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Al via “Pagella in tasca”: così i ragazzi rifugiati potranno arrivare in Italia per vie sicure

Alcuni dei beneficiari del progetto "Pagella in tasca" attualmente rifugiati nel campo di Hamdallaye in Niger © Manuela Valsecchi e Duccio Facchini

Parte il progetto promosso da Intersos e Unhcr. Prevede l’ingresso con un visto per motivi di studio di 35 minori non accompagnati ora rifugiati in Niger. È un canale di ingresso regolare e sicuro, non una “concessione”. I protagonisti, in arrivo a settembre, non dovranno rischiare la vita o essere respinti nel Mediterraneo

Giovedì 12 agosto è stato firmato il protocollo d’intesa che permetterà l’arrivo in Italia a settembre dei primi cinque minori stranieri non accompagnati rifugiati in Niger al centro dell’innovativo progetto “Pagella in tasca”, promosso e coordinato dalla Ong italiana Intersos in collaborazione con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). La sottoscrizione da parte dei ministeri di Interno, Esteri e Lavoro, e dei partner dell’iniziativa -tra i quali il Comune di Torino, l’Arcidiocesi della città, la Rete CPIA Piemonte e la Fondazione Migrantes-, è un tassello fondamentale di un percorso più lungo che potrebbe rappresentare un’opportunità unica per questi ragazzi e per chi si trova in una condizione simile alla loro.

Il progetto prevede infatti l’ingresso in Italia con un visto per motivi di studio di 35 minori non accompagnati attualmente rifugiati in Niger, nel campo per famiglie e ragazzi minorenni soli di Hamdallaye, dove si trovano dopo essere stati evacuati dalla Libia dall’Unhcr o dopo essere scappati a piedi dal Paese attraverso il deserto del Sahara (si veda il reportage su Altreconomia 235 e il dossier “Niger. Frontiera della di-speranza”, Tau Editrice). La maggior parte di loro sono sudanesi: nati durante gli anni della guerra, non hanno conosciuto altro che i campi profughi del Darfour, l’inferno libico e l’attesa in Niger. Esclusi dai canali umanitari tradizionali, l’unica alternativa per questi giovani sarebbe quella di attendere la maggiore età, perdendo anni preziosi. “Pagella in tasca” rivoluziona il quadro, offrendo ai beneficiari un canale di ingresso regolare e sicuro in Italia, senza dover rischiare la vita affidandosi ai trafficanti per attraversare il Mediterraneo, per poter continuare a studiare e iniziare una nuova vita in una comunità pronta ad accoglierli. Un aspetto davvero innovativo, come spiega ad Altreconomia Elena Rozzi, coordinatrice del progetto per conto di Intersos (e socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Asgi): “Tutti i Paesi che promuovono i corridoi umanitari escludono i minori non accompagnati, creando una situazione assurda per cui una delle fasce di persone più vulnerabili non può usufruire di canali legali di accesso in Paesi terzi sicuri. Il progetto supera questo vulnus e va oltre, perché lo strumento che utilizza, il visto per motivi di studio, è previsto dalla normativa ordinaria del Testo unico sull’immigrazione, dunque non si basa su una concessione da parte dello Stato che decide in maniera arbitraria di rilasciare un certo numero di visti, ma sull’esercizio di un diritto, quello allo studio. La legge infatti prevede che, in presenza di certi requisiti, il visto per motivi di istruzione non possa essere negato”. Molte delle energie spese negli scorsi mesi da parte degli attori coinvolti sono servite proprio a preparare le condizioni necessarie per l’esercizio di questo diritto. 

Si parte dalla selezione dei 35 beneficiari. Alessandra Caputo, capo progetto protezione Intersos in Niger, ricostruisce i criteri guida. “Secondo la normativa italiana il visto per motivi di studio può essere rilasciato a ragazze e ragazzi di età compresa tra 15 e 17 anni. La motivazione allo studio costituisce il principale criterio di selezione. Viene valutata attraverso un primo colloquio conoscitivo con gli operatori di Intersos, volto a comprendere il profilo del minore, investigare l’interesse allo studio e le ambizioni personali e professionali. Le informazioni raccolte vengono poi confrontate con dati quantitativi, ovvero i tassi di frequenza del minore alle attività educative e formative nei centri e con dati qualitativi, ovvero con le valutazioni rilasciate dagli insegnanti a fine corso che danno un giudizio sulla condotta, sul livello di partecipazione e sui progressi realizzati dai ragazzi in classe”. L’alfabetizzazione è un aspetto centrale. “Nel centro di transito di Hamdallaye e nel sito umanitario di Agadez -continua Caputo- i ragazzi hanno la possibilità di partecipare a corsi di alfabetizzazione, di lingua inglese e francese e corsi professionalizzanti in varie discipline come informatica, meccanica, sartoria (e altri) organizzati da Intersos in collaborazione con i centri di formazione e le istituzioni del Niger grazie ai fondi dell’Unhcr e dell’Unicef, purtroppo non sempre sufficienti a garantire l’accesso all’istruzione a tutti i minori presenti nei centri”.

Il campo di Hamdallaye in Niger, a 30 chilometri dalla capitale Niamey © Manuela Valsecchi e Duccio Facchini

Caputo fa il punto della situazione. “Ad Agadez il numero dei minori è passato da 219 del dicembre 2020 a 330 del giugno 2021, di cui 125 minori non accompagnati e 205 minori in famiglia. Ad Hamdallaye invece al 30 giugno di quest’anno erano 54 i minori non accompagnati identificati”. La situazione dei minori non accompagnati è molto complessa. “Si tratta di minori di nazionalità sudanese, eritrea, somala (e altre minoranze) -continua Caputo- tra i 10 e i 17 anni che arrivano in Niger dopo un viaggio estremamente difficile e un periodo di detenzione in Libia. La stragrande maggioranza dei minori non accompagnati ha assistito o subito direttamente violenze, torture e abusi di ogni sorta nei Paesi di origine e/o di transito. In Niger vivono in gruppi di tre persone all’interno di casette prefabbricate di circa 19 metri quadrati ciascuna, situate in zone desertiche tra i 15 e i 40 chilometri dalla città, con temperature che superano i 40 gradi da aprile a settembre, per restare superiori ai 30 gradi nei mesi restanti. Sfortunatamente le alternative che i ragazzi richiedenti asilo in Niger hanno a disposizione per realizzarsi e auto-sostenersi sono estremamente limitate a causa della scarsità e della discontinuità dei finanziamenti disponibili per investire sulla loro formazione e delle vie legali di mobilità”. Il percorso di selezione, conclude Caputo, prevede poi che i ragazzi “preselezionati sulla base della motivazione allo studio siano invitati a sostenere un colloquio con la responsabile Salute mentale dell’Unhcr volto a valutare lo stato psicofisico del minore e l’adeguatezza del profilo al percorso di studio e integrazione in Italia, al fine di tutelare il benessere del minore e delle famiglie affidatarie”.

Gli operatori di Intersos insieme agli altri partner hanno seguito gli aspetti amministrativi e burocratici, ma soprattutto hanno preparato le comunità che saranno protagoniste dell’accoglienza in Italia. I ragazzi infatti, una volta arrivati, non saranno accolti in strutture ma da famiglie, inizialmente residenti nella Città metropolitana di Torino. “È questo un elemento che la stessa legge incoraggia -riprende Rozzi-, ma anche da un punto di vista educativo e sociale è la soluzione migliore per i minori e per la comunità stessa. Una buona accoglienza può rappresentare una sorta di ‘terapia sociale’, perché un’esperienza concreta riesce a dare un messaggio positivo e incoraggiante di apertura e accoglienza più di mille parole”.

Come accennato, i primi cinque beneficiari del progetto dovrebbero arrivare in Italia a settembre, in tempo per cominciare l’anno scolastico presso uno dei CPIA della rete piemontese. Qui frequenteranno l’anno necessario per conseguire il titolo di scuola media e poi proseguiranno in una scuola superiore oppure nella formazione professionale: “In Piemonte la tradizione di accoglienza dei MSNA è molto radicata e i CPIA sono molto coinvolti in questo processo e spesso riescono a formare classi di soli minori. Si tratta di ragazzi nati durante la guerra, che hanno vissuto prevalentemente nei campi profughi o nei campi di detenzione della Libia, il livello di scolarità e preparazione è per questo basso e serve un’attenzione particolare”.

Un giovane nel campo di Hamdallaye in Niger. Febbraio 2021 © Manuela Valsecchi e Duccio Facchini

Ad affrontare con loro questa sfida ci saranno le famiglie che hanno scelto di accoglierli: si tratta appunto di nuclei piemontesi, al momento prevalentemente torinesi, che nei mesi scorsi hanno fatto un lungo percorso di formazione dapprima a distanza per via delle norme di contenimento del Covid-19 e poi di persona: “A giugno ci siamo incontrati per la prima volta e le famiglie hanno subito un formato un gruppo coeso, sono persone molto motivate e che si sono supportate a vicenda per gestire la lunga attesa che questo progetto per la sua complessità ha comportato”, chiarisce Rozzi. Accanto alle famiglie affidatarie ogni ragazzo avrà un tutore e insieme dovranno prendere una decisione importante per il futuro di ciascuno dei beneficiari: “I minori una volta arrivati in Italia avranno la possibilità di rimanere con il permesso di soggiorno per motivi di studio oppure di fare richiesta di protezione internazionale, richiesta che difficilmente sarebbe negata dato il loro vissuto. In ogni caso sarà garantito loro tutto il supporto legale necessario perché prendano la decisione migliore per il loro futuro in modo consapevole”.

I ragazzi hanno davanti un percorso lungo. Il primo anno sarà affrontato così come previsto dal progetto, grazie alla borsa di studio di 550 euro al mese, necessaria per ottenere il visto per studio, che viene finanziata dalla Conferenza episcopale italiana, nell’ambito della campagna “Liberi di partire, liberi di restare”, ed erogata direttamente alle famiglie. Dopo i primi dodici mesi subentrerà invece il Comune titolare che prenderà in carico il percorso di accoglienza, con la possibilità di coprire i relativi costi attraverso l’inserimento del minore nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai, fu Sprar): “Questo non esclude la possibilità che i ragazzi restino in famiglia se l’esperienza è positiva, mentre se si ritiene opportuno c’è anche la possibilità che vadano in struttura. E questo meccanismo può durare fino ai 21 anni del beneficiario, perché si può chiedere al Tribunale per i minorenni un prosieguo amministrativo dell’affidamento, così che si possa portare a termine il suo percorso di accoglienza e inclusione sociale”.

Mancano gli ultimi passaggi formali per permettere la partenza dei ragazzi: le autorità nigerine devono accordare il titolo di viaggio necessario per chiedere il visto all’ambasciata italiana a Niamey e poi finalmente i primi cinque veri protagonisti del progetto potranno arrivare in Piemonte. Sarà il via libera a una esperienza unica in Italia e in Europa che resta però qualcosa di eccezionale a fronte dell’arroccamento dei Paesi dell’Unione europea e del processo di continua esternalizzazione delle frontiere. “Questo progetto è solo una goccia nel mare -aggiunge Cesare Fermi, responsabile della Regione Europa di Intersos-. Questi 35 minori entreranno in Italia con un canale di ingresso regolare e sicuro, a fronte di più di 700 persone morte nel Mediterraneo centrale nei primi sei mesi del 2021 e più di 13mila persone intercettate e riportate forzatamente in Libia mentre cercavano di fuggire dalla guerra, dalle violenze e dalle torture. Questo progetto pilota è però anche un primo passo importante. L’apertura di un nuovo canale di ingresso, infatti, potrà consentire in futuro anche ad altri minori non accompagnati di entrare in Italia in modo protetto”.

Don Gianni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, è della stessa idea. “Siamo felici di condividere il progetto e di aver contribuito alla sua riuscita perché questi ragazzi possano cominciare finalmente a vivere. Finora la loro vita è stata in mezzo alla guerra per cercare semmai di sopravvivere. Il ruolo della Fondazione è quello di riconoscere la comune umanità di questi ragazzi. Non si tratta di altri ma di parte di noi. Di un ‘noi più grande’. Questi ragazzi ci appartengono, ne abbiamo la responsabilità, abbiamo il dovere di accompagnarli nella loro crescita e nel loro diventare adulti. Sappiamo che è una goccia nel mare ma si tratta di aprire la strada. Anche per coloro, e sono molti, che non si rendono conto del disastro del mondo”.

“Pagella in tasca” è un progetto avviato e in continua evoluzione. Famiglie e Comuni interessati a farne parte -fanno sapere Intersos e gli altri partner- possono trovare tutte le informazioni e i contatti qui: https://www.intersos.org/pagella-in-tasca-canali-di-studio-per-minori-rifugiati/

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