Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Economia / Approfondimento

Acea si espande nell’acqua. Il Comune di Roma che dice?

La più grande multiservizi italiana fa shopping in Lazio, in Umbria e in Toscana, e ormai gestisce gli acquedotti di oltre 9 milioni di cittadini italiani. La giunta Raggi osserva in silenzio, anche se il Campidoglio detiene il 51% della utility quotata in Borsa

La sede di Acea, in piazza Ostiense a Roma. Il Campidoglio controlla il 51% della società quotata in Borsa

Se l’Italia fosse un puzzle, a fine novembre Acea -la più grande società multi servizi del Paese- avrebbe attaccato quasi tutte le tessere mancanti a completare i “quadri” della Toscana, del Lazio e dell’Umbria. L’azienda romana -che è quotata in Borsa, e vede come primi azionisti il Comune di Roma, la francese Gdf-Suez e l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone-, che è leader nella gestione degli acquedotti, e già serve circa 9 milioni di cittadini, il 22 novembre scorso ha annunciato tre operazioni di acquisizione.
Dai francesi di Veolia, Acea ha comprato il  100% di Idrolatina, ovvero del “socio privato” di 35 Comuni laziali della provincia di Latina, una società che detiene il 49% di Acqualatina. Il bacino d’utenza è di circa 270mila utenti; dalla stessa Veolia, Acea ha acquisito il 19,2% di Geal, che è il gestore del servizio idrico integrato nel Comune di Lucca, in Toscana: l’azienda romana deteneva già una partecipazione indiretta in Geal del 28,8%, attraverso la controllata Crea, e con questa operazione raggiunge il 48% in una società che conta 40mila utenti. Sono 230mila, invece, gli abitanti serviti dalla società che gestisce il servizio idrico integrato nell’Ambito territoriale integrato Umbria 4, che abbraccia il territorio di Terni: qui, Acea è diventato azionista al 98% di Umbriadue Servizi Idrici, che è il “socio privato” della società Servizio idrico integrato, di cui controlla un quarto delle azioni.

Nelle tre operazioni Acea ha investito circa 25 milioni di euro, che portano in dote all’azienda romana oltre mezzo milione di nuovi abitanti serviti: questi si vanno ad aggiungere ai circa 9 milioni di clienti che già dipendono dalla multi servizi romana, i cui conti -come spiegano i bilanci- corrono sull’acqua: nei primi nove mesi del 2016 il servizio idrico integrato ha garantito alla multiutility romana, che è attiva anche nei settore della produzione e vendita di energia elettrica (in flessione) e nell’incenerimento di rifiuti, un significativo +47,1% negli utili rispetto al 2015, a oltre 200 milioni di euro, nonostante un fatturato in calo a 2,047 miliardi di euro (-5,5%).

Questi dati trovano conferma nel business plan 2016-2020 del gruppo, che è stato presentato a metà novembre: il margine operativo lordo generato dal comparto idrico dovrebbe passare nei prossimi anni da 311 a 380 milioni di euro. In un mercato regolato, in cui la tariffa è decisa da un soggetto terzo, per aumentare i margini è fondamentale allargare la platea dei clienti dell’azienda, e far crescere il volume di acqua fatturata, che da gennaio a settembre del 2016 è stato pari a 309 milioni di metri cubi d’acqua.

Per garantire la propria espansione, in questo momento Acea sta utilizzando una strategia che passa per le acquisizioni: nei primi anni Duemila, invece, la società romana ha tessuto la propria rete nazionale partecipando alle gare con cui i Comuni mettevano sul mercato una quota del capitale delle proprie società di gestione del servizio idrico integrato; è così che Acea è arrivata a Firenze, a Pisa, a Pistoia, a Siena, a Grosseto, ad Arezzo, a Frosinone e nell’area sarnese-vesuviana; oggi, dopo che il referendum del 2011 ha evidenziato la ferma contrarietà dei cittadini italiani alle gare per affidare a soggetti privati il controllo di acquedotti, fognature e sistemi di depurazione, l’espansione avviene acquisendo quote azionarie da soggetti privati già presenti nel capitale sociale dei gestori (in Toscana, invece, l’azienda lavora alla costruzione di fusioni tra le società partecipate).

Il paradosso di quanto accaduto negli ultimi mesi è il rumoroso silenzio dell’azionista di maggioranza di Acea, che è il Comune di Roma, che detiene il 51% delle azioni e da giugno 2016 è amministrato da una giunta monocolore del Movimento 5 Stelle.
Un silenzio che ha di fatto trasformato in “stella cadente” l’acqua pubblica, una delle cinque del firmamento del movimento guidato da Beppe Grillo. È stato il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, tra i promotori del referendum “2 sì per l’acqua bene comune” del 2011, a sollevate il problema, inviando il 13 dicembre 5 domande alla sindaca Virginia Raggi, e lanciando la campagna “Il #coRAGGIo di cambiare?”. Alla prima cittadina della capitale, azionista di controllo, i movimenti per l’acqua pubblica contestano di non aver rimosso l’attuale management di Acea, e chiede “quando intende farlo?”.
Il Forum ha costruito, nel corso degli ultimi mesi, una vertenza Acea, e un coordinamento tra tutte le realtà territoriali -Rete Civica ATO 3 Campania, Coordinamento Provinciale Acqua Pubblica Frosinone, Coordinamento Romano Acqua Pubblica, Rete per la Tutela della Valle del Sacco-RETUVASA, USB Publiacqua, Decide Roma, Coordinamento Regionale Acqua Pubblica Lazio- che da Nord a Sud vivono ed operano in aree in cui il servizio idrico integrato è gestito da Acea. A Raggi chiedono anche “perché nelle more della nomina dei nuovi vertici non ha convocato l’assemblea dei soci ACEA per adottare delibere di indirizzo stringente nei confronti dell’attuale management al fine di impedire le ulteriori acquisizioni appena annunciate?”.

Quando a metà dicembre una delegazione del Forum italiano dei movimenti per l’acqua ha incontrato l’assessore alle partecipate del Comune di Roma, l’imprenditore veneto Massimo Colomban, questi avrebbe confermato la tesi che la stella dell’acqua pubblica sia davvero in picchiata per la giunta capitolina: secondo Colomban, l’obiettivo del suo mandato sarebbe l’efficientamento e la razionalizzazione delle aziende partecipate, e che questo comprende anche il potenziale intervento di partner privati. Una posizione non condivisa dai consiglieri comunali del Movimento 5 stelle, presenti all’incontro: la giunta non pare intenzionata, però, a mettere in discussione la strategia di sviluppo di Acea, né il suo ruolo al di fuori del territorio delle Capitale; come ogni ente locale, alle prese con equilibri di bilancio instabili, pesano senz’altro nella valutazione i dividendi che la multiutility garantisce al Campidoglio, anche se in questo caso ad alcuni potrebbero sembrare spiccioli: appena 54 milioni di euro nel 2016, su un bilancio che per le sole entrate e spese correnti vale 5 miliardi di euro.

Durante l’incontro con i rappresenti dell’amministrazione, il Forum ha rinnovato l’invito a cambiare i vertici aziendali. In particolare, l’amministratore delegato di Acea spa Alberto Irace, un manager campano cinquantenne. Dopo il diploma all’Istituto Tecnico Industriale Guglielmo Marconi di Castellammare di Stabia, è diventato a 25 anni assessore nel Comune stabiese, occupando la carica di vicesindaco tra il 1995 e il 1997.
A quel punto, a 31 anni (nel 1998) è stato indicato come presidente dell’Ente d’Ambito Sarnese Vesuviano, consorzio obbligatorio tra 76 Comuni della province di Napoli e Salerno. Irace l’ha guidato fino al 2007, ed è durante il suo mandato che l’Acea è diventata socia dell’Ente d’Ambito nella gestione del servizio idrico sul territorio. A marzo 2007, Irace dalla Campania è andato a Roma, dov’è entrato nello Staff dell’allora Amministratore Delegato di Acea, Marco Staderini: dagli uffici di piazzale Ostiense si è mosso quindi verso la Toscana, sempre all’interno di società partecipate da Acea: è stato dal 2009 Amministratore Delegato di Publiacqua spa (Firenze), dal 2010 Consigliere di amministrazione di Acquedotto del Fiora spa (Siena e Grosseto) e dal 2011 Consigliere di amministrazione di Acque spa (Pisa) e Consigliere di amministrazione di Intesa Aretina scarl. Quando nel 2014 torna a Roma è per andare ad occupare la poltrona più importante, quella di amministratore delegato.

Proprio in Campania, regione di origine di Irace, oggi Acea gioca un’altra partita, che è poi la più importante, e passa per il controllo della risorsa. Il terreno di gioco è “periferico”, ovvero quello delle province di Benevento e di Avellino, il cui ambito territoriale è stato riunificato dalla Regione Campania con una riforma della legge regionale sul servizio idrico del 2015. A Benevento, Acea controlla il 59% delle azioni del gestore Gesesa, mentre ad Avellino l’acquedotto fa ancora capo ad un soggetto interamente pubblico: l’obiettivo della prima è espandersi verso le montagne dell’Irpinia, dove c’è l’acqua. Oggi le sorgenti presenti tra Caposele e Cassano Irpino alimentano la rete acquedottistica dell’Acquedotto pugliese (AQP), attraversando l’Appennino. In un futuro, potrebbero servire alla Campania, e in particolare all’area vesuviana, una delle più densamente abitate del Paese. Il percorso di avvicinamento è iniziato nel marzo del 2015, quando AQP e Gori spa -la partecipata di Acea attiva nel sarnese-vesuviano- hanno firmato un protocollo d’intesa e avviato una formale collaborazione.

L’acqua è anche la ragione fondamentale dell’espansione a Lucca, dove Acea è arrivata al 48% di Geal benché sia palese -è scritto infatti nello statuto della società- che il Comune non possa scendere sotto il 51% delle azioni e quindi la multiservizi romana non avrà mai la maggioranza. La città toscana, ai piedi delle Alpi Apuane, è però strategica: è ricca d’acqua di qualità, in un’area -quella del bacino dell’Arno, già “colonizzata” da Acea- che invece ne scarseggia.

Il collante di tutte le operazioni descritte fin qui è il “piano Acea 2.0”, ovvero la progressiva dotazione di un unico software che serva per tutte le attività operative (controlli, gestione degli operatori) e commerciali (contatto con le utenze). Un investimento da 25 milioni di euro, che dovrebbe portare tutti le società di gestione del servizio idrico controllate o partecipate da Acea a dotarsi di uno strumento uniforme. I lavoratori fiorentini di Publiacqua sottolineano invece come non ci sia “nessuna certezza sulla tenuta dei livelli occupazionali”, per i possibili trasferimenti di singoli reparti o funzioni alla capogruppo. Non si tratta solo di razionalizzare: le società partecipate non sono “fuse” in Acea, e alla fine delle concessioni in essere i Comuni di ogni singolo ambito territoriale potrebbe scegliere di affidare a soggetti diversi la gestione del servizio. Nella piana fiorentina questo accadrà nel 2021. Che cosa accadrebbe se non ci fosse più personale in grado di espletare determinate funzioni?

Dieci giorni fa, l’Assemblea dei Sindaci dell’ATO 5 Lazio Meridionale, quello della provincia di Frosinone, ha dato ad Acea l’unico dispiacere di questo quarto trimestre del 2016. I sindaci hanno votato a maggioranza la risoluzione del contratto con il quale avevano indicato ACEA ATO 5 S.p.A., una società controllata al 97% da ACEA S.p.A., come gestore del servizio idrico integrato. In una nota, Acea -che aveva diffidato i sindaci dal votare in direzione della rescissione del contratto- annunciato che “provvederà a tutelare le proprie ragioni in ogni competente sede”.

Sono passati 23 anni dall’approvazione della legge Galli di riforma del servizio idrico integrato. Nel 1994, il legislatore aveva visto l’esigenze di ridurre la frammentazione nelle gestioni del servizio idrico, suddividendo il Paese in ambiti territoriali ottimali ed omogenei, e immaginando di poter individuare un unico gestore per ogni ambito. Una realtà ben diversa da quella “disegnata” dalle operazioni di Acea, che a questo punto controlla il servizio idrico integrato nella quasi totalità delle province di ben 4 regioni italiane. E che in alcuni casi, come quello della controllata Acea Ato 2, attiva anche nel Comune di Roma, utilizza le aziende che fanno parte della propria holding come “bancomat”. Tra il 2010 e il 2013, la capogruppo ha distribuito ai soci (Acea spa al 96,46%, il Comune di Roma per il 3,54%)  238,98 milioni di euro, pari a oltre il 90% degli utili, ma negli stessi anni si è indebitata a titolo oneroso nei confronti della propria controllante per 241,94 milioni di euro.
Distribuendo gli utili, infatti, Acea Ato 2 perde la liquidità necessaria a sostenere le spese di gestione e gli investimenti. Gli interessi passivi che la società paga ad Acea spa, tanto, finiscono in tariffa, e a pagarli sono i cittadini.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.