Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura

Alberi elettrici – Ae 74

In Italia 41 centrali producono energia bruciando legno. Tutto bene, a patto che il legname non venga importato dall’estero, come purtroppo accade. E sperando che, quando finiranno gli incentivi pubblici, questi impianti non si “trasformino” in inceneritori Alberi al posto…

Tratto da Altreconomia 74 — Luglio/Agosto 2006

In Italia 41 centrali producono energia bruciando legno. Tutto bene, a patto che il legname non venga importato dall’estero, come purtroppo accade. E sperando che, quando finiranno gli incentivi pubblici, questi impianti non si “trasformino” in inceneritori


Alberi al posto del metano. In Italia esistono 41 impianti che producono elettricità bruciando legno. Per ora contribuiscono poco al fabbisogno energetico italiano, ma il loro numero è destinato a crescere, anche per far fronte all’aumento della domanda di energia e alla scarsità di combustibili fossili. Il legno e tutte le “biomasse” sono una fonte rinnovabile di energia: la CO2 emessa nella combustione è pari a quella sottratta dall’atmosfera quando il legno era pianta in crescita. Per cui si dice che il saldo delle emissioni di CO2 è zero. Ben vengano quindi le centrali a biomassa.

I problemi iniziano quando si tratta di capire dove prendere il legno da bruciare.

“Il legno arriva un po’ dappertutto” spiega Giancarlo Cicerone, responsabile della Carlo Gavazzi Green Power (www.cggp.it). Fino a poco tempo fa la Gavazzi era il leader italiano della produzione di elettricità da biomassa. Oggi ha ceduto il controllo delle centrali agli americani della Pseg (www.pseg.com) ma tuttora interviene nella gestione degli impianti. “Quasi la metà di quello che utilizziamo nelle nostre centrali del Sud Italia viene importato dall’estero: Sud America, Canada, Europa. È un commercio mondiale”. Il legno arriva via mare: grosse navi attraccano e per giorni decine di camion trasportano il carico alle centrali.

Il beneficio dell’utilizzo di biomassa va tarato quindi con l’energia impiegata nei trasporti, e con l’inquinamento che questi hanno prodotto. La biomassa ha un basso impatto ambientale, ma questo vale soprattutto se si utilizzano scarti di lavorazioni agricole e industriali, legno recuperato, o piante coltivate ad hoc.

Le cose cambiano se il legno proviene da migliaia di chilometri di distanza, da foreste di cui viene intaccata la biodiversità. Il legno che arriva dal Centro e Sud America, o spesso dall’Africa, inoltre, ha una filiera difficile da controllare e il rischio di incappare in tagli illegali è concreto. Meglio sarebbe una filiera corta, distretti agroenergetici con un raggio massimo di 50 chilometri. Il paradosso è che importare oggi costa meno:

si ha un solo interlocutore e si ordina un quantitativo certo, mentre il recupero locale può essere molto più complesso e laborioso.

C’è un’altra anomalia: un terzo dell’energia elettrica prodotta da biomassa in Italia arriva dalla Calabria. In questo distretto funzionano oggi tre grandi impianti, tra i più potenti d’Italia. Producono esclusivamente energia elettrica: sono a Crotone, Strongoli (provincia di Crotone) e Cutro (ancora provincia di Crotone). Bruciano oltre 600 mila tonnellate di legno e simili, troppi per essere recuperati tutti in regione. I primi due impianti sono di Biomasse Italia spa, società che appartiene a Pseg. La centrale di Cutro invece appartiene ad Euroenergy Group srl (www.etacutro.org), società del gruppo Marcegaglia, attivo nel settore energetico. Brucia 500 tonnellate di legna al giorno (180 mila l’anno) che vengono portate lì quotidianamente da una trentina di camion. Per i prossimi anni è previsto il raddoppio della potenza installata in Calabria: tra le centrali in attesa di partire quella del Pollino (vedi articolo qui sotto).

Le grandi centrali elettriche a biomassa (calabresi e non) sono convenienti perché, come tutte quelle che producono energia da fonte rinnovabile, vengono incentivate dallo Stato (Cip6 o certificati verdi, vedi pagina 11). Ogni kilowattora prodotto da fonti rinnovabili viene in pratica pagato il triplo rispetto a quanto pagato per le fonti tradizionali. Il meccanismo però non tiene conto della provenienza del legno, né dei chilometri che deve percorrere, su nave o camion, per arrivare alla centrale.

Inoltre, poiché sono erogati solo in base alla produzione di elettricità, gli incentivi favoriscono i grandi impianti elettrici a scapito di quelli più piccoli che producono anche calore e che avrebbero un’efficienza maggiore (i cosiddetti impianti “cogenerativi”, come quello di Sellero di cui parliamo a destra). Usare la biomassa per produrre solo elettricità non ha senso dal punto di vista energetico, perché la maggior parte dell’energia derivante dalla combustione è calore che disperso nell’ambiente.

Gli incentivi sono poi erogati per un periodo di tempo determinato (8-12 anni).

Le dimensioni di una centrale centrale elettrica a biomassa e quindi le quantità di legno che dovrà consumare vengono perciò calibrate per rientrare dell’investimento il prima possibile, entro la durata degli incentivi, e non in base alla vita media dell’impianto, che è di 25 anni. Per questo molti impianti sono sovradimensionati.

Il futuro delle centrali a biomassa dipende quindi dal sistema di incentivi che verrà adottato nei prossimi anni.

Roberto Garavaglia è amministratore delegato di Euroenergy Group (la centrale di Cutro): “Con le tariffe Cip6 incassiamo 20 milioni di euro l’anno, che vanno a coprire il costo -molto alto- delle biomasse. Una centrale come questa costerebbe oggi 50 milioni di euro: senza contributi non sarebbe conveniente realizzarla. Ora andiamo avanti altri 5 anni con gli incentivi, poi si vedrà”.

Il gruppo ha anche un altro impianto di produzione elettrica, a Massafra, in provincia di Taranto. Ma qui si bruciano rifiuti, che per la legge italiana sono anch’essi fonte rinnovabile e per questo incentivate. E già dal 2004 il commissario straordinario per i rifiuti della regione Calabria ha autorizzato il conferimento di cdr (combustibile da rifiuti) presso la centrale di Cutro (circostanza che finora non si è realizzata). Corriamo il rischio di aver seminato fonti rinnovabili per ritrovarci poi inceneritori.





Il Pollino emblematico…

“Siamo marginali, non emarginati”. Ferdinando Laghi è il portavoce dell’associazione ambientalista calabrese “Il riccio”, che con i lucani del Co.s.a (Comitato salute e ambiente) si batte perché l’Enel non metta in funzione il suo impianto a biomasse del Mercure, in provincia di Cosenza. Perché opporsi a una centrale che utilizza fonte rinnovabile? “La centrale si trova nel comune di Laino Borgo, all’interno del Parco nazionale del Pollino, la più grande area protetta d’Italia tra la Calabria e la Basilicata (www.parcopollino.it). Con i suoi 35 megawatt sarebbe tra le più potenti d’Italia”. L’Enel ha dichiarato che l’impianto brucerà tra le 360 e le 400 mila tonnellate di legna l’anno: “Che in Calabria non ci sono. Hanno detto di avere contratti per 100 mila tonnellate: da dove arriveranno le altre? Già solo per il collaudo hanno fatto arrivare legna da fuori, con navi arrivate al porto di Corigliano. Le centrali a biomassa dovrebbero essere di piccole dimensioni e utilizzare scarti e legno recuperato dalle zone circostanti, e non importato”. Quella del Pollino sarebbe la quarta centrale elettrica non cogenerativa della Calabria dopo quelle di Cutro, Crotone e Strongoli (vedi pagine precedenti), per un fabbisogno totale di legno di quasi un milione di tonnellate l’anno. Un’altra, a Oriolo (proprietà della Edf francese) è pronta ma inattiva. Con ogni probabilità l’energia elettrica prodotta non rimarrebbe in Calabria, che oggi produce più elettricità di quanta ne consuma, con un surplus di almeno il 26%. Secondo Enel, il reperimento della biomassa avverrebbe entro un raggio di 150 chilometri dall’impianto. Ma, come fanno notare Felice Casson e Paolo Rabitti, una superficie con un raggio di 150 chilometri con centro a Laino è per il 60% in mare. E qui legno è difficile trovarne. Casson e Rabitti sono stati incaricati dal comune di Viggianello (Potenza), il più vicino alla centrale, di preparare uno studio sulla normativa relativa all’impatto ambientale dell’impianto. Il risultato del loro lavoro è stato presentato a gennaio e può essere scaricato dal sito del Riccio (www.ilriccio.info) “Vuol dire camion tutti i giorni (secondo Enel non più di 40, ndr) su strade malmesse” prosegue Laghi. “E tralicci dell’alta tensione attivi nel parco. La centrale prenderà acqua da fiume Mercure che passa nel parco, alterando un habitat naturale delicato (qui vive la rarissima lontra, ndr) e danneggiando il turismo derivato dal rafting”. Ora l’iter autorizzativo è fermo, anche per il ritrovamento di rifiuti tossici nel cortile della centrale. Comune di Laino (sindaco di An) e provincia di Cosenza (presidente dei Ds) si rimpallano la competenza. Di certo il parco ha dato l’autorizzazione (il presidente è stato nominato nel 2001 dall’allora ministro dell’Ambiente Matteoli). “Non c’è abbastanza legna, quindi ci faranno bruciare rifiuti” teme Laghi. Speriamo che il riccio salvi la lontra.



… e un’idea incendiaria

Tutto è cominciato con un incendio. La centrale di Sellero (Brescia) è abbarbicata sul monte, sotto il paese. “Nel 1997 andò a fuoco la montagna, e dovemmo affrontare il problema di come gestire tronchi e legna anneriti e non più utilizzabili”. Giampiero Bressanelli, presidente (non stipendiato) di Tsn (Teleriscaldamento Sellero Novelle srl) allora era sindaco del paese. Oggi è assessore: “Da quell’episodio nacque l’idea di fare una centrale di teleriscaldamento a legna per riscaldare le case e l’acqua, e che producesse anche elettricità. Non fu facile convincere la popolazione (1.500 abitanti), anche perché nello stesso periodo stava arrivando il metano, e si dovette scegliere l’uno o l’altro. Organizzammo anche dei pullman per portare la gente a vedere centrali simili”. L’impianto è stato inaugurato nel 2004. Allora la proprietà era per il 51% del Comune: oggi la percentuale è scesa all’11%, ma le cariche sono ancora decise dalla giunta. Esempio positivo dell’utilizzo delle biomasse, oggi la centrale serve 400 utenze dei Comuni di Sellero, Novelle e Cedegolo per il riscaldamento e l’acqua calda, attraverso una rete di 18 chilometri. Gli abitanti fecero la scelta giusta: rispetto al metano il risparmio è del 15% (il 60% rispetto al gasolio) senza contare che la manutenzione di tutti gli impianti (scambiatori domestici compresi) è a carico della società. In più l’inquinamento è ridotto (il legno è pur sempre una fonte rinnovabile) e c’è un solo camino in paese: quello della centrale, filtrato e monitorato 24 ore su 24. La centrale produce anche elettricità, in misura maggiore quando riscaldare le case non serve, ottimizzando l’efficienza, per 15 mila megawattora l’anno. Da questa produzione viene gran parte del fatturato. Per fare tutto questo, brucia ogni giorno 800 quintali di “cippato” (legno sminuzzato) tutto proveniente dalla zona (tre camion al giorno), il che ha creato anche un mercato degli scarti del legno piuttosto florido.  Altre info: www.tsnsrl.it





Biomassa in crescita

L’energia elettrica prodotta bruciando legno e biomassa (escludendo rifiuti e biogas) rappresenta una percentuale molto bassa nel totale delle fonti rinnovabili (attorno al 4%: vedi grafico in alto. Fonte Grtn 2005, dati in gigawattora). Tolto l’idroelettrico l’apporto arriva al 17%. Ma il comparto cresce. Nel 2004 (ultimi dati disponibili) in Italia producevano elettricità da biomassa 41 impianti, per un totale di potenza installata di 567,6 Megawatt, il 48% in più rispetto al 2003. Poco meno di un terzo dell’energia viene realizzata in Calabria, dove sono attivi 3 grandi impianti, due sono pronti ma fermi e ne sono in progetto altri 3. Dal 2001 al 2004 la produzione calabrese è passata da 80 GWh a 690 GWh. Dietro la Calabria, l’Emilia Romagna col 14% della produzione nazionale. Altre info: www.grtn.it



Incentivi “paradossali”

Due meccanismi differenti incentivano in Italia le fonti rinnovabili. Il primo è la tariffazione Cip6 (dalla delibera del Comitato interministeriale prezzi numero 6 del 1992). L’energia elettrica in regime Cip6 viene pagata più o meno il triplo del prezzo di mercato dell’energia. I costi di questo tipo di incentivazione li pagano i cittadini in bolletta (il 9% circa, per quest’anno un totale di 3 miliardi di euro contro i 2,3 miliardi dell’anno passato).

Tuttavia, il meccanismo non premia solo le fonti rinnovabili, ma anche una serie di impianti da fonti “assimilate”, non rinnovabili, ma pagate come tali. Il paradosso è che oggi l’80% degli incentivi Cip6 vanno a queste fonti e non alle vere rinnovabili. Dal 1999 il Cip6 viene gradualmente sostituito dal meccanismo dei cosiddetti “certificati verdi”, un mix tra obblighi

di legge e dinamiche di mercato. Anche in questo caso l’energia prodotta è pagata circa il triplo rispetto alle fonti tradizionali. E anche in questo caso possono accedere ai benefici dei certificati anche impianti che non usano fonti rinnovabili ma che bruciano rifiuti, cdr (combustibili da rifiuti), addirittura pneumatici. Sono anche ammessi impianti che fanno teleriscaldamento e cogenerazione anche se utilizzano fonti fossili (decreto 256, novembre 2005).





Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.