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In Afghanistan la salute delle donne è a rischio

Nel Paese mancano ospedali attrezzati e ostetriche formate: così il tasso di mortalità materna è tra i più alti al mondo. La rubrica di Luigi Montagnini, medico senza frontiere

Tratto da Altreconomia 224 — Marzo 2020
© Direct Relief - Flickr

Tornerei ovunque ma un posto mi manca più degli altri: l’Afghanistan. Non se ne parla più tanto. Da quando l’ISIS ha preso il posto dei Talebani, nell’immaginario mediatico del terrore poco o nulla si sa di questo Paese. Eppure tantissimo c’è da fare ancora per la popolazione civile che non ha accesso ai servizi di salute essenziali. Oltre la metà della popolazione in Afghanistan vive sotto la soglia di povertà. In molti hanno lasciato le loro case per sfuggire alla violenza e cercare nuove opportunità economiche: la capitale Kabul ha assistito negli ultimi anni a un aumento enorme della popolazione, anche per il ritorno di molti rifugiati dal Pakistan e dall’Iran.

La salute delle donne rimane uno dei punti deboli del sistema sanitario nazionale per la mancanza di reparti di maternità, di ostetriche addestrate e di farmaci essenziali. La mortalità materna è una delle più alte al mondo. Nelle mappe della World Health Organization, diverse gradazioni di colore rappresentano la maggiore o minore incidenza di una specifica condizione di salute in diversi Paesi del mondo descrivendo a colpo d’occhio la salute globale. La mappa della mortalità materna ha sempre due aree con i colori più scuri, indice di maggiore rischio per una donna che partorisce: una è l’Africa sub-sahariana, l’altra è una piccola macchia nel mezzo dell’Asia, l’Afghanistan.

32 sono i milioni di euro spesi in Afghanistan da MSF nel 2018 (fonte: MSF). 52 sono i miliardi di dollari spesi dal governo USA per la guerra in Afghanistan nello stesso anno (fonte: Forbes)

Meno della metà dei parti in Afghanistan sono assistiti da personale qualificato. Solo nell’ospedale materno-infantile di Dasht-e-Barchi, l’unico in grado di fornire assistenza per i parti complicati in un’area di oltre un milione di abitanti, nel 2018 MSF ha assistito 15mila nascite; 23mila i parti assistiti nell’ospedale di Khost, a sud di Kabul. Nel 2015 secondo i dati dell’United Nation Population Found, in Afghanistan sono morte in media 396 donne ogni 100mila bambini nati vivi. In Italia questo indicatore è 4. Alcune ricerche indicano un’enorme disomogeneità tra le diverse regioni afghane e in alcune zone rurali la mortalità materna sarebbe ancora superiore a 800.

Un articolo di Lancet (autorevole rivista medica) riporta che il Demographic and Health Survey 2015, documento di programmazione del governo afghano, stimasse la mortalità materna nel 2015 a 1.291. Per Lancet non è solo prioritaria la formazione ma anche la distribuzione delle ostetriche, soprattutto nelle aree rurali del Paese. È spesso difficile convincere le ostetriche formate in città a trasferirsi in aree disagiate: sono pagate in base ai parti assistiti ma i numeri riferiti sono spesso gonfiati e poco verificati e quindi anche la spinta economica spesso non è efficace. In tempi più recenti, le ostetriche sono state reclutate nei villaggi con l’impegno a tornarvi dopo il periodo di formazione ma non sempre l’accordo è rispettato. Inoltre, le lacune nei trasporti impediscono al personale qualificato di raggiungere i villaggi più remoti per fornire assistenza prenatale e pianificazione delle nascite. Le morti materne sono solo una delle emergenze cui il governo non riesce a fare fronte ma la morte di una mamma durante il parto rimarrà sempre uno degli indicatori più drammatici della scarsa qualità di qualunque sistema sanitario.

Alcune mie scelte professionali richiedono che per qualche tempo rinunci a partire con MSF. Per coerenza interrompo anche il mio “volo a pedali”: non so slegare l’esperienza reale dal racconto. Ringrazio Pietro e Duccio che mi hanno accolto su questa splendida rivista, MSF per avermi ritenuto degno di raccontarla e coloro che in questi quattro anni mi hanno onorato della loro lettura.

Luigi Montagnini è un medico anestesista-rianimatore. Dopo aver vissuto a Varese, Londra e Genova, oggi vive e lavora ad Alessandria, presso l’ospedale pediatrico “Cesare Arrigo”. Da diversi anni collabora con Medici Senza Frontiere.

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