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Aiuti disumani: la Gaza humanitarian Foundation va contro il diritto internazionale

Il governo israeliano ha affidato la distribuzione di cibo nella Striscia di Gaza a un ente privato munito di contractor con sede negli Stati Uniti e in Svizzera. “C’è il rischio concreto che partecipi a violazioni dei principi umanitari fondamentali, ma anche che faccia parte di un piano per spostare con la forza le persone dal Nord al Sud”, denuncia Philip Grant, direttore esecutivo di Trial International. L’organizzazione ha fatto ricorso alle autorità elvetiche
In poco più di una settimana dall’inizio delle operazioni il fallimento del piano di distribuzione alimentare della Gaza humanitarian Foundation (Ghf) è evidenziato da un dato allarmante, almeno 79 palestinesi uccisi e oltre 390 feriti mentre cercavano di raggiungere le provviste, secondo i numeri delle autorità locali.
Poche sono le scorte, rispetto a una popolazione di 2,1 milioni di palestinesi ridotti alla fame. Pochi sono anche i centri di distribuzione, principalmente concentrati nel Sud della Striscia. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie hanno respinto il nuovo sistema, affermando che permetterà a Israele di usare il cibo come arma per controllare la popolazione.
“C’è il rischio concreto che la Ghf partecipi a violazioni dei principi umanitari fondamentali, ma anche che faccia parte di un piano per spostare con la forza le persone dal Nord al Sud della Striscia, il che potrebbe essere interpretato come una potenziale complicità in un crimine di guerra”, spiega ad Altreconomia Philip Grant, direttore esecutivo dell’organizzazione non governativa che lavora sui crimini internazionali Trial International. La Ong ha sede in Svizzera, così come la Fondazione privata, nata a febbraio 2025 e registrata nello Stato del Delaware, negli Stati Uniti, e a Ginevra. Per questo, il 20 maggio Trial International ha presentato un’istanza all’Autorità federale di vigilanza sulle fondazioni (Avf) per determinare se le attività della Gaza humanitarian Foundation siano in linea con la legge svizzera e con le Convenzioni di Ginevra, di cui il Paese è depositario.
Dopo 11 settimane di blocco agli aiuti umanitari a Gaza, il primo ministro Benjamin Netanyahu il 18 maggio ha affidato alla Ghf la distribuzione di viveri. Sostenuta da Stati Uniti e Israele, la Fondazione dovrebbe rimpiazzare completamente la rete esistente, gestita da circa 200 organizzazioni internazionali, compresa Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi Unrwa, che nei decenni avevano sviluppato le capacità e conoscenze necessarie a raggiungere capillarmente la popolazione. Ai circa 400 siti esistenti se ne dovrebbero sostituire ora quattro, tre a Rafah e uno nel centro di Gaza. Si prevede che questi copriranno appena il 60% dei palestinesi di Gaza, lasciando senza accesso circa un milione di persone nel Nord.
“Questa fondazione è molto opaca -continua Grant-. Non si sa chi la finanzi, non c’è un sito web ufficiale, e molte informazioni non sono accessibili. Fin dall’inizio non era chiaro chi fosse esattamente al comando, né che cosa facesse la fondazione svizzera”. Anche per questo Trial International ha deciso di fare appello alle autorità locali. Subito dopo la prima istanza, il 21 maggio la Ong ne ha presentata una seconda al Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae). Secondo la legge svizzera, infatti, le organizzazioni che in un certo contesto assumono contractor militari devono chiedere l’autorizzazione al ministero degli Esteri, che verifichi che gli appaltatori seguano le norme internazionali. “In caso contrario, si tratta di un reato”, dichiara Grant. Le autorità svizzere hanno aperto un’indagine.
Secondo una fonte di Cbs News, la Ghf ha ingaggiato almeno 300 contractor, militari di compagnie private statunitensi, riforniti di munizioni. I contractor avrebbero il compito di garantire la sicurezza delle operazioni, mentre i soldati israeliani dovrebbero rimanere ad una distanza minima di 300 metri. Eppure le forze di difesa israeliane sono state accusate di sparare in aria e sulla folla. Il 3 giugno almeno 27 persone sono state uccise e più di 90 ferite dalle forze israeliane mentre aspettavano di accedere alle provviste in un hub nel Sud della Striscia di Gaza, secondo il ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas.
Le Forze di difesa Israeliane (Idf) hanno dichiarato che i soldati hanno sparato dopo che alcuni sospetti si sono mossi verso di loro al di fuori delle “vie di accesso designate”. L’Idf ha anche sostenuto di permettere alla Fondazione “di operare in modo indipendente” per distribuire aiuti e impedire che questi arrivino nelle mani di Hamas.
“Questo nuovo sistema di consegna degli aiuti è disumanizzante, pericoloso e gravemente inefficace”, ha denunciato Claire Manera, coordinatrice delle emergenze di Medici senza frontiere dopo che altre 31 persone erano state uccise domenica 1 giugno. I centri di distribuzione sono disegnati in modo che le persone palestinesi si debbano mettere in fila in recinzioni circondate da filo spinato, siano identificate dalla Ghf per controllare che non siano legate ad Hamas, e poi ricevano un pacco di aiuti. Alcuni sono costretti a percorrere decine di chilometri per arrivare agli hub e le persone più anziane, malate, deboli rischiano di rimanere senza cibo.
In risposta ai controlli amministrativi, la Fondazione ha dichiarato a Cbs News il 28 maggio di operare unicamente dagli Stati Uniti e che l’entità svizzera sarebbe ora in fase di chiusura. Secondo Grant, indipendentemente dal Paese di attività, resta sul tavolo la questione della “potenziale responsabilità della sua leadership nel prendere parte a un piano probabilmente emerso dal governo israeliano, un pezzo del puzzle per rimuovere parte della popolazione dal Nord di Gaza e portarla a Sud senza possibilità di ritorno”. Questo secondo l’avvocato è potenzialmente un crimine di guerra.
Secondo un’inchiesta di maggio del Washington Post, in alcuni documenti risalenti a novembre 2024 si noterebbe come i centri di distribuzione della Ghf siano inseriti in un piano a più lungo termine, ideato proprio dal governo israeliano insieme ad alcuni uomini d’affari ed ex funzionari statunitensi. Nella sua fase finale il piano prevederebbe lo sviluppo di zone residenziali sorvegliate, chiamate “Aree di transizione umanitaria”, dove ricollocare gli abitanti di Gaza, dopo essere stati sottoposti a un esame biometrico, mentre fuori l’esercito continuerebbe a combattere Hamas.
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