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Cultura e scienza / Intervista

Elio De Capitani. Il “grande gioco” dell’Afghanistan

Elio De Capitani, attore e regista, ha legato il suo nome al Teatro dell’Elfo entrandone a far parte non ancora ventenne nel 1973. © Archivio Teatro Elfo Puccini

Con lo spettacolo “The great game / Enduring freedom” il teatro dà voce a una storia complessa, capace di parlare anche all’Italia e all’Europa di oggi

Tratto da Altreconomia 207 — Settembre 2018

“Gul e Faisal hanno solo diritti in quanto membri di una comunità. Cos’è un individuo? Un individuo è una foglia in balia del vento. La comunità è un albero che resiste alla tempesta”.  Siamo in Afghanistan, sul finire degli anni Novanta. A pronunciare queste parole è il mullah talebano Khan che si rivolge -per interposta persona- alla direttrice di una Ong internazionale attiva nel Paese, preoccupata per la sorte dei suoi due collaboratori. “Questa frase del mullah talebano è identica al tema della Festa del Sole organizzata lo scorso luglio dall’associazione di estrema destra ‘Lealtà/Azione’: ‘Senza la tradizione siamo foglie al vento’. I fondamentalisti talebani assomigliano in maniera impressionante ai nostri: c’è una comune ansia di negare una delle conquiste fondamentali dell’Occidente, ovvero l’individuo. Nella visione dei talebani come in quella dei sovranisti nostrani, il diritto individuale viene negato in nome della collettività che, legata alla tradizione, diventa un feticcio. Come il concetto di patria”.

Il mullah Khan, il re Amannullah Khan, il presidente Najibullah (ucciso dai talebani nel 1992), il comandante pashtun Massud, militari, spie, operatori di agenzie umanitarie e tante persone comuni sono i 44 protagonisti dell’imponente spettacolo teatrale “Afghanistan: The great game / Enduring freedom”, diretto da Ferdinando Bruni ed Elio de Capitani e originariamente prodotto in Inghilterra. Dieci episodi, per una durata complessiva di sei ore e trenta minuti, che raccontano la storia dell’Afghanistan dal 1842 all’attualità. Una storia che ha molto da dire anche all’Italia e all’Europa di oggi.

Elio De Capitani, perché avete voluto portare questo spettacolo in Italia?
EDC
Noi monitoriamo con molta attenzione i teatri inglesi. Inizialmente, però, questo spettacolo prodotto dal “Trcycle Theatre” era sfuggito ai nostri radar. Quando lo abbiamo scoperto leggendo una recensione ci siamo appassionati anche se, in un primo momento, pensavamo che sarebbe stato difficile portare l’Afghanistan a teatro. Poi però abbiamo avvertito l’urgenza di farlo: in Afghanistan nei primi sei mesi del 2018 ci sono state oltre 5mila vittime civili, il numero più alto mai registrato. Lì ci sono i nostri soldati, eppure molti italiani non sanno perché gli afghani scappano e vengono nel nostro Paese a chiedere asilo. Non sanno nemmeno che noi occidentali siamo andati per primi in Afghanistan, innescando quella che sarebbe diventata una guerra infinita. Non a caso la scena di apertura dello spettacolo parla della prima guerra anglo-afghana del 1842 e del disastro che ha provocato. Un disastro che assomiglia ai molti altri che sarebbero seguiti.

In Inghilterra e negli Stati Uniti sono state organizzate anche delle repliche speciali di “The Great game” per i soldati.
EDC In Inghilterra è stato l’esercito a commissionare delle repliche per i militari. Mentre negli Stati Uniti lo ha fatto un ex comandante delle forze statunitensi in Afghanistan, che ha organizzato una visione privata dello spettacolo per quattromila marines. Mi ha colpito molto quello che ha detto questo ufficiale: “Se avessi visto prima questo spettacolo sarei stato un comandante migliore per i miei uomini. E non avrei fatto una serie di errori che ho visto fare da chi mi ha preceduto”. Questa frase ci ricorda che bisogna studiare un po’ di più la storia, prima di andare in Afghanistan. E siccome lì ci sono anche i nostri soldati, mi piacerebbe che venissero a vederlo anche i soldati italiani che ci sono stati o che stanno per andarci. Proporremo di fare degli spettacoli dedicati, ma ancora non so se ci riusciremo.

Che cos’è il “Grande gioco”?
EDCThe great game” è un termine reso popolare dallo scrittore inglese Rudyard Kypling, mentre i russi lo chiamavano “Il gioco delle ombre”. Indica la sfida diplomatico-militare, di intelligence e anche di stupidità tra russi e inglesi che si è svolta in Asia Centrale, in modo particolare in Afghanistan, a metà Ottocento. I primi cercavano di raggiungere l’India, mentre i secondi volevano creare uno Stato cuscinetto per contenere l’espansione di Mosca.

Sono state 5mila le vittime civili in Afghanistan nei primi sei mesi del 2018.  “Lì ci sono i nostri soldati, eppure molti italiani non sanno perché gli afghani scappano e vengono nel nostro Paese”

Perché raccontare la storia contemporanea -e nello specifico una storia complessa come quella dell’Afghanistan- a teatro?
EDC Fin dalle sue origini, il teatro è uno strumento eccezionale per raccontare la storia. Lo aveva già fatto Shakespeare, con le sue tragedie storiche e prima ancora lo avevano fatto i greci. Pensiamo a “Le troiane” o “I persiani”: due tragedie che non solo raccontano un evento storico, ma lo fanno da un punto di vista molto interessante: quello del nemico.

Il rapporto tra Oriente e Occidente è costellato da tanti errori. Il teatro può essere uno strumento utile per interpretarli?
EDC Il teatro vuole capire, vuole conoscere. E per farlo si rivolge all’emotività degli spettatori, ma bisogna tenere presente che c’è sempre un fondo di razionalità nella narrazione teatrale. Nel nostro caso, bisogna essere disponibili ad ammettere che c’è un passato, che ci sono delle responsabilità occidentali nella nostra relazione con l’Afghanistan. Spesso ci dimentichiamo che siamo stati colonizzatori e che abbiamo scardinato gli equilibri del mondo: il teatro può far emergere le nostre responsabilità in tutto questo, ma serve una disponibilità iniziale.

C’è anche chi chiude gli occhi di fronte a tutto questo?
EDC C’è chi vede queste responsabilità, ma si rifiuta di farci i conti: persone che non vogliono sapere nulla del passato e si chiudono a riccio su sé stessi perché sono interessati solo al loro presente e al rifiuto per i profughi e per chi cerca asilo qui, in Europa. Purtroppo è quasi impossibile discutere con chi si è formato un’idea xenofoba.

Lo spettacolo sarà in scena a Roma (Teatro Argentina, dal 17 al 21 ottobre) e a Milano (Teatro Elfo Puccini, dal 23 ottobre al 25 novembre). ©Archivio Teatro Elfo Puccini

L’episodio finale dello spettacolo pone una domanda: fino a che punto ci si può spingere nel compromesso con il nemico per sfamare una popolazione allo stremo? È un dilemma ancora attuale?
EDC I dilemmi etici e lo scontro tra principi contrapposti sono uno dei cardini del teatro. Non si tratta mai di scegliere tra il bene assoluto e il male assoluto. Nel teatro greco, ad esempio, Oreste non ha la possibilità di scegliere tra il male o il bene: gli si pongono di fronte due mali ed è costretto a scegliere tra questi.

E nella vita di tutti i giorni?
EDC Il dilemma etico è alla base della nostra esistenza, ma in Italia siamo poco abituati a riflettere su questo: pensiamo che i principi siano valori assoluti e non ci viene mai spiegato che due principi possono essere in conflitto tra loro ed entrambi validi.

Ad esempio?
EDC Quando si parla di droghe e riduzione del danno o della legalizzazione di alcune sostanze stupefacenti. Ci sono molti medici che non praticano aborti per una questione di coscienza. Ma ci sarà chi sceglie di fare obiezione di coscienza anche nella guardia costiera italiana? Siamo di fronte a una finzione giuridica: aver chiamato “guardia costiera libica” una serie di milizie a cui l’Italia e l’Europa hanno dato delle imbarcazioni per riportare indietro i profughi. Ma non esiste una guardia costiera libica, così come non esistono porti sicuri in Libia. E neppure c’è la possibilità giuridica di creare hotspot in Libia per selezionare i rifugiati. Tutto questo è una finzione, un’ipocrisia. Così come è ipocrita l’atteggiamento del governo tedesco che considera l’Afghanistan un Paese sicuro, sebbene molte province siano tornate sotto il controllo dei talebani e ancora si combatta provocando migliaia di morti e feriti. Eppure il ministro dell’Interno tedesco, Horst Seehofer, lo scorso luglio ha rimpatriato 69 profughi: uno di loro, un ragazzo di 23 anni, arrivato a Kabul si è suicidato.

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