccia -nel fumetto lo mostro-, per esempio ricevendo dei telegrammi che gli impedivano di partecipare a delle riunioni sul doposcuola o avendo l’obbligo di sottoporre i suoi scritti al cardinale prima di poterli pubblicare. Anche l’etichetta di “prete comunista” è sbagliata, frettolosa. Mi è capitato di sentire molte persone che hanno letto qualcosa dei suoi scritti e dicono subito “Ah sì, il prete comunista, l’anticlericale…”. Il mio invito è a soffermarsi di più sulla sua storia, per restituire con più delicatezza alle persone la verità sulla vita e il lavoro di Don Milani.

La scuola popolare di Barbiana è il cuore di questa storia.
AM Lui pensava che per essere prete e portare la parola di Dio a questi giovani fosse fondamentale che sapessero leggere e scrivere, comunicare: non era possibile trasmettere il messaggio del Vangelo a chi somigliava più a una bestia che a un essere umano. Non vorrei però essere fraintesa: il fine di Barbiana non era quello dell’evangelizzazione. La maggior parte delle ore (tutto il giorno, tutta la settimana) erano di scuola laica, e la lettura del Vangelo avveniva solo di domenica dopo la messa. Don Lorenzo ha voluto donare ai ragazzi un fondamentale strumento di emancipazione. E di costruzione di futuro. Un giovane che ha ricevuto un’educazione e inizia a lavorare in una fabbrica più difficilmente si farà sopraffare dal padrone, anzi: si organizzerà con gli altri lavoratori per la tutela dei loro diritti. La sua è stata una dottrina di emancipazione dei deboli contro i forti.

“Don Lorenzo ha voluto donare ai ragazzi un fondamentale strumento di emancipazione. E di costruzione di futuro. La sua è stata una dottrina di emancipazione dei deboli contro i forti”

“Università e pecore” è una delle lettere che Don Milani scrive al magistrato Giampaolo Meucci, nel marzo 1956 (si può leggere sul sito barbiana.it). Come mai l’hai scelta tra tante?
AM È una delle mie preferite e mi sembra la parte più importante del suo messaggio. Qui lui fa il confronto fra la famiglia “secolarmente universitaria” del signorino e quella del contadino ignorante ai tempi della mezzadria, mostrando come i contadini che vivevano in montagna e facevano il formaggio e la lana per i signori della città erano penalizzati da un punto di vista umano e culturale. “Adriano ha già 10 anni ma è analfabeta come il suo babbo solo perché non può andare a scuola perché ha da badare le pecore che hanno da fare la lana e gli agnelli e il cacio”, scrive. Mi fa venire in mente i dipinti di Giovanni Segantini, che mostra queste persone che vivono in mezzo alle vacche e a malapena riescono a comunicare, non conoscevano l’italiano.

Ti è capitato di rivedere altrove quel modello di scuola popolare?
AM Purtroppo è molto difficile da replicare, perché serve l’impegno totale di tutta una vita. Don Lorenzo è stata una persona dedita alla causa, che per questo ha rinunciato alla sua vita personale. Invece, esistono ancora dei posti in cui i giovani sono ignoranti e vivono da svantaggiati. Oggi le persone che producono cacio e lana per noi si trovano dall’altra parte del globo. È cambiata la scala, ma non si è risolto il problema.

Questo è forse il tuo primo lavoro senza donne protagoniste.
AM Sì, una scelta difficile per me. In passato ho lavorato alle biografie di Marie Curie e Wisława Szymborska, entrambe polacche, in due libri che mi sono stati proposti da Becco Giallo (beccogiallo.it, per cui Alice cura la collana “Rami”, ndr). Nel caso di Marie Curie -il cui vero nome era Maria Salomea Skłodowska-, sono stata aiutata dai miei genitori, che sono scienziati e sono stati i miei referenti scientifici. Serviva che il suo lavoro di ricerca fosse comprensibile a un pubblico generalista. Tutti sanno che la Curie ha scoperto la radioattività, ma non come, un’idea geniale che dà il via a una branca della scienza: l’energia nucleare. E poi era una donna scienziata: quando muore il marito, tutti pensano che lei smetta di studiare e sperimentare. Invece ha poi continuato a lungo. Era una scienziata a tutti gli effetti: difficile da accettare per la Francia dell’epoca.

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