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Il futuro dell’acqua del Tevere e i dividendi milionari di Acea

Il 29 maggio, mentre la più importante multiutility del Paese deliberava la remunerazione degli azionisti per 165 milioni di euro, gli attivisti di Fridays for Future e del Coordinamento Romano Acqua Pubblica manifestavano contro i “profitti sull’acqua” e per chiedere l’avvio di un grande piano di ristrutturazione della rete idrica. Sullo sfondo la contestata costruzione di impianti di potabilizzazione del grande fiume

La manifestazione del Coordinamento Romano Acqua Pubblica e di Fridays For Future Roma durante l'assemblea degli azionisti di Acea del 29 maggio - Coordinamento Romano Acqua Pubblica

“Stop al virus dei profitti sull’acqua” si legge su uno degli striscioni srotolati la mattina di venerdì 29 maggio dagli attivisti e le attiviste di Fridays for Future e del Coordinamento Romano Acqua Pubblica. Le due realtà hanno organizzato un flashmob davanti alla sede di Acea, la multiservizi che gestisce la rete idrica della capitale, in occasione dell’assemblea degli azionisti. Assemblea che quest’anno, per l’emergenza Covid-19, si è tenuta a porte chiuse, escludendo il Coordinamento che insieme a Fondazione Finanza Etica da quattro anni partecipa all’assemblea proprio per ribadire l’urgenza di una gestione più trasparente della risorsa. Gli attivisti si sono riuniti, con le dovute protezioni e distanze, per protestare contro le politiche dell’azienda che continuerebbe a fare “profitti sull’acqua” e distribuire dividendi tra gli azionisti anche in un momento di profonda crisi economica come quello attuale.

Acea, la multinazionale che rifornisce di acqua Roma e numerose altre zone del Centro Italia, è il più grande operatore italiano nel settore ed è tra le quattro “sorelle” protagoniste del processo di “finanziarizzazione” dell’acqua. Il socio di maggioranza di Acea è il Comune di Roma con il 51 per cento delle azioni, seguito dalla multinazionale francese Suez con il 23,3 per cento e l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone con il 5 per cento. Quest’anno i dividendi ammontano a circa 165 milioni di euro, il 10 percento in più rispetto all’anno scorso e saranno suddivisi tra gli azionisti nonostante una raccomandazione della Bce che invitava le aziende a sospenderne la distribuzione fino al prossimo ottobre.

“Un dato che fa rabbrividire se contestualizzato con l’attuale situazione di estrema difficoltà economica e sociale che vivono milioni di persone –spiegano dal Coordinamento Romano Acqua Pubblica- e fa rabbrividire anche perché è la stessa Acea ad affermare che le perdite globali della rete idrica del Lazio centrale sono pari al 44 per cento, ossia di 100 litri immessi in rete 44 si perdono. È scandaloso che la soluzione individuata dall’azienda per far fronte ad un’eventuale nuova emergenza idrica sia la costruzione di impianti di potabilizzazione del Tevere”. Invece di avviare un massiccio piano di ristrutturazione della rete idrica responsabile degli sprechi, l’azienda ha preferito investire in un controverso progetto di potabilizzazione del fiume.

Il primo impianto, quello di Grottarossa, ultimato a fine del 2018 per un costo di 10 milioni di euro, distribuirà acqua “potabilizzata” del Tevere a 350.000 cittadini romani. Un secondo impianto è in fase di progettazione ma, a domande precise del Coordinamento, Acea ha risposto in maniera evasiva sia sulla portata sia sui costi. Secondo indiscrezioni, potrebbe avere una portata di 2.500 litri al secondo, ossia cinque volte maggiore di quello di Grottarossa, e quindi con un’utenza potenziale di 1,75 milioni di persone. “In questo modo Acea potrebbe garantirsi la distribuzione di acqua ad oltre 2 milioni di romani con un investimento ridottissimo rispetto a quello che dovrebbe fare per riparare le perdite. D’altronde l’obiettivo di questo sistema di gestione è la massimizzazione del profitto e non la garanzia di un servizio essenziale alla vita”.

La decisione di investire sul Tevere invece di migliorare la rete esistente prende le mosse dalla crisi idrica del 2017 e per la quale i vertici di Acea sono stati accusati di disastro ambientale aggravato e di recente rinviati a giudizio dal Tribunale di Civitavecchia in relazione all’abbassamento dei livelli del lago di Bracciano, tre anni fa.

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