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I tagli all’accoglienza mettono a rischio l’integrazione. Un esempio dal Piemonte

© Stefano Lorusso Salvatore

In provincia di Alessandria il futuro di un’azienda agricola gestita dai migranti accolti da “Idee solidali” è in bilico a causa dell’incertezza legata ai nuovi bandi prefettizi e agli effetti del “Decreto Salvini”. Tagliati anche sette contratti tra i 21 operatori della cooperativa

Seydou Baldé dà gli ultimi colpi di sarchio tra le patate appena colte. “Fino a qualche mese fa, questa terra era arida. Poi abbiamo iniziato a lavorarla”, ricorda appoggiandosi all’attrezzo. Originario della città di Kolda, nel Sud del Senegal, Seydou è uno dei richiedenti asilo che ha reso produttivo il terreno dell’azienda agricola “Semi di solidarietà”, nata nel 2017 a Cremolino in provincia di Alessandria, con il supporto di due imprese locali e della cooperativa Idee solidali. In un territorio rurale a trazione agricola, l’azienda si è differenziata dalle altre: oltre alle colture tradizionali, ha avviato la produzione di canapa industriale e zafferano, coltivato con il metodo dell’aeroponica, senza bisogno di terra.

Semi di solidarietà inserisce nel tessuto economico 15 richiedenti asilo, che sono anche i vertici dell’azienda in cui lavorano. “Superiamo la logica dell’assistenzialismo, costruiamo percorsi di autonomizzazione attraverso il lavoro, il primo fattore di inclusione”, spiega Luigi Rigamonti, presidente della cooperativa che gestisce un centro di accoglienza straordinaria, impegnato nella prima fase dell’accoglienza dei richiedenti asilo.

Dal 2017, la cooperativa ha inserito nell’economia locale circa 70 migranti, che hanno trovato impiego in alcune aziende e agriturismi della provincia di Alessandria. Ma questo esempio virtuoso di inserzione sociale è messo a rischio dalla riduzione dei fondi al settore dell’accoglienza. Il combinato disposto tra il decreto-sicurezza entrato in vigore all’inizio dell’ottobre 2018 e le nuove regole dei capitolati d’appalto pubblicate poco dopo, che riducono mediamente il corrispettivo da 35 a 21 euro giornalieri utilizzati dai gestori per ciascun migrante, mette la cooperativa di fronte ad una scelta: presentarsi o meno alle nuove gare d’appalto del ministero dell’Interno per l’attribuzione dei servizi di accoglienza?

“Con meno fondi non possiamo garantire il progetto di inserimento lavorativo. Concretamente, non avremo più abbastanza denaro per affittare i terreni, gli attrezzi e la cascina”, denuncia Luigi Rigamonti. In vista delle nuove gare d’appalto, la cooperativa ha già dovuto chiudere la scuola interna di italiano, un servizio aggiuntivo alla scuola dell’obbligo che la cooperativa metteva a disposizione dei suoi ospiti per un apprendimento più rapido. Un’anticipazione di quel che potrebbe accadere a molte altre realtà a partire da settembre. “In previsione dei tagli, non abbiamo potuto rinnovare il contratto di sette lavoratori su ventuno, tra cui due insegnanti di italiano. Come possiamo garantire una buona accoglienza con meno fondi e persone?”, si domanda Luigi Rigamonti. Secondo la Cgil, 18.000 posti di lavoro legati all’accoglienza sono a rischio.

Le nuove regole in materia di capitolati d’appalto dei servizi di accoglienza infatti hanno cambiato tutto. Ai richiedenti asilo in attesa di un responso, potranno essere forniti beni e servizi essenziali ma nessun intervento volto all’integrazione o al sostegno psicologico o quelli relativi all’orientamento sul territorio. “In questo modo l’inserzione sociale è compromessa”, commenta amaramente Serena Aventaggiato, educatrice della cooperativa.

Se la cooperativa non rinnoverà il progetto dell’azienda agricola, Seydou potrebbe non avere più un lavoro. Sbuffa, mentre porta dentro casa il raccolto della giornata: “Lo trovo illogico. Il governo ci chiede di integrarci e allo stesso tempo mette degli ostacoli”. Biplop, 27 anni, del Bangladesh e socio fondatore della cooperativa, è in attesa della risposta alla sua domanda d’asilo. Proprio uno dei profili che, secondo le scelte governative, non potrebbe beneficiare né dei corsi di lingua italiana, né di quelli professionali. Amareggiato, seduto su di una panca con le braccia incrociate, si chiede: “Se da settembre non avrò più un lavoro e non potrò più frequentare i corsi di italiano, cosa farò tutto il giorno?”.

Sui 646.000 migranti sbarcati in Italia tra il 2014 e il 2018, poco più di 454.000 vi hanno depositato una richiesta d’asilo. Molti di loro, dopo aver fatto domanda, “hanno lasciato l’Italia in cerca di contesti economici più favorevoli”, ricorda Gennaro Avallone, sociologo all’Università di Salerno. L’esperto di immigrazione punta il dito contro l’assenza di politiche attive del lavoro: “Con le riforme di Salvini, i soggetti maggiormente attivi sul piano delle politiche di inclusione si trovano costretti a fare assistenzialismo. Potranno soltanto gestire la quotidianità”.

Dopo l’estate, l’incertezza sull’avvenire dei suoi ospiti piomberà sulla cooperativa. Alle preoccupazioni economiche, si aggiungono ulteriori effetti del decreto sicurezza, che ha cancellato la protezione umanitaria, la forma di protezione più riconosciuta ai richiedenti. Il 23,4% tra il 2014 e il 2018, secondo le cifre del ministero dell’interno. Un problema serio, perché 40 sui 120 ospiti del Cas hanno ottenuto da poco proprio questo tipo di protezione. “Stanno per uscire dal percorso di accoglienza, così come vuole la riforma. Temiamo che, se non trovano un contratto di lavoro regolare, tra due anni non ricevano altre forme di protezione e cadano nell’illegalità”, racconta preoccupato Luigi Rigamonti. Secondo i calcoli del ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, 140.000 titolari di protezione umanitaria rischiano di diventare irregolari da qui al 2020.

Con lo sguardo rivolto verso il campo, Seydou si sofferma a osservare la terra arata. Porta la mano sulla fronte per asciugarsi il sudore: “Il lavoro, l’indipendenza. Sono le mie ossessioni. Non voglio essere un peso per nessuno”.

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