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Altre Economie

Acquisti verdi ancora al palo

Nonostante gli obblighi di legge, la pubblica amministrazione italiana (dalle scuole agli uffici comunali) non fa nulla o quasi per essere sostenibile. Eppure la conversione sarebbe un eccezionale volano per l’economia nazionale. E una fonte di risparmio per tutti

Tratto da Altreconomia 99 — Novembre 2008

Entrate nei bagni del Comune di Brescia senza timore per l’ambiente: sono puliti con detergenti biodegradabili, e carta igienica e salviette sono riciclate al 100%. Se vostro figlio frequenta le scuole in Emilia-Romagna, invece, in questi mesi la sua classe sta ricevendo banchi, lavagne, armadi, cattedre e sedie in legno riciclato o proveniente da foreste certificate. Forniture e servizi sostenibili per l’ambiente sono il frutto di bandi di gara ispirati a principi detti di Green Public Procurement (Gpp). Nel 2007, l’importo complessivo degli acquisti definiti “verdi” di un Comune medio-grande come quello di Brescia (circa 190mila abitanti) ha superato il milione e 300mila euro, pari al 31,64% delle forniture. Ancora meglio ha fatto la Regione Emilia-Romagna: il bando, per tutte le scuole medie inferiori, è stato aggiudicato a luglio 2008, e vale 4 milioni di euro. Sono scelte virtuose, ma in Italia restano esempi da vetrina. “Casi studio” da mettere in una teca per essere ammirati. Peccato che dovrebbero essere la prassi: quest’estate, una comunicazione della Commissione europea ha posto ai Paesi membri l’obiettivo di inserire i criteri del Gpp nel 50% delle gare d’appalto della pubblica amministrazione entro il 2010. Bruxelles non include nessun tipo di obbligo, ma quello indicato è un target possibile, perché tarato sul comportamento virtuoso dei 7 Paesi più sensibili (Austria, Danimarca, Finlandia, Germania, Olanda, Svezia e Regno Unito, definiti “Green-7”).
E l’Italia? Il nostro Paese arranca: siamo fermi all’8-10% di “acquisti verdi”. Un dato che in realtà è una stima, perché “consideriamo ‘verde’ un bando che in effetti non lo è”, spiega Riccardo Rifici, che presso il ministero dell’Ambiente coordina il lavoro sul Green Public Procurement: manca ancora un quadro legislativo completo. Siamo in ritardo: nel 2003 l’Unione europea ha invitato tutti i Paesi membri ad elaborare, entro il 2006, piani d’azione per “l’integrazione delle esigenze ambientali negli appalti pubblici”. Il Piano di azione nazionale italiano (Pan Gpp) è stato approvato solo nell’aprile del 2008 (vedi box a pag. 12), ma ancora restano al palo i decreti attuativi che definiranno i requisiti per definire “verde” un bene o servizio oggetto del bando. Tecnicamente, si chiamano “criteri ambientali minimi” e riguardano una dozzina di tipologie di prodotto individuate.
I primi decreti dovrebbero uscire entro fine anno o all’inizio del 2009 e riguardano i settori dell’Information Technology (It) e della carta.
Poi, finalmente, usciranno bandi che potranno davvero definirsi “verdi”.
Purtroppo, in Italia l’acquisto sostenibile della pubblica amministrazione non funziona nemmeno quand’è un obbligo di legge: il decreto legislativo 22 del 1997, undici anni fa, obbligava le Regioni a coprire il 40% del proprio fabbisogno con carta riciclata. Sei anni dopo, il decreto 203 del 2003 obbligava tutti gli enti pubblici a coprire il 30% del proprio fabbisogno annuo di manufatti e beni (dalla carta, ai mobili) con materiale riciclato. Ma l’operatività del decreto è ingessata da “condizioni” che ne limitano (o azzerano) l’efficacia.
Il ritardo nell’attuazione dei principi del Green Public Procurement non è cosa da poco: la spesa della pubblica amministrazione copre il 16% del prodotto interno lordo dell’Unione europea. In Italia, i “consumi” della pubblica amministrazione -l’insieme di Comuni, Province, Regioni, ministeri ed enti di ricerca- valgono circa 115 miliardi di euro all’anno.
Il Gpp, cioè, sarebbe un volano straordinario, in grado se attuato di trasformare il sistema produttivo italiano, valorizzando piccole, medie e grandi imprese che investono sulla sostenibilità ambientale e non solo in greenwashing.
Almeno 50 miliardi di euro, ogni anno, fanno riferimento agli undici settori prioritari individuati nel Piano d’azione nazionale, ossia sono “aggredibili” secondo la definizione che ne dà Riccardo Rifici. Per l’Italia è una chimera raggiungere l’obiettivo che il governo s’è dato con il Piano d’azione nazionale, il 30% di acquisti verdi entro il 2009. Figurarsi l’obiettivo Ue.
Il fallimento del Green Public Procurement è un fallimento della politica: l’ufficio del ministero dell’Ambiente che si occupa di Gpp è de-potenziato. Rifici lavora da solo: con lui, c’erano tre precari, i cui contratti però sono scaduti. Da novembre, forse, verrà di nuovo affiancato da alcuni collaboratori.
Una volta approvato, il Piano d’azione nazionale sul Gpp è stato bloccato per sei mesi dalla Ragioneria dello Stato. Motivo: “Il timore che l’introduzione dei criteri ambientali aumentasse la spesa pubblica”, spiega Rifici. In più, “la Ragioneria non era convinta dell’idea di ‘ciclo di vita’ del prodotto”, che è alla base del Gpp e considera il costo di un prodotto sull’ambiente dalla fase di estrazione e trattamento delle materie prime a quella dello smaltimento dei prodotti a fine vita.
Gli “acquisti verdi”, quindi, sono lasciati alla buona volontà di amministrazioni illuminate o sensibili alle tematiche ambientali. Con risultati minimi, come abbiamo visto: il volontarismo è ammirevole ma non è efficiente né sufficiente (vedi a pag. 13). Purtroppo, in Italia l’idea di “spesa pubblica” è di moda solo se affiancata dalla parola “tagli”. Non ha successo parlare di modalità di impiego dei soldi dei contribuenti (che finanziano la pubblica amministrazione) in base a criteri di sostenibilità ambientale e sociale.
Dietro il fallimento del Green Public Procurement c’è anche il mito eterno della libera concorrenza: i criteri ambientali devono fare i conti con l’esigenza di garantire la partecipazione al bando a un numero adeguato di imprese. Ma è come un gatto che si morde la coda: finché i criteri del Gpp restano relegati alla buona volontà, le imprese non saranno incentivate a investire per migliorare le proprie performance ambientali.
Eppure, all’interno di ogni gara i criteri sociali ed ambientali si possono far valere in vari momenti: tra i criteri di ammissione alla gara, anche se in questo caso diventa quasi una soglia di accesso, tema controverso; oppure nella fase di definizione dell’oggetto, chiedendo ad esempio un prodotto certificato Ecolabel o equivalente.
O, infine, in fase di assegnazione del punteggio: ad esempio, il Comune di Terlizzi (Bari), che nel febbraio 2006 ha bandito la fornitura di attrezzature e arredi per il Centro studi e ricerche sui fiori, ha assegnato 40 punti su 100 valutando il “profilo ambientale e sociale dell’impresa” (10 punti), le “caratteristiche ambientali e qualitative dei prodotti e misure di riduzione dell’impatto ambientale” (7 punti), le “caratteristiche ambientali del progetto” (18 punti), la “qualità del servizio e assistenza tecnica” (5 punti).  
All’interno del bando serve sempre, in ogni caso, una correlazione diretta tra il criterio ambientale e l’oggetto dell’appalto: se l’ente pubblico vuole comprare della “carta”, può chiedere che sia riciclata ma non che l’impresa abbia la certificazione che non defluisce l’acqua inquinata post-produzione nei fiumi. 
Qualcosa, però, sta cambiando, anche in Italia: il nuovo Codice degli appalti (il dl 163/2006) fa qualche timida apertura ai criteri “verdi”. All’articolo 2 sancisce che “il principio di economicità può essere subordinato […] ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell’ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile”.
Pochi, però, lo sanno e lo fanno: il fallimento del Gpp, anche in Europa, è spesso un problema d’informazione. Secondo lo studio Green Public Procurement in Europe. Conclusions and recommendations del 2006 (ec.europa.eu/environment/gpp/index_en.htm), tra le barriere percepite dagli operatori della pubblica amministrazione per l’applicazione dei criteri “verdi” ci sono la mancanza di competenze sull’adozione (37%) e di supporto da parte del management (32%).
A cambiare l’orizzonte possono contribuire le centrali d’acquisto.
Consip (www.consip.it), ad esempio, è il “bandificio” di Stato, una spa del ministero dell’Economia nata per razionalizzare la spesa per beni e servizi delle amministrazioni centrali (ministeri, Università, enti di ricerca). Ogni anno mette a gara un valore di 3,6-3,8 miliardi di euro: Consip ha iniziato ad inserire criteri verdi nei propri bandi dal 2006: “Ad oggi -ci racconta l’ad Danilo Broggi- abbiamo inserito criteri ‘verdi’ per il 60% delle tipologie di merce. L’obiettivo è di arrivare all’intero ‘parco’, ma alcune aree sono più complesse”.

Il nodo da sciogliere resta uno: per rispondere a criteri ambientali più stringenti imposti della pubbliche amministrazioni, le imprese dovrebbero investire. E la Confindustria italiana percepisce l’ambiente come un costo. Sul Gpp, non è chiaro chi ha il coltello dalla parte del manico: se la committenza, la pubblica amministrazione, o l’impresa che deve rispondere al bando.
Secondo Silvano Falocco, ad di Ecosistemi ed esperto sulla politica integrata di prodotto per il ministero dell’Ambiente, il Gpp resterà un tema di nicchia finché non esisterà “una retorica condivisa tra le imprese che permetta a chi investe in sostenibilità ambientale di uscire allo scoperto. C’è una sola voce, quella di Confindustria, che tutela ‘gli ultimi della fila’. Noi vorremmo che le imprese possano dire: ‘In verità, ci guadagno; per me l’attenzione all’ambiente significa ridurre i costi’”.  
Per questo, dal 2009 il Forum internazionale sugli acquisti verdi, “Compraverde”, organizzato da Ecosistemi, avrà una sezione dedicata ai “risparmi economici” legati all’attuazione di buone pratiche ambientali.“Oggi -continua Falocco- alle imprese piace inserire il tema ambientale nella comunicazione, far retorica su quanto è importante essere responsabili. Però ci obbligano a firmare disciplinari che non ci permettono di ‘comunicare’ la riduzione dei costi legati agli interventi di innovazione ambientale e per l’efficienza energetica”. L’industria ha paura di rompere il fronte.

Per i privati meglio l’obbligo
Un comportamento lasciato agli strumenti volontari “è un ‘di più’. Soprattutto nella pubblica amministrazione, dove a volte l’input non arriva con grande efficienza, né in tempi adeguati. E siccome è un ‘invito’, se recepirlo oggi mi mette in seria difficoltà, lo rimando al domani”.
Maria Litido lavora per il Dipartimento ambiente, cambiamenti globali e sviluppo sostenibile dell’Enea. Per lo stesso ente è stata la responsabile del progetto Siamesi (Sistema integrato ambiente e sicurezza), sperimentato nel Centro ricerche della Trisaia, in Basilicata, che ha introdotto, primo tra i centri europei di ricerca, prassi volontarie per migliorare le proprie prestazioni ambientali, riducendo i consumi energetici, idrici e di materie prime e avviando gli acquisti “verdi” di beni e servizi nella logica del Green Public Procurement (www.trisaia.enea.it).
“Sono convinta che gli strumenti finora volontari come il Gpp giochino un ruolo molto importante, perché favoriscono chi ha già un certa cultura e rinforzano la fiducia di chi acquista un prodotto.
In questi ultimi 15 anni hanno avuto un ruolo fondamentale come ‘volano’ di cambiamenti, ma oggi ho la sensazione che le emergenze ambientali viaggino ad una velocità maggiore della nostra.
Se ci si fosse mossi per tempo, e con strumenti obbligatori, senz’altro una parte più ampia del mercato privato si sarebbe adeguata. Così, laddove la volontarietà degli strumenti non è sufficiente, ritengo che acquisti rilevanza la cogenza di un comportamento. Se la pubblica amministrazione fosse obbligata ad acquistare ‘verde’, ciò porterebbe a spostare una fetta di mercato consistente”.
Ad aprile 2008, l’Italia ha approvato un Piano d’azione nazionale per il Gpp. Mancano i decreti attuativi… “…che purtroppo sono fondamentali, perché definiscono i requisiti ambientali minimi e consentono di includerli nei requisiti degli acquisti di beni e servizi. Quando elaboro un bando di gara per approvvigionarmi di un certo prodotto, come faccio a definirne le caratteristiche? Se voglio comprare ‘verde’, ho bisogno di sapere quali sono le aziende sul mercato che offrono prodotti con le caratteristiche che cerco: e i requisiti per definirle li trovo solo in questi decreti”.
Anche dopo i decreti in Europa il Gpp resterà una pratica volontaria.
“Il Gpp resta uno strumento volontario perché, secondo i regolamenti degli appalti della pubblica amministrazione, dalle gare non deve essere escluso nessuno. Si teme il rischio che, se io impongo una serie di requisiti che escludono fette di produttori, alla fine posso identificare un unico produttore abilitato a partecipare al bando, e quindi viene meno la garanzia di competitività del mercato. Andrebbero perciò modificate le normative sugli appalti pubblici, per inserire la rispondenza a requisiti ambientali, nel rispetto delle regole di un mercato competitivo.
Il Parlamento europeo vuol far crescere l’aspetto obbligatorio, definendo criteri ambientali minimi, al di sotto dei quali un prodotto non può essere offerto alle Pubbliche amministrazioni”.

Tutto cominciò a Helsinki
Il primo libro verde sul Green Public Procurement della Commissione Ue, (“Gli appalti pubblici nell’Unione europea”), è del 1996. Già due anni prima, però, la Danimarca aveva reso obbligatori gli “acquisti verdi” con l’Environmental Protection Act. Nel 1997, il Comune di Helsinki pubblicò un bando “verde” per l’acquisto di autobus per l’Hkl, l’azienda pubblica di trasporti. Un concorrente escluso presentò ricorso: aggiudicare il servizio in base al criterio delle minori emissioni di ossido di azoto era una misura “parziale e discriminatoria”. Il caso è finito alla Corte di giustizia europea, che lo ha giudicato nel 2002, dando ragione al Comune: la sentenza è una pietra miliare del Green Public Procurement.
Nel 2001, la comunicazione 274 della Ce torna sul tema: “Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti pubblici”.
Nel 2003 arriva una nuova comunicazione, relativa a “Politica integrata dei prodotti–sviluppare il concetto di ‘ciclo di vita ambientale’”. L’anno successivo le indicazioni della comunicazione sono state recepite all’interno della direttiva 2004/18/CE, relativa al “coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, di forniture, di servizi, di lavori”. Nel 2005 la Commissione pubblica il primo manuale sugli appalti pubblici eco-compatibili, Acquistare verde. Nel Quadro strategico nazionale per la politica regionale di sviluppo 2007-2013, dell’aprile 2006, il Gpp viene indicato tra le priorità d’intervento. In Italia, la direttiva 18 è stata recepita il 12 aprile 2006, con l’approvazione del dl 163/2006, il “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”. In Europa, l’ultimo documento approvato in ordine di tempo è la Comunicazione 400/2008, Acquisti pubblici per un ambiente migliore: è la prima comunicazione specifica sul Gpp e contiene indicazioni su target, sulla definizione di criteri ambientali comuni, sui settori prioritari.

Gli undici eletti del piano italiano
Dai cibi biologici per le mense ai sistemi di mobilità sostenibile: il “Piano di azione nazionale” per il Green Public Procurement (Pan Gpp), approvato con il decreto interministeriale numero 135 dell’11 aprile 2008, ha individuato 11 settori prioritari, che sono stati selezionati in base agli impatti ambientali ed ai volumi di spesa pubblica coinvolti. Eccoli:
– gli arredi (mobili per ufficio, arredi scolastici, arredi per sale archiviazione e sale lettura);
– l’edilizia (costruzioni e ristrutturazioni di edifici con particolare attenzione ai materiali da costruzione, costruzione e manutenzione delle strade);
– la gestione dei rifiuti;
-i servizi urbani e al territorio (gestione del verde pubblico, arredo urbano);
– i servizi energetici (illuminazione, riscaldamento e raffrescamento degli edifici, illuminazione pubblica e segnaletica luminosa);
– l’elettronica (attrezzature elettriche ed elettroniche d’ufficio e relativi materiali di consumo, apparati di telecomunicazione);
– i prodotti tessili e calzature; cancelleria (carta e materiali di consumo);
– la ristorazione (servizio mensa e forniture alimenti);
– i servizi di gestione degli edifici (servizi di pulizia e materiali per l’igiene);
– i trasporti (mezzi e servizi di trasporto, sistemi di mobilità sostenibile).

E i volontari del Gpp
Ci sono 53 Comuni, 21 Province, 7 Regioni, 8 Aziende regionali per la protezione ambientale. In tutto, 167 realtà aderiscono volontariamente al gruppo di lavoro sugli “acquisti verdi” delle Agende 21 locali italiane (www.compraverde.it/ gruppolavoro/inizio.html), coordinato dalla Provincia di Cremona. Nato per diffondere le buone pratiche delle iniziative volontarie sul Green Public Procurement e per definire un metodo per l’introduzione dei criteri ecologici e sociali da parte delle pubbliche amministrazioni, ha prodotto un “Libro aperto”, scaricabile dal sito www.compra verde.it/fatto/libroaperto.html, costruito attorno ad 85 domande e risposte relative ai temi principali del Gpp (principi, obiettivi, normativa, prodotti, politiche, marchi ecologici, sistemi di incentivazione, esperienze) con l’obiettivo di far emergere i dubbi e gli ostacoli e di segnalare le tecniche, le buone pratiche, le possibili soluzioni utili a quanti vogliano intraprendere la strada degli “acquisti verdi”. Sullo stesso sito c’è anche un database di bandi “verdi” prodotti dagli “sperimentatori” del Green Public Procurement: www.compraverde.it/come/bandi.html

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