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Ambiente

Acqua, ricetta pugliese

Entro fine anno il consiglio regionale dovrebbe approvare un disegno di legge che “ripubblicizza” la rete idrica. E che potrebbe creare un precedente Il futuro dell’acqua non si gioca a Roma ma in Puglia. A Bari ha sede l’Acquedotto pugliese,…

Tratto da Altreconomia 122 — Dicembre 2010

Entro fine anno il consiglio regionale dovrebbe approvare un disegno di legge che “ripubblicizza” la rete idrica. E che potrebbe creare un precedente

Il futuro dell’acqua non si gioca a Roma ma in Puglia. A Bari ha sede l’Acquedotto pugliese, l’Aqp, che con 21mila chilometri di rete serve 4 milioni di cittadini ed è il più grande d’Europa. A Bari si riunisce anche il consiglio regionale, che entro fine anno dovrebbe approvare un disegno di legge “rivoluzionario”, il numero 8 del 2010: l’Aqp, una società per azioni oggi controllata dalla Regione Puglia (che detiene l’87,1% delle azioni, le altre sono della Regione Basilicata) verrà trasformato in un’azienda pubblica regionale. Un soggetto di diritto pubblico, cioè, che gestirà un servizio pubblico locale di interesse generale e perciò privo di rilevanza economica. Per capire la portata della trasformazione in atto dobbiamo leggere dietro questi corsivi, che abbiamo ricopiato dall’articolo 2 del ddl pugliese: c’è scritto che la Regione Puglia non accetta la disciplina imposta dal governo italiano, che con la legge 166 del 2009 considera il servizio idrico integrato (acquedotto, depurazione e fognature) un servizio a rilevanza economica, la cui gestione dev’essere affidata tramite gara a società di capitali. Quanto accade in Puglia, però, ha una valenza doppia, perché crea un precedente e potrebbe far proseliti: entro fine anno, infatti, tutte le altre Regioni sono chiamate ad approvare nuove leggi in merito all’organizzazione del servizio idrico integrato, in virtù della legge 42/2010, quella che cancella in tutta Italia gli Ambiti territoriali ottimali (vedi Ae 120, e box a p. 17). L’“esemplare” legge pugliese stride con i provvedimenti in discussione in Lombardia -che raccontiamo nell’articolo a pagina 16-, che persegue il “disegno” dell’esecutivo, senza tener conto che sul futuro della normativa nazionale (la citata l. 166/2009, conosciuta come legge “Ronchi”) pendono ben due spade di Damocle: un giudizio della Corte Costituzionale, e un referendum popolare (vedi box).
Sono due gli ingredienti principali nella ricetta pugliese: comitati di cittadini diffusi in ogni provincia, indipendenti dai partiti politici e riuniti in un coordinamento regionale, e una giunta “sensibile”. Ad amalmagare il tutto, un management che ha saputo far propria la richiesta del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola: fare dell’Acquedotto pugliese un esempio di buona gestione “pubblica”. E Ivo Monteforte, che dal 2007 è l’amministratore unico dell’Aqp, pare sintonizzato sulla stessa frequenza: la Corte dei Conti, a fine ottobre 2010, ha espresso il proprio parere favorevole in relazione alla gestione 2008 dell’Acquedotto. E anche nel 2009 i “numeri” hanno continuato a dar ragione all’ingegnere messo da Vendola a capo dell’Aqp: l’Acquedotto ha fatturato 393 milioni di euro, con 12,6 di utile.
“Appena arrivato a Bari, nel 2007, ho avuto la sgradevole sensazione che tutti decidessero, meno che i manager. Quest’azienda era diretta dall’esterno, dalla politica, dalle imprese appaltatrici. L’Aqp -racconta Monteforte- aveva affidato all’esterno parte del core business. I miei dipendenti facevano i controllori del lavoro altrui”. Un esempio significativo riguarda la fase della depurazione, con 182 impianti distribuiti in tutta la regione: “Alla scadenza del contratto di appalto, nell’ottobre del 2008, abbiamo ‘internalizzato’. È stata una scelta traumatica, perché c’erano aziende cui da trent’anni veniva tacitamente rinnovato questo appalto, per cui pagavamo 46 milioni di euro all’anno”. La decisione ha portato, nel 2009, a risparmiare 14 milioni di euro. Secondo Margherita Ciervo, referente regionale del Comitato pugliese “Acqua bene comune” e autrice del libro Geopolitica dell’acqua (Carocci, 2010, 16 euro), “l’internalizzazione è stato il primo vero atto di politica aziendale, un serio segnale che guarda alla ripubblicizzazione”. Il Comitato lavora da quattro anni e mezzo. È organizzato su base territoriale e personale, nel senso che chi vi entra “lascia fuori” tessere di associazione, sindacato o partito. Chi aderisce, sottoscrive una carta dei principi, in 5 articoli (lo trovate sul sito di Ae). “Il Comitato crea un humus, un luogo capace di sviluppare determinate dinamiche e obiettivi” spiega Margherita. In Puglia, l’obiettivo principe è la trasformazione dell’Aqp da società per azioni in “soggetto di diritto pubblico”, per frenare la smania di privatizzare che aveva colpito gli amministratori pubblici pugliesi nei primi cinque anni del nuovo secolo. È, a dire il vero, un ritorno al passato, perché l’Aqp -costruito all’inizio del secolo scorso, dopo che nel 1902 il Parlamento aveva deciso con una legge- è stato un Ente autonomo dal 1919 al 1999, quando venne trasformato in spa. Il cammino è segnato, ma la delega non è stata firmata in bianco, né la fiducia è incondizionata: “La legge è un’idea nostra -spiega Margherita-, ma riconosciamo alla Regione il merito delle modalità con cui è stata scritta, attraverso un tavolo tecnico istituzionale e paritario, cui hanno partecipato anche esperti nominati dal Comitato. La giunta avrebbe potuto ‘recepire’ la nostra richiesta, ma assegnare a qualcuno il compito di redarre la legge. La delibera che ha dato il via alla nuova legge regionale è stata votata nell’ottobre del 2009, in piena campagna per le elezioni regionali, c’erano le primarie del centro sinistra -spiega Margherita-. Una volta eletto, Vendola ha portato in giunta il ddl, promettendo di trasformalo in legge entro cento giorni”. I cento giorni sono passati, ma a metà novembre la ripubblicizzazione non è ancora passata. Solo a metà ottobre sono iniziate le audizioni nelle Commissioni competenti, aperte ai lavoratori dell’Aqp, al sindacato, a Confindustria, alle associazione dei consumatori. “Entro fine anno il testo dovrebbe diventar legge”, spiega la Ciervo. E, siccome tutti i partiti di maggioranza hanno assicurato che non ci saranno emendamenti, diverrà legge regionale quello che il Forum italiano dei movimenti dell’acqua “sogna” in tutto il Paese: la gestione pubblica e il governo partecipato del servizio idrico integrato, secondo quanto descritto all’articolo 6 del ddl pugliese, che prevede che cittadini e lavoratori possano partecipare alla pianificazione dell’attività dell’Aqp, e l’istituzioni di meccanismi che garantiscano il controllo. “Trasparenza e controllo sociale sono elementi irrinunciabili” conclude Margherita. E spiega che, nel 2007, né i Comitati né i sindacati ebbero accesso al Piano industriale dell’Acquedotto (“il primo nella storia dell’Acquedotto” chiosa Monteforte), anche se l’Aqp era un spa a totale controllo pubblico. Monteforte, che è un tecnico che ama fare il proprio lavoro (tanto da meritarsi, nel 2010, il premio di manager dell’anno per il settore delle utilities), non si sbottona sull’esisto dell’iter legislativo. Ci tiene, però, a ricordare la promessa fatta a Nichi Vendola: “Dimostrare che un acquedotto pubblico sa essere anche efficiente”. E poi riprende a snocciolare numeri: “Gli investimenti sono decuplicati in 5 anni, da 20 a 210 milioni di euro. Siamo gli unici che continuano a spendere per riparare le perdite”. E se qualcuno si lamenta della tariffa, 1 euro e quaranta al metro cubo tra acquedotto, depurazione e fognatura (che qua raggiunge quasi tutte le case), dovrebbe ricordare che l’Aqp è l’unica azienda in Italia che paga l’acqua “grezza” (che arriva dalla Campania e dalla Basilicata), e che la “bollette energetica” arriva a 70 milioni di euro all’anno. Che spingere l’acqua nelle piane immense del Tavolierie e del Salento, fino al Gargano e a Santa Maria di Leuca, costa, e l’Enel non guarda in faccia nessuno.

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