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Opinioni

Adolescenti inquieti

Altreconomia compie 15 anni. Il primo numero, a novembre 1999, veniva distribuito mentre a Seattle si manifestava contro l’Organizzazione mondiale del commercio. La crisi economica, ambientale e sociale paiono dar ragione a quelle persone. E oggi, sappiamo che per sopravvivere sarà necessario stringere alleanze e cambiare priorità, andando oltre la società dei consumi e verso la società della produzione di valore

Tratto da Altreconomia 165 — Novembre 2014

Due ragazze fronteggiano gli scudi della polizia in tenuta antisommossa. Sembrano voler spiegare le loro ragioni. Era il novembre 1999, a Seattle, e nel tentativo -riuscito- di ostacolare i lavori dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), faceva la sua apparizione mediatica un movimento che poi venne definito impropriamente “no global”. Quelle ragazze -quanti anni avranno avuto? 18? 19?- e tutte le persone che erano scese in piazza manifestavano in realtà non contro qualcosa, non per se stessi, ma per tutti: avevano avuto la capacità di cogliere, nel sistema economico e sociale, una profonda ingiustizia. Provavano una profonda inquietudine per quella cieca incapacità di garantire un futuro di quel tipo di globalizzazione, e perciò la contestavano. Avevano ragione: dal 2000 a oggi la ricchezza globale è più che raddoppiata, ma il 94% di questa è in mano al 20% della popolazione. Oggi lo 0,7% degli abitanti del Pianeta detiene il 44% delle risorse, mentre il 70% più povero ha in mano meno del 3%. La chiamate giustizia?

Nel novembre 1999 nasceva anche Altreconomia. Quelle due ragazze finirono sulla copertina del numero 2 del nostro mensile, e ora le mettiamo su questo numero, col quale compiamo 15 anni. Meno di 10 anni dopo Seattle il sistema economico, quel modello di globalizzazione, è andato in crisi. Una stagione, iniziata con la caduta del muro di Berlino e caratterizzata da governi neoliberisti, è finita. La globalizzazione intesa come pura espansione trainata dalla finanza, dalle nuove tecnologie, da una soggettività fortemente individualistica e consumistica, ha esaurito la sua storia. Lasciando macerie.

Molti di noi hanno vissuto una fetta rilevante della propria vita in un’epoca in cui sembrava plausibile che tutto crescesse all’infinito. Il mito è che questo avrebbe portato opportunità e benessere per tutti. Ma il mito era falso: l’aumento delle opportunità ha portato squilibri nella distribuzione delle ricchezze, e questo, oltre che un problema sociale (e morale), è un problema di carattere economico. Oggi -dopo esserci fatti scarrocciare dalla corrente, incautamente fiduciosi per 20 anni- siamo nel mezzo di un mare che non conosciamo, senza sapere bene dove andare, né come. La politica ha perso il timone, perché i politici non studiano, non hanno prospettiva storica. E non serve nemmeno che i premi Nobel per l’economia siano assegnati a studiosi come Jean Tirole, che da anni analizza gli oligopoli formati da grandi multinazionali, che si fanno beffe della retorica del “libero mercato” e dominano l’economia influenzando prezzi, volumi, qualità senza che le autorità pubbliche abbiamo sufficiente conoscenza di come lavorano e delle merci e servizi che forniscono.
Ci chiediamo quale sarà il prossimo ciclo economico. La risposta che dalle pagine di Altreconomia diamo da 15 anni è che sopravviveranno quelle organizzazioni e quei territori che sapranno stringere alleanze e cambiare priorità, andando oltre la società dei consumi e verso la società della produzione di valore. In quei 20 anni si sono sciolti tutti i legami, perché frenavano l’espansione. Il tema è riscrivere i legami, rimettere mano al nostro modo di stare insieme.
Il cambiamento, come in tutte le grandi fasi storiche, riguarda ciascuno di noi. Uno dei padri della sociologia, Max Weber, diceva che sono gli “spiriti” a muovere l’economia. Lo spirito è soffio, vita, capacità di animare la materia. Il nostro interesse è lo spirito di una “nuova” economia, ed è quello che pervade le pagine di questa rivista.

Chissà dove sono oggi quelle due ragazze di Seattle. Saranno donne, non più studentesse -se lo erano- ma lavoratrici, forse madri. Speriamo e crediamo che non abbiano perso quell’inquietudine e il coraggio di fronteggiare il potere.
Anche noi di Altreconomia siamo ancora qui, magari con qualche acciacco, ma non abbiamo perso quello spirito.

Quindicenni, adolescenti e inquieti.—
 

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