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Diritti / Attualità

Accordo Italia-Libia: quattro anni di abusi e violazioni dei diritti umani

© Oxfam

Dal 2017 l’Italia ha speso 785 milioni di euro per il “patto” contro i migranti che ha determinato il respingimento di 50mila persone in Libia, in condizioni degradanti. L’appello al governo di Emergency, Medici Senza Frontiere, Oxfam, Mediterranea e Sea-Watch per chiedere la revoca del Memorandum e l’apertura di una commissione di inchiesta

Dal febbraio 2017 l’Italia ha speso 785 milioni di euro per sostenere l’accordo con la Libia e fermare i migranti: le morti in mare non sono state fermate e il “patto” ha consentito il respingimento in Libia di 50mila persone, di cui 12mila solo nel 2020. A quattro anni dalla firma dell’accordo tra Roma e Tripoli, il bilancio dei suoi effetti è desolante e mostra il fallimento dalla politica italiana ed europea “che continua a stanziare fondi pubblici con il solo obiettivo di bloccare gli arrivi a scapito della tutela dei diritti umani e delle continue morti in mare”. In occasione del quarto anniversario del Memorandum di intesa, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), Emergency, Medici Senza Frontiere, Oxfam, Mediterranea e Sea-Watch hanno lanciato un appello urgente al Parlamento per chiedere la revoca immediata dell’accordo bilaterale e il ripristino delle attività istituzionali di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Nel giugno 2020 il ministro degli Esteri uscente Luigi Di Maio aveva annunciato una revisione del patto, ma non sono state più fornite informazioni sugli esiti finali del negoziato, né sono stati resi noti i dettagli della riunione del 2 luglio 2020 del Comitato interministeriale italo-libico.

Come detto, dal 2017 l’Italia ha speso 785 milioni euro per bloccare i flussi migratori in Libia in “totale continuità con l’approccio europeo di esternalizzazione del controllo delle frontiere”, ricordano le organizzazioni. “Una buona parte di quei soldi, più di 210 milioni di euro, sono stati spesi direttamente nel Paese”, hanno contribuito a “destabilizzarlo ulteriormente” e “hanno spinto i trafficanti di persone a convertire il business del contrabbando e della tratta di esseri umani in industria della detenzione. La Libia non può essere considerata un luogo sicuro dove portare le persone intercettate in mare, bensì un Paese in cui violenza e brutalità rappresentano la quotidianità per migliaia di migranti e rifugiati”. Come riconosciuto da istituzioni internazionali ed europee, comprese le Nazioni Unite, nel Paese nordafricano non sono garantiti i diritti fondamentali: migranti e rifugiati sono esposti al rischio di sfruttamento, tortura e trattamenti disumani e degradanti.
Nonostante le documentate e gravi violazioni dei diritti umani, negli ultimi quattro anni la cosiddetta guardia costiera libica, con il contributo italiano ed europeo, ha intercettato e riportato forzatamente nel Paese almeno 50mila persone. Sono state 12mila solo nel 2020. Molte sono state chiuse nei centri di detenzione ufficiali, dove sono esposte al rischio di torture e maltrattamenti, mentre non sono noti i numeri di chi è stato portato in altri luoghi clandestini di prigionia il cui accesso è vietato alle Nazioni Unite e alle agenzie umanitarie. Amnesty International ha documentato in un rapporto pubblicato nell’ottobre 2020 che alcune persone intercettate in mare sono state detenute nel centro semi-clandestino della fabbrica del tabacco di Tripoli e sono scomparse.

Negli ultimi quattro anni, l’Italia ha speso 540 milioni di euro per finanziare le missioni navali nel Mediterraneo. Nello stesso periodo, secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), quasi 6.500 persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo centrale “mentre tutti i governi italiani che si sono succeduti hanno ostacolato l’attività delle navi umanitarie, senza fornire alternative alla loro presenza in mare”. Anche le recenti modifiche della normativa in materia di immigrazione, scrivono le organizzazioni, “non hanno di fatto eliminato il principio di criminalizzazione dei soccorsi in mare che era stato introdotto dal secondo ‘Decreto Sicurezza’”. Lo scorso anno, nel quale secondo l’Oim hanno perso la vita 780 persone, l’Italia ha bloccato sei navi umanitarie “lasciando il Mediterraneo privo di ricerca e soccorso e ignorando le segnalazioni di imbarcazioni in pericolo”.

Le sei organizzazioni firmatarie dell’appello chiedono l’apertura di un commissione di inchiesta che indaghi sull’impatto delle risorse spese in Libia e sui naufragi nel Mediterraneo. Chiedono anche di istituire una missione navale europea con il compito di ricerca e salvataggio delle persone in mare, di riconoscere il ruolo delle organizzazioni umanitarie nella salvaguardia della vita umana nel Mediterraneo e di promuovere in sede europea l’approvazione di un meccanismo automatico per lo sbarco immediato e la redistribuzione delle persone in arrivo sulle coste meridionali dell’Europa.

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