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Acqua pubblica: la proposta di legge avanza, i sindacati annunciano lo sciopero

Prosegue in Parlamento l’iter del testo che riconosce l’acqua come “bene comune” e premia la gestione pubblica tramite l’azienda speciale. Per il Forum italiano dei movimenti per l’acqua si tratta di una “radicale inversione di tendenza” rispetto al settore dominato dalle multiutility, in linea all’esito del referendum del 2011. Ma CGIL, CISL e UIL si oppongono

© Imani

Le segreterie nazionali di FILCTEM-CGIL, FEMCA-CISL, FLAEI-CISL e UILTEC UIL, hanno proclamato per lunedì 17 dicembre lo sciopero generale dei lavoratori della categoria gas acqua elettrico, dicendosi “preoccupate per il futuro di 70mila posti di lavoro”. Tre le norme incriminate, spiega FILCTEM-CGIL, ci sarebbero “l’articolo 177 del codice degli appalti, la riforma del servizio idrico integrato in discussione che prende il nome della onorevole Federica Daga e l’esclusione della geotermia convenzionale dalle fonti di energia rinnovabili”.

La contestata proposta di legge sul servizio idrico, a prima firma Daga, è stata presentata il 23 marzo 2018 e riguarda proprio le “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque”. Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, che la appoggia fortemente, la definisce più sinteticamente la “legge sull’acqua pubblica”.

Il motivo è semplice: la bozza di provvedimento che oggi è in corso di esame in commissione Ambiente della Camera nasce dalla legge di iniziativa popolare presentata nel 2007 proprio dal Forum e sostenuta da 400mila cittadini. Riconosce l’acqua quale “bene naturale e diritto umano universale e fondamentale” nonché “bene comune” (Art. 2), vieta di “sottoscrivere accordi di liberalizzazione che non garantiscano la piena realizzazione del diritto umano all’acqua e la tutela della risorsa idrica” (Art. 3), e afferma con nettezza come la gestione del servizio idrico integrato debba essere “realizzata senza finalità lucrative, mediante modelli di gestione pubblica”, perseguire “finalità istituzionali e di carattere sociale e ambientale, garantendo un elevato livello di qualità, efficienza ed economicità del servizio, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale degli utenti” (Art. 9).

Non solo. Gestione ed erogazione “non possono essere separate e possono essere affidate esclusivamente a enti di diritto pubblico”, mentre quelle “forme di gestione del servizio idrico integrato affidate a società a capitale misto pubblico e privato esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge […] sono trasformate […] in aziende speciali o in società a capitale interamente pubblico partecipate dagli enti locali il cui territorio rientri nel bacino idrografico di riferimento” (Art. 10). Inoltre, quale sistema di finanziamento della gestione sono individuati “meccanismi di fiscalità generale e specifica nonché meccanismi tariffari finalizzati alla copertura dei costi e al miglioramento dell’efficienza, dell’economicità e della qualità del servizio” (Art. 9).

Secondo Paolo Carsetti del Forum per l’acqua, la proposta di legge rappresenta una “radicale inversione di tendenza”. “Si tratta dello strumento più adatto per realizzare una gestione del servizio idrico integrato interamente pubblica, partecipativa, ambientalmente sostenibile, con tariffe eque per tutti i cittadini, che garantisca davvero i diritti dei lavoratori e gli investimenti sulle infrastrutture, fuori da qualsiasi logica di profitto”.

Le categorie sindacali indicano però nella proposta legge un “ritorno al passato” e paventano un “blocco agli investimenti di circa 2,5 miliardi di euro oltre alla perdita del contributo PIL”.
PC La cosa grave dal nostro punto di vista è che queste denunce si riferiscono a improbabili scenari futuri che invece rappresentano già oggi la realtà concreta dell’attuale modello privatistico. Penso all’incontestabile innalzamento delle tariffe, alla diminuzione degli investimenti, alla razionalizzazione degli organici, alle procedure di infrazione mosse dall’Unione europea contro l’Italia. Fa specie che le categorie sindacali utilizzino nelle loro lettere gli stessi argomenti -in particolare sugli investimenti- impiegati anche dai soggetti gestori, che per quelle categorie dovrebbero invece rappresentare la controparte.

Qual è oggi il modello di gestione che contestate?
PC È quello dominato dalle grandi aziende multiservizio o multiutility quotate in Borsa, le “quattro grandi sorelle” HERA, IREN, A2A e ACEA, che come missione non hanno quella di produrre servizi pubblici fondamentali ma semmai “creare valore per gli azionisti”, e cioè di distribuire consistenti dividendi. Infatti, dal 2010 al 2016 queste hanno prodotto utili rilevanti e ne hanno distribuiti la grandissima parte: in termini complessivi, IREN, A2A, HERA e ACEA hanno realizzato utili per 3,2 miliardi di euro e hanno distribuito dividendi per 2,9 miliardi ai soci pubblici e privati, pari al 91% degli utili.

Com’è andata invece sul fronte degli investimenti?
PC Andiamo per gradi. Il margine operativo lordo, la cosiddetta “ricchezza” prodotta, è in forte crescita, soprattutto in questi ultimi anni, dal 2014 ad oggi, non a caso da quando, a partire dal servizio idrico, si è arrivati alla nuova regolazione tariffaria di ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, già AEEG e AEEGSI) che, in spregio ai risultati referendari, garantisce certezza e incremento di profitti. In termini percentuali, il margine operativo lordo, sempre cumulando i dati delle quattro grandi multiutility, passa dal 17,4% rispetto al totale dei ricavi nel 2010 al 24,6% nel 2016. E questa crescita va in primo luogo ad alimentare i profitti, visto che l’incidenza degli investimenti realizzati rispetto al margine operativo lordo cala progressivamente sempre più, passando dal 58,6% nel 2010 al 40,2% nel 2016. Ecco perché l’attuale assetto di gestione non è assolutamente in linea con l’esito referendario del 2011 in quanto le aziende, a parte poche eccezioni, sono società di capitali che sottostanno alle regole del mercato e alla logica del profitto.

Le sigle sindacali lamentano “il ritorno alla costituzione di aziende speciali o enti di diritto pubblico” e concludono che così 70.000 addetti del settore sarebbero a “rischio”, anche a causa della bozza Daga. È così?
PC Una cosa è vera: quando si privatizza i processi sono più che oleati, mentre nelle trasformazioni di ripubblicizzazione la normativa complica l’eventuale passaggio dei lavoratori dalla forma societaria privata all’azienda speciale, che è il modello che proponiamo tramite questo disegno di legge. Riconosciuto che esiste un quadro normativo e giurisprudenziale che rende difficile il passaggio, ci sono dei precedenti in Italia che indicano la fattibilità della ripubblicizzazione. Penso al processo di re-internalizzazione della gestione del servizio dei rifiuti di Forlì, in uscita dalla multiutility HERA, avvenuto senza alcuna complicazione. O all’unico precedente dell’acqua, che è quello di Napoli, che ha visto un passaggio dei lavoratori senza la necessità di fare concorso pubblico dalla “Arin Spa” ad “Abc Napoli”.

Quali sono i punti di forza del modello dell’azienda speciale (consortile, nel caso di gestione associata di Comuni)?
PC L’azienda speciale è un ente di diritto pubblico che non sottostà alla logica di profitto, che invece ha governato il servizio idrico negli ultimi vent’anni. È il primo punto forte di rispetto dell’esito referendario del giugno 2011. È un modello di gestione che può prevedere la partecipazione nella gestione e nel controllo da parte delle comunità di lavoratori e utenti, cosa che non è affatto possibile in una qualsiasi forma di società di capitali, seppur a totale capitale pubblico. E per noi in questo c’è il valore aggiunto rispetto alla definizione dell’acqua come bene comune. Siamo coscienti del fatto che vadano definiti gli strumenti di partecipazione, in assenza di precedenti solidi nel nostro continente, ma attraverso l’azienda speciale intendiamo proprio costruire un nuovo modello di gestione pubblico e partecipato. Non è quindi un ritorno alle municipalizzate.

Come vi spiegate questa chiusura nei confronti della proposta di legge?
PC Abbiamo il sentore che questa potrebbe essere l’occasione buona. È la terza volta che inizia l’iter parlamentare di questo testo di legge, seppur aggiornato nel tempo, con l’impianto del 2007, ovvero della legge di iniziativa popolare. Vorremmo interloquire con le parti di questo compatto schieramento sceso in campo contro la legge, in particolare con la CGIL confederale, visto che quel sindacato ha sostenuto con convinzione il referendum e tutta la campagna e si è spinto anche a dire che ci sarebbe dovuto essere un testo unico sull’acqua che recepisse l’esito del giugno 2011. È nostra intenzione quindi riavviare il dialogo con le organizzazioni, confederali e di base, per ricostruire quella “coalizione sociale” che era attiva durante il referendum e che ci sembra necessaria oggi, che è un passaggio cruciale per far andare in porto il disegno di legge.

Quando verrà audito il Forum?
PC Seppur non definito in calendario, il nostro momento dovrebbe arrivare alla ripresa dei lavori dopo la pausa natalizia. La fase di ascolto dovrebbe poi concludersi e passare alla fase emendativa. Oggi il testo è a prima firma dell’onorevole Federica Daga e altri parlamentari del Movimento 5 stelle. Non pervenuta invece la posizione della Lega, se non con generici richiami al contratto di governo o incerte rassicurazioni sulla “salvaguardia delle eccellenze oggi presenti nel nostro Paese”. Se come eccellenze si intendono i grandi soggetti multiutility quotati in Borsa, la cosa sarebbe molto preoccupante. Se invece si intendono tutelare altri tipi di gestione che si sono dimostrati efficienti, efficaci, attenti all’ambiente ed economici allora sarebbe interessante. Però a oggi non c’è una posizione ed è un vuoto che deve essere colmato perché altrimenti non siamo certi che al momento del voto questo testo riesca ad essere approvato.

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