Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente

Aeroporti senza strategia

Da Forlì a Rimini, passando per Parma: i piccoli scali italiani restano aperti nonostante un traffico che non garantisce la sostenibilità. Intanto, l’aeroporto di Bologna punta a crescere e si quota in Borsa, mentre a Firenze si discute intorno alla realizzazione della seconda pista (che aspira a "togliere" traffico allo scalo del capoluogo emiliano). Nel 2014 i passeggeri sono stati in tutta Italia poco più di 150 milioni, mentre le infrastrutture esistenti possono ospitarne oltre 245 milioni

Tratto da Altreconomia 171 — Maggio 2015

L’aeroporto di Forlì è scomparso dall’ultima graduatoria degli scali, la classifica diffusa ogni anno dall’Ente nazionale della aviazione civile (ENAC), che dà i numeri del traffico commerciale (passeggeri) e cargo (merci). L’infrastruttura è chiusa da metà del 2013, e Roberto Balzani, sindaco della città fino al 2014, oggi tornato a insegnare Storia contemporanea a Ravenna, rivendica il percorso che aveva portato a questa decisione: “Il peccato originale nella gestione dell’aeroporto è che quasi tutte le compagnie, ad eccezione di una piccola e ungherese, volevano essere pagate per volare fino a Forlì”.
SEAF spa, la società di gestione, con azionisti principali il Comune di Forlì, al 48%, e la Regione Emilia-Romagna, al 25%, pagava per portare traffico aereo. “Se una compagnia pensa che una tratta sia redditizia, se la fa pagare?” si chiede Balzani. 

Quello descritto è però un tratto distintivo dei piccoli aeroporti italiani nella stagione dei voli low-cost, che nel 2014 ha visto oltre 20 scali restare aperti nonostante un traffico inferiore al milione di passeggeri per anno, che “è la soglia minima per garantirne la sostenibilità -come spiega ad Altreconomia Fabio Carlucci, docente all’Università di Salerno, e autorevole membro della Società italiana degli economisti dei trasporti (SIET, www.sietitalia.org)-. Ogni infrastruttura comporta infatti ingenti investimenti pubblici nel funzionamento del complesso aeroportuale e per il controllo del traffico, che sono a carico del contribuente”.  

Torniamo ancora a Forlì. La decisione di chiudere al traffico il “Ridolfi” (così si chiama lo scalo) è maturata per necessità: la Finanziaria del 2010 imponeva la liquidazione di quelle società a maggioranza pubblica che non avessero raggiunto per tre anni di seguito il pareggio di bilancio. Dopo i conti in rosso nel 2010, 2011 e 2012, su bilanci intorno agli 8 milioni di euro, la SEAF ha portato i libri in tribunale, e il Comune ha voluto “mettere alla prova” del mercato il futuro aeroportuale forlivese.
D’accordo con ENAC, è stato promosso un bando per trovare un soggetto privato disposto a gestire lo scalo. “Ad oggi, un soggetto industriale è risultato vincitore della gara: ha una concessione per la gestione dello scalo. Per poterla rendere efficace -sottolinea Balzani-, deve fare degli atti”. Il primo, e più importante, è il deposito di un piano industriale, che evidenzi anche gli investimenti annuali da realizzarsi per il corretto funzionamento dello scalo.

“Sarà il mercato a dirci se davvero, come in molti hanno affermato, il futuro economico della nostra città dipenda dall’aeroporto, o se questa è una visione ideologica delle classi dirigenti, trasmessa all’opinione pubblica tramite i giornali -riprende l’ex sindaco di Forlì-: quando abbiamo chiuso per forza di cose non ho visto gli utenti in Comune a protestare, ma solo i dipendenti SEAF. Se io avessi chiuso la stazione ferroviaria, probabilmente avrei avuto in piazza decine di migliaia di persone. L’aeroporto serve più per ragioni di prestigio, per l’idea che una piccola città comunque debba avere questa apertura al mondo, e poi è un modo per scaricare su altri l’incapacità di promuovere realmente uno sviluppo economico”.

Rimini è a meno di sessanta chilometri ad Est di Forlì. Nel 2014, lo scalo ha chiuso con meno di mezzo milione di passeggeri, in 10 mesi. Poi è stato chiuso, dal primo novembre 2014 per cinque mesi.
Oggi (16 aprile 2015, ndr) sul sito www.riminiairport.com campeggia questo messaggio: “Il volo Transaero UN0372 diretto all’aeroporto di Mosca-Domodedovo è decollato dall’Aeroporto internazionale di Rimini e San Marino ‘Federico Fellini’ alle ore 17 di mercoledì 15 aprile. Si tratta del volo numero 10 dalla riapertura avvenuta lo scorso 1 aprile con la nuova gestione di AIRiminum”.
Dieci voli in quindici giorni sono pochi per uno scalo la cui pista potrebbe supportare fino a 14 movimenti/ora, che è l’unità di misura utilizzata per calcolare la “capacità” di uno scalo, e viene applicata ad altri due parametri indicativi, cioè il “terminal” e il “piazzale” di manovra.
Questo dato, se allarghiamo lo sguardo da Rimini al resto del Paese, ci dice che in Italia ci sono troppi aeroporti, molti dei quali funzionano a ritmo ridotto: nel 2014, spiega la relazione ENAC, sono 150.243.132 i passeggeri transitati per i 45 scali che hanno ospitato voli commerciali nel nostro Paese (su un totale di circa 90 scali attivi per il traffico dell’aviazione generale, cioè voli non militari per scopi non commerciali e diversi dal lavoro aereo), contro una dotazione complessiva, per quanto riguarda le piste, di oltre 245 milioni.   

A parole, i governi si dicono pronti ad interventi di razionalizzazione: a fine gennaio 2013, Corrado Passera -allora super ministro dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture nel governo Monti- aveva emanato un “Atto di indirizzo per la definizione del Piano nazionale per lo sviluppo aeroportuale”, definito un “provvedimento atteso da 26 anni”. Due anni dopo, a febbraio 2015, Maurizio Lupi ha annunciato l’intesa con le Regioni su un Piano nazionale degli aeroporti che era stato approvato preliminarmente dal Consiglio dei ministri nella riunione del 30 settembre 2014.
Secondo un’agenzia MF-DJ del 19 febbraio, il Piano sarebbe stato di lì a poco deliberato nella sua versione definitiva dal Consiglio dei ministri, per poi essere firmato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Al momento, complici forse le dimissioni di Maurizio Lupi (a metà marzo, a seguito dell’inchiesta “Sistema”), non risulta nell’indice degli atti firmati presente sul sito www.quirinale.it (è aggiornato al 12 aprile 2015).

Lupi aveva annunciato trionfante: “L’Italia, finalmente, non è più il Paese dei 90 aeroporti, dove ognuno fa per sé, spesso generando perdite, sprechi e inefficienze”. Secondo le indicazioni riportare sul sito del ministero, il documento divide gli scali italiani classificandoli come “aeroporti strategici intercontinentali” (sono tre: Roma Fiumicino, Milano Malpensa e Venezia), “aeroporti strategici inseriti nella core network europea” e “aeroporti considerati di interesse nazionale”.
Tuttavia, almeno secondo il professor Carlucci, che è anche responsabile scientifico del Laboratorio di economia agroalimentare, dei trasporti e del turismo dell’Università di Salerno, e autore di numerose ricerche in materia, ciò che continua a mancare nel nostro Paese è “l’attenzione alle infrastrutture da un punto di vista gestionale. In Germania -spiega Carlucci- ci sono due scali di dimensioni maggiori, aeroporti considerati ‘satellite’, e funzionali ad evitare il rischio congestione dei primi, a fronte di eventi atmosferici, ad esempi, scali dedicati esclusivamente al traffico low cost e altri dove atterrano soli voli cargo, riducendo il carico sugli aeroporti più importanti”.
I principali scali merci in Italia nel 2014 sono stati -nell’ordine- Malpensa e Fiumicino, i due scali che guidano anche la classifica “passeggeri”, avendo registrato il 38% del traffico complessivo nel corso dello stesso anno (per oltre 56 milioni di passeggeri).    

Gli aeroporti di interesse nazionale del Piano di Maurizio Lupi c’è anche il 32° italiano per volume di traffico, un terzo scalo emiliano-romagnolo, quello di Parma, che si chiama “Giuseppe Verdi”. Nel 2014, il terminal ha ospitato 203.651 passeggeri. Il prossimo 31 maggio potrebbe essere l’ultimo giorno di voli . Un gruppo di cittadini ha così promosso un’associazione “Amici dell’aeroporto”, e lancia appelli “per la salvezza del nostro scalo”, per evitare che “la chiusura del Verdi contribuisca anch’essa al declino della città”. 
“Vogliamo che sia valutato l’interesse dell’aeroporto dal punto di vista dei fruitori -spiega ad Ae Fabrizio Pallini, presidente dell’associazione-. Vorremmo che il territorio di Parma, ma anche quelli di Reggio-Emilia o di Mantova, si faccia carico di considerare l’aeroporto come un servizio, anche se ovviamente non può essere paragonato agli ospedali. A partire da una lettura dei bilanci, e da confronti con il presidente e il direttore della società di gestione, sappiamo che per una gestione annuale, più che mai corretta e senza tirarsi il collo, servono 2,5 milioni di euro all’anno”.
È stata promossa anche un campagna di raccolta fondi e di azionariato popolare, convinti che Parma potrà rappresentare lo scalo Medio-Padano (il nome riprende quello della stazione AV di Reggio-Emilia, dove oggi fermano meno di tre treni all’ora), e in futuro andare a supplire alla congestione cui potrebbero andare incontro gli scali di Milano-Linate e Bologna. 

Per ragionare in questi termini, però, sarebbe auspicabile l’adozione di una visione (realmente) strategica. “Secondo le prime dichiarazioni, Graziano Delrio pare intenzionato a superare un tipo di analisi dei trasporti che li suddivide per ambiti settoriali -dice il professor Carlucci-, tornando a una visione d’insieme, come faceva, ad esempio, il vecchio Piano generale dei trasporti del 1986: la logica che ha prevalso in Italia, invece, è quella che vede l’Alta velocità ferroviaria e l’aereo non come due modalità integrate, ma concorrenti, basti pensare al ‘caso’ della tratta Roma-Milano”.

Se davvero Delrio vuole cambiare verso, la prima questione da affrontare sarà quella dell’aeroporto di Firenze. Lo gestisce una società presieduta da Marco Carrai, amico e consigliere del premier Matteo Renzi, che nella città che ha amministrato fino al 2014 vorrebbe ospitare il G8 del 2017. Per quell’occasione, lo scalo dovrebbe presentarsi al mondo con una nuova pista, più lunga (e quindi con la capacità di accogliere aerei più grandi). Al momento, esistono due progetti -a 2 e 2,4 chilometri-, ma entrambi sono osteggiati da comitati locali, riuniti nel Coordinamento dei Comitati per la Salute della Piana di Prato e Pistoia (http://pianasana.org).
Oltre ad aver presentato documentati ricorsi al TAR contro l’intervento, evidenziando i rischi di raddoppiare l’aeroporto in un’area già densamente “infrastrutturata”, a due passi dal casello autostradale, (troppo) vicino al nuovo polo universitario fiorentino, a una divisione del CNR e alla Scuola dei Marescialli del Carabinieri, e modificando in modo irreparabile il reticolo idrico della piana, l’azione dai comitati è servita anche a rendere evidente l’assenza di una vera visione strategica nella pianificazione aeroportuale italiana.
Lo hanno fatto in modo semplice, cioè inviando una lettera a Violeta Bulc, Commissario europeo per i Trasporti, per chiedere una parere in merito a due aspetti:  perché l’aeroporto di Firenze, che ha recentemente completato una fusione societaria con quello di Pisa, è indicato nel Piano nazionale degli aeroporti Lupi come “strategico”, modificando tra l’altro l’indicazione contenuta due anni prima nel “piano Passera” e chiaramente precisato nell’attuazione del Regolamento UE 1315/2013,  quello relativi ai “corridoi” del Progetto TEN-T? È cambiato qualcosa a Bruxelles? 
Probabilmente no, almeno secondo quanto riportato nella risposta inviata dalla Bulc al Coordinamento dei Comitati: “L’aeroporto di Firenze fa parte della rete ‘complementare’ alla rete strategica individuata nel network TEN-T -scrive Filip Cornelis, capo unità del Direttore generale per la mobilità e i trasporti incaricato dalla Commissaria Bulc di rispondere a una missiva indirizzatale dai comitati fiorentini-. In ogni caso, lo sviluppo della capacità aeroportuale non è una priorità per l’Unione europea”. Cornelis spiega anche che per la tipologia d’investimento previsto, lo scalo fiorentino non potrà ricevere finanziamenti pubblici europei. La legge Sblocca-Italia  del novembre scorso, invece, promette un finanziamento del governo italiano fino a 50 milioni di euro per la realizzazione della nuova pista, mentre l’ex ministro Maurizio Lupi avrebbe promesso ulteriori 100 milioni di euro. E il localismo prevale ancora su ogni visione strategica. —

Chi paga il biglietto
L’aeroporto di Rimini e quello di Ancona-Falconara sono distanti 86 chilometri, meno di un’ora d’auto, e si contendono i “clienti” a colpi d’incentivi. Per clienti, in questo caso, s’intendono i vettori, e non i passeggeri.
La Regione Marche, primo azionista di AerDorica, gestore dello scalo marchigiano, non ha risposto alla nostra domanda in merito al volume complessivo degli incentivi. Ma il dato dovrebbe essere pubblico, almeno secondo le “Linee guida” emanate dal ministero delle Infrastrutture il 2 ottobre scorso. Il provvedimento nasce dalla considerazione che “le modalità con cui i gestori aeroportuali e i vettori hanno negoziato le incentivazioni per l’avviamento o lo sviluppo di rotte aeree hanno generato notevoli problematiche in relazione […] a profili di leale concorrenza”. La trasparenza aiuterebbe a capire, tra l’altro, se gli incentivi -da quelli indirizzati a una crescita del volume di traffico complessivo a quelli che riguardano “modulazione tariffaria”, prevedendo sconti o rimborsi- siano, o meno, concessi “in conformità del diritto comunitario”.

© Riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.