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Aiuti umanitari e concreti segni di pace. Il senso della carovana in Ucraina

Oltre duecento attivisti hanno partecipato all’iniziativa promossa dalla coalizione “Stop the war now” che hanno portato in Italia circa 300 persone tra anziani, bambini e persone con disabilità

La marcia organizzata da Stop the war now per le strade di Leopoli © Stop the war now

“Avremmo potuto organizzare l’invio di aiuti umanitari alla popolazione ucraina con molte meno persone: da un punto di vista logistico sarebbero stati sufficienti una decina di mezzi e altrettanti autisti per raggiungere lo stesso risultato. Invece abbiamo voluto mandare un messaggio, per questo abbiamo coinvolto più di 200 persone: abbiamo organizzato una carovana che è entrata in una zona di conflitto, che si è messa a fianco della popolazione vittima di quel conflitto. La carovana è stata un corpo civile di pace nonviolento”.

Gianpiero Cofano, segretario generale dell’associazione Papa Giovanni XXIII di Rimini, è stato tra i promotori e gli organizzatori dell’iniziativa “Stop the war now” il cui manifesto è stato sottoscritto da più di mille realtà della società civile italiana: dall’Arci alla Papa Giovanni XXIII, da Rete italiana pace e disarmo, alla Focsiv, da Libera a Mediterranea (anche noi di Altreconomia). “È stata un’esperienza unica nel suo genere: ci si è ritrovati sottoscrivendo un manifesto molto semplice è chiaro -aggiunge Cofano-. In passato iniziative di carattere pacifista solitamente sono molto settoriali .Questa volta invece c’è stata un’adesione ad ampio spettro: è stato un vero e proprio arcobaleno della pace”.

La carovana con gli aiuti umanitari -cui hanno partecipato una quarantina di associazioni laiche e di ispirazione religiosa- è partita dall’Italia il primo aprile 2022: in tutto 221 attivisti da tutta Italia a bordo di una settantina di mezzi, tra pulmini, van e autobus. “Ci siamo resi conto che non è più tempo di dichiarazioni, è arrivato il momento di mettere, per quanto possibile, il proprio corpo e la propria presenza dentro il conflitto. C’era l’esigenza di portare un segno concreto di pace e solidarietà al popolo ucraino che è vittima di questa guerra”, aggiunge Ivana Borsotto, presidente di Focsiv, che ha partecipato alla carovana.

A bordo dei mezzi circa 30 tonnellate di materiale tra generi alimentari a lunga conservazione e medicinali che sono stati consegnati agli attivisti di Leopoli. “Abbiamo chiesto alle realtà con cui collaboriamo di dirci che cosa avessero bisogno, agli ospedali quali farmaci servissero e poi ci siamo attivati per la raccolta: non volevamo che il tutto si traducesse in uno ‘svuota armadi’, abbiamo voluto portare solo quello di cui c’era e c’è effettivamente necessità -spiega Cofano ad Altreconomia-. Le associazioni che hanno partecipato alla carovana si sono fatte carico delle spese per il viaggio e per i prodotti che abbiamo portato, in parte abbiamo dovuto acquistarli”.

La sosta a Leopoli è stata anche occasione per incontrare la società civile locale, i rappresentanti delle istituzioni, il vescovo cattolico e la Caritas ucraina. Inoltre, è stata organizzata una marcia silenziosa, senza simboli e bandiere -i partecipanti hanno indossato solo delle fasce bianche- dalla stazione ferroviaria al centro: “È stato un modo per comunicare alla città e ai suoi abitanti la nostra presenza -sottolinea Borsotto-. Abbiamo toccato con mano lo strazio di chi fugge dalla guerra: osservare le valigie fatte in fretta e furia da chi ha dovuto lasciare la propria casa e la propria vita in poche ore è qualcosa che ti interroga. Questo conflitto pone domande drammatiche: come difendere i popoli aggrediti? Come si ferma la violenza che prende di mira soprattutto i civili? Da un punto di vista dei principi abbiamo tutti le idee chiare: non vogliamo la guerra e non vogliamo le armi, ma poi la realtà va dall’altra parte. C’è una tensione tra l’etica dei principi e l’etica delle responsabilità. Che non va nascosta, perché ci sono persone che hanno bisogno di essere difese”.

La carovana al momento della partenza per il ritorno in Italia © Stop the war now

I mezzi partiti carichi dall’Italia non sono rientrati vuoti: dopo aver consegnato cibo e medicinali, sui sedili di autobus e pulmini si è fatto spazio a donne, bambini, anziani, malati, persone con disabilità e fragili. Circa 130 si trovavano già a Leopoli, mentre altre 170 sono state fatte arrivare appositamente nella città vicina al confine con la Polonia dalle regioni orientali del Paese (in particolare da Zaporižžja e Dnipro) tramite corridoi umanitari organizzati e finanziati dalla Papa Giovanni XXIII in collaborazione con l’Ukrainan education platform (Uep), un’associazione con cui la realtà riminese collabora da anni: “Abbiamo deciso di portare in Italia le persone più fragili, coloro che non riescono a scappare da soli -spiega Cofano-. Come sempre avviene durante le guerre, coloro che rimangono indietro sono quelli che non hanno soldi né i contatti logistici per uscire dal Paese”. E la fuga è ancora più difficile per chi ha una limitata autonomia: come i 35 ragazzi con disabilità che dalle regioni orientali dell’Ucraina sono arrivati in Italia grazie alla carovana, o come i bambini malati oncologici ricoverati negli ospedali di Leopoli che necessitano di un trasporto sanitario per potersi spostare in sicurezza per cui la Papa Giovanni sta ancora lavorando per organizzare il viaggio. “Portare in Italia circa 300 persone tra le più fragili, per noi è un segno concreto di pace”, spiega ancora Cofano.

Il lavoro delle organizzazioni che hanno sottoscritto il manifesto “Stop the war now” non si ferma con il rientro della carovana in Italia. All’interno del gruppo, infatti, si sta continuando a lavorare non solo per portare avanti azioni di solidarietà concrete nei confronti della popolazione ucraina (come l’invio di generi alimentari e l’evacuazione dei più fragili) ma anche per mostrare solidarietà e vicinanza con i pacifisti russi che mettono a rischio la propria vita e la propria libertà per dire “no” all’invasione e alla guerra. “E chissà, magari arrivare anche a una conferenza di pace dal basso, a Kiev, organizzata dalla società civile”, rilancia Cofano.

Lavorare per la pace significa anche piantare oggi semi che germoglieranno nel futuro: “La cooperazione internazionale può essere uno strumento di pace perché ha come obiettivo quello di combattere povertà e disuguaglianze, che possono alimentare i conflitti -riprende Ivana Borsotto-. La cooperazione internazionale contribuisce a rafforzare la società civile: in questo modo, indirettamente, contribuisce al consolidamento delle democrazie e della pace”. Alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina, rilancia la presidente di Focsiv, è più che mai importante raggiungere l’obiettivo che l’Italia ha assunto nel 1970 alle Nazioni Unite di portare allo 0,7% del prodotto interno lordo il contributo annuale alla cooperazione allo sviluppo: “Oggi siamo attorno allo 0,28% e negli ultimi due anni c’è stato un leggero incremento -conclude- ma siamo ancora molto lontani dall’obiettivo. Visto che il governo è riuscito a risolvere in così poco tempo la questione dell’aumento delle spese militari abbiamo scritto al governo Draghi una lettera per ricordare l’importanza di questa questione e l’urgenza di mantenere anche l’impegno per la cooperazione internazionale”.


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