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Altre Economie

Acqua, Reggio Emilia come Parigi

Tutti i Comuni della provincia scelgono la strada della ripubblicizzazione. A Roma i comitati studiano una nuova gestione

Tratto da Altreconomia 146 — Febbraio 2013

Reggio Emilia sarà la nostra Parigi. Le quarantaquattro amministrazioni comunali della provincia emiliana hanno fanno retromarcia sulla privatizzazione dell’acqua. Erano chiamate a decidere “che cosa farne dell’acquedotto”, una volta scaduto l’affidamento ad Iren, società multi-servizi quotata in Borsa, e hanno deciso di tornare indietro. Proprio come aveva fatto, a fine 2009, la capitale francese, dove a gennaio 2010 l’azienda speciale Eau de Paris ha preso il posto delle multinazionali Suez e Veolia.
L’atto d’indirizzo, “una proposta che guarda alle nuove generazioni: un soggetto pubblico per la gestione dell’acqua reggiana”, è stato approvato il 21 dicembre scorso dal Consiglio locale per la Provincia di Reggio Emilia dell’Atersir, l’Agenzia territoriale per i servizi idrico e rifiuti (www.atersir.emr.it). Pochi giorni prima il consiglio comunale di Reggio Emilia, il capoluogo, aveva approvato a maggioranza (con 27 voti favorevoli e 3 astenuti) un documento che chiedeva la stessa cosa, discusso però solo grazie al Comitato acqua bene comune e a un ordine del giorno d’iniziativa popolare (acquapubblicare.wordpress.com, vedi Ae 143).
Le attività del Consiglio locale dell’Atersir sono coordinate dall’assessore provinciale alla Pianificazione Mirko Tutino. Trent’anni e una tesi in diritto amministrativo avanzato sulle aziende speciali, Tutino si dice convinto che “deve essere considerata la differenza tra il risultato ‘tecnico-giuridico’ del referendum e quello politico”, com’è scritto nel documento votato dei sindaci. Ciò significa -spiega ad Ae l’assessore- “che anche se nessun atto impone la ripubblicizzazione, la volontà dei cittadini è palese”. Ma, aggiunge, “una cosa è parlare di acqua pubblica, farla non è semplice”. Per questo, a Reggio Emilia si sono dati un anno di tempo, che servirà per capire “come” riportare in capo a un soggetto pubblico la gestione del servizio idrico integrato (acquedotto, depurazione, fognatura). Un punto fermo, ad esempio, è che la società che gestirà il servizio lo farà solo sul territorio provinciale. Iren, l’attuale gestore, è presente direttamente o attraverso società partecipate anche negli ambiti territoriali di Piacenza, Parma (una parte), Genova (in partnership con il fondo F2i), Palermo e nelle città di Imperia, Ventimiglia, Savona, Asti. “Guardo alla matrice ambientale, che in questo caso è l’acqua -spiega Tutino-: tutta quella utilizzata all’interno della Provincia di Reggio Emilia viene dal nostro territorio, tra campi pozzo in pianura, sorgenti di montagna e piccole captazioni da corsi d’acqua. Questo mi permette di dire che Reggio Emilia è una sorta di entità autonoma: se ‘piombassimo’ i tubi verso l’esterno, saremmo autosufficienti”.
Esiste anche una società “che può diventare il telaio su cui costruire l’impalcatura”, racconta Tutino. Si chiama Agac Infrastrutture, ed è controllata dai Comuni della provincia reggiana (il capoluogo, Reggio Emilia, detiene il 51% delle azioni). È proprietaria delle reti realizzate a partire dagli anni Settanta, quando Agac nacque come consorzio dei Comuni per gestire i servizi di gas, acqua e igiene urbana. “La nostra è una storia di società multi-servizi. Per questo lo scorporo del settore idrico”, che è il secondo punto alla base dell’iter delineato dall’atto d’indirizzo dei sindaci, “è una novità, che dobbiamo discutere e far accettare anche ai lavoratori dell’azienda”.

L’assemblea si è data tempo dodici mesi: “L’Atersir ha definito il 2014 come termine ultimo per completare le procedure di gara per quanto riguarda le gestioni attualmente in proroga (oltre a Reggio Emilia, c’è anche Piacenza, ndr). Noi ci chiamiamo fuori da questa logica con l’affidamento a un soggetto pubblico -spiega l’assessore alla Pianificazione della Provincia di Reggio Emilia, delega che comprende Ambiente, Cultura e Paesaggio- . Altre motivazioni sono contingenti: nella primavera del 2014 si va al voto in una trentina dei Comuni, compreso Reggio Emilia; a fine 2013, scade anche una tranche quinquennale del piano degli investimenti di Iren sul territorio reggiano. A quel punto sarà possibile quantificare quelli realizzati, e definire le modalità di subentro”. Secondo Tutino, con mezzo milione di abitanti, 300mila utenze e un fatturato di circa 70 milioni di euro il nuovo soggetto potrebbe farsi carico dei piani d’ammortamento degli investimenti, e dei mutui contratti da Iren per effettuarli. “Con una tariffa adeguata -spiega Tutino- sono i cittadini, utenti del servizio a farsi carico delle rate del mutuo. Qui da noi la morosità è bassissima: se la concessione è di medio-lungo periodo, le tariffe sono definite e il piano economico e finanziario non è ‘campato per aria’, il nuovo soggetto non avrà problemi neppure a recuperare credito per continuare con le politiche d’investimenti”.
C’è un neo, però, ed è tutto politico: “Il governo e il Parlamento che usciranno dalle elezioni di fine febbraio saranno chiamati a completare, o meno, alcuni indirizzi delineati dall’esecutivo precedente. Se, ad esempio, le aziende pubbliche e le aziende speciali fossero sottoposte ai vincoli del Patto di stabilità, ciò bloccherebbe di fatto gli investimenti”. Rendendo, di fatto, impossibile in pratica una gestione pubblica che, dopo la vittoria dei “Sì” al referendum del 12 e 13 giugno 2011 è giuridicamente possibile.
I sindaci reggiani non hanno sposato le tesi del comitato promotore del referendum, ma sono molto pragmatici: fanno i conti con l’indebitamento di Iren (2,6 miliardi di euro al settembre 2012), che a fine dicembre ha portato la società a conferire a un fondo immobiliare una dozzina di edifici (tra cui la storica sede reggiana di Agac, la municipalizzata locale “diluita” in Iren) per incassare 90 milioni di euro, e con alcuni investimenti controversi, come quello per il nuovo inceneritore di Parma (quello di Reggio Emilia è stato chiuso nella primavera del 2012) e per un rigassificatore off shore a Livorno. “È impossibile rispondere ad alcune domande rispetto alla struttura dell’indebitamento di Iren -conclude Tutino-: se mi chiedi qual è il grado di rating dei singoli comparti, ad esempio, questo è un dato che non conosciamo. Abbiamo chiaro il bilancio del servizio idrico reggiano, però”. Un ottimo punto di ri-partenza.                        

Qui Roma. Il livello e la natura dell’indebitamento di Acea Ato2, la società che gestisce il servizio idrico integrato a Roma, sono una delle chiavi per leggere la proposta di ripubblicizzazione del ramo idrico di Acea, società multi-servizi quotata in Borsa e partecipata dal Comune di Roma (51%), Francesco Gaetano Caltagirone (16,36%) e Gdf-Suez (11,5%). La proposta è stata elaborata dal Coordinamento romano acqua pubblica (Crap, craproma.blogspot.it). “L’ultimo bilancio di Acea Ato2 -spiega Caterina Amicucci, del Crap e di Re:Common- evidenzia una spesa di 17 milioni di euro per oneri finanziari pagati alla holding, che ne detiene il 96,46%. Quello che accade, ogni anno, è semplice: Acea preleva tutti gli utili di Acea Ato2, in media 50 milioni di euro, e poi presta alla stessa le risorse necessarie per gli investimenti, tramite una linea di credito intercompany ma a tassi di mercato.
È un meccanismo utilizzato da molte società per estrarre profitto dagli ambiti più redditizi -continua Amicucci-: nel caso di Acea, attiva anche nell’elettricità, l’idrico rappresenta il 63% degli utili complessivi. Così facendo, a fine 2011 il credito di Acea Spa nei confronti di Acea Ato 2 Spa era pari a 480,5 milioni di euro”. “Pagando solo l’interesse -continua Marco Bersani, del Crap e di Attac- Acea Ato2 non va mai ad intaccare lo stock di debito. Che è destinato ad esplodere”. Tra il 2007 e il 2011 è già cresciuto, in media, del 22,88% all’anno.    
Secondo il Comitato romano per l’acqua pubblica, il valore patrimoniale di Acea Ato2 è 284, 3 ,milioni. Il Comune di Roma, che oggi ne detiene il 3,5%, dovrebbe investirne circa 275 per tornare a possedere la società. Perché a differenza di Reggio Emilia, dove la concessione ad Iren è scaduta, quella dell’Ato2 laziale dura fino al 2034. “Con l’aiuto di alcuni consulenti abbiamo fatto simulazioni, che tengono conto degli investimenti programmati e di un piano di rientro dal debito -riprende Caterina Amicucci-. Considerando un investimento medio di 60 milioni di euro all’anno, e un esborso di circa 36 milioni per ripagare il debito, sia gli interessi che il capitale, con un flusso di cassa di 127 milioni di euro, quello del 2011, la ‘nuova’ Acea Ato2 sarebbe in grado di ripagare anche gli interessi di un mutuo aperto per acquistare le proprie azioni dalle holding”.
Perché tutto questo passi dalla carta serve -come a Reggio Emilia- volontà politica. “Lavoriamo con questo obiettivo dal referendum. Prima dell’estate 2012 siamo stati costretti a una battaglia di retroguardia, quando il sindaco di Roma Gianni Alemanno tentava di vendere un ulteriore 21% delle azioni Acea -continua Amicucci-. Portata a casa questa vittoria, anche grazie a un’opposizione reale in Campidoglio, l’abbiamo ripreso. Ci sono alcuni punti ‘sensibili’, come quello legato ai lavoratori Acea: con i sindacati, ad esempio, è aperto un dialogo sulla proposta”.
Il documento elaborato dal Crap verrà sottoposto ai candidati alla carica di sindaco di Roma, ma allo stesso tempo “costruiremo una mobilitazione -spiega Bersani-, intorno a una delibera d’iniziativa popolare, come fatto a Reggio Emilia, che contenga un chiaro atto d’indirizzo: auspichiamo una radicale modifica del quadro normativo, ma ciò che ci preme sottolineare è che, anche nella situazione attuale, considerando l’indebitamento del Comune, il Patto di stabilità e la legislazione nazionale, la ripubblicizzazione è possibile”.

Qui Reggio Calabria. Anche in Calabria, dove è iniziata a fine gennaio la raccolta delle firme in calce a una proposta di legge regionale d’iniziativa popolare con l’obiettivo di creare Acqua bene comune Calabria, società di diritto pubblico cui affidare la gestione degli acquedotti e dei sistemi di approvvigionamento idrico in Regione. “Sei mesi di campagna, con l’obiettivo di raccogliere cinquemila firme” spiegano dal Coordinamento calabrese acqua pubblica “Bruno Arcuri” (www.abccalabria.org). Il nuovo soggetto dovrà prendere il posto di Sorical, la società partecipata da Regione Calabria e Veolia (vedi Ae 127) oggi in liquidazione. “Anche la Giunta regionale, il 10 dicembre scorso, ha presentato una proposta di legge in merito alle risorse idriche. Siamo in attesa dalla convocazione in commissione -raccontano gli attivisti del Coordinamento- che ancora non c’è stata. Nei piani di Regione Calabria, tuttavia, sarà ancora possibile costituire società miste pubblico-privato. Resterebbe tutto come prima, anche ciò che denunciamo da anni -convenzioni forzose e tariffe illegittime applicate ai Comuni, la mancanza di un adeguato controllo pubblico, gli investimenti non realizzati- e che è stato ammesso durante il dibattito in consiglio regionale”. —

L’acqua in prestito
La gestione pubblica del servizio idrico integrato è possibile, ma perché sia “completa” è necessario rivedere il sistema tariffario e le modalità di finanziamento delle società, liberando gli investimenti dal “nodo scorsoio” del credito bancario. Lo ha sancito il secondo quesito del referendum del giugno 2011, cui avrebbe dovuto far seguito l’abolizione della voce “remunerazione del capitale investito” dalle bollette (leggi l’articolo a p. 15). A come  realizzare questo principio sta lavorando il Comitato acqua bene comune di Vicenza, che ha studiato la fattibilità di un “prestito obbligazionario diffuso”, applicandolo a due società a totale capitale pubblico presenti sul territorio, Alto vicentino servizi (Avs) e Acque vicentine. Secondo il Regolamento 11971 della Consob, le società per azioni -ma anche le aziende speciali- possono emettere e distribuire al pubblico prodotti finanziari per un valore inferiore ai 5 milioni di euro all’anno senza dover ricorrere a un intermediario, sempre che il valore delle obbligazioni “non [sia] eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili”. Secondo l’analisi del Comitato, le obbligazioni possono essere “collocate” presso la sede della società e presso i municipi dei Comuni soci, che possono essere considerate “dipendenze” della spa o dell’azienda speciale. Attraverso l’assemblea degli obbligazionisti, poi, i cittadini che dovessero sottoscrivere il prestito potrebbero partecipare alla governance e alle scelte della società.         

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