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Avanti con l’accoglienza diffusa, anche senza il governo

Il decreto voluto dal ministro dell’Interno mette la parola fine al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) che in quasi 20 anni ha dimostrato di essere più efficace e meno costoso. La risposta della società civile

Tratto da Altreconomia 210 — Dicembre 2018
Richiedenti asilo inseriti inseriti nei progetti di accoglienza della rete dei “Piccoli comuni del Welcome” © Caritas di Benevento

Nell’agosto 2017 la vita del piccolo comune di Castelpoto -1.200 abitanti in provincia di Benevento- è cambiata profondamente. “Non solo abbiamo messo in sicurezza la scuola, ma abbiamo persino aperto una sezione primavera”, racconta Vito Fusco, giovane sindaco di questo paesino nel cuore del Sannio a rischio spopolamento. Il merito è dei 20 giovani richiedenti asilo e rifugiati che hanno trovato casa a Castelpoto a seguito dell’adesione del comune alla rete Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Ma i benefici non si fermano alle aule scolastiche. “Sette giovani del paese, che avevano già la valigia pronta per andarsene in città a cercare un impiego, ora hanno un’opportunità di svolgere qui un lavoro qualificato come operatori, mediatori culturali, psicologi”, aggiunge il sindaco.

A Castelpoto come in tanti altri comuni italiani (piccoli e grandi, guidati da giunte di ogni orientamento politico) lo Sprar ha dimostrato di essere un modello che funziona da quasi 20 anni. Che però oggi è stato pesantemente stravolto dalle nuove norme in materia di immigrazione del governo guidato da Giuseppe Conte. Per questo motivo, diverse realtà impegnate da anni nell’accoglienza e nell’integrazione di richiedenti asilo e rifugiati stanno provando a resistere.

L’esperienza di Castelpoto si inserisce all’interno della progettualità della rete dei piccoli “Comuni del Welcome” promossa dalla Caritas di Benevento nel 2016 e oggi portata avanti su tutto il territorio nazionale dal Consorzio “Sale della Terra” con l’azione di “Ventotene, il Camper del Welcome”, che attraversa l’Italia per incontrare 100 piccoli Comuni. “Sale della Terra” ha, al momento, attivato 11 progetti Sprar sul territorio sannita e irpino, per un totale di 140 persone inserite in un percorso di accoglienza. “Con un’importante ricaduta economica sul territorio”, sottolinea Angelo Moretti, per dieci anni coordinatore della Caritas diocesana e oggi direttore generale del consorzio di cooperative e imprese sociali “Sale della terra”. Il recupero e la messa a coltura di terre abbandonate e incolte, grazie al lavoro dei giovani richiedenti asilo e rifugiati interessati a questa opportunità, rappresenta il fulcro di un progetto che ha come obiettivo quello di “generare frutti e cambiamento sul territorio” creando nuovi posti di lavoro, promuovendo percorsi inclusione e coesione sociale. Per prevenire lo spopolamento di valli isolate e piccoli paesi.

Il bando Sprar che ha permesso il finanziamento di questi progetti si concluderà a fine 2019. E il Decreto legge 113/2018, voluto dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ne mette a rischio la sopravvivenza per gli anni a venire. “Ancora non sappiamo quale sarà la forma definitiva della nuova normativa -puntualizza Moretti-. Quello che è certo è che noi vogliamo continuare il nostro percorso: i migranti sono portatori di energie vitali per i nostri territori, fortemente esposti al rischio di spopolamento. Abbiamo avviato un processo di incubazione per nuove cooperative sociali attive in ambito agricolo: l’obiettivo è riuscire ad assumere sette nuovi lavoratori entro il 2020. Inoltre faremo di tutto affinché le persone che oggi hanno un permesso di soggiorno per motivi umanitari e che vogliono restare con noi riescano a convertirlo in un permesso per lavoro”.

“Noi vogliamo continuare il nostro percorso: i migranti sono portatori di energie vitali per i nostri territori, fortemente esposti al rischio di spopolamento” – Angelo Moretti

La strada che Moretti intende percorrere per continuare il percorso di accoglienza e integrazione dei migranti è quella dei fondi europei. Oggi solo i governi nazionali possono accedere ai fondi Ue per finanziare i percorsi di accoglienza e integrazione, ma a partire dal 2019 questa possibilità potrebbe aprirsi anche per le Regioni e i Comuni. Merito di un emendamento presentato dall’eurodeputato Daniele Viotti, relatore al bilancio generale dell’Unione europea: “Obiettivo di questo emendamento è quello di prevenire le conseguenze del decreto Salvini -spiega Viotti ad Altreconomia- dando agli enti locali che sono interessati a proseguire questo modello la possibilità di chiedere direttamente all’Europa le risorse per modelli specifici”. Se il provvedimento non verrà stralciato, entrerà in vigore con l’approvazione del bilancio dell’Unione europea che deve avvenire entro la fine dell’anno. A quel punto la palla passerà alla Commissione che, dal 1° gennaio 2019, dovrà modificare il regolamento del “Fondo asilo migrazione e integrazione” (Fami).

Il Decreto sicurezza (approvato dal Consiglio dei ministri il 24 settembre 2018, successivamente modificato e convertito al Senato, al momento di andare in stampa è in attesa del passaggio alla Camera) incide profondamente sul futuro del sistema di accoglienza. I richiedenti asilo non possono più accedere al sistema Sprar ma, in attesa che la loro domanda di protezione internazionale venga esaminata, vengono inseriti in centri di accoglienza straordinaria che si limitano a garantire i servizi essenziali (vitto, alloggio, assistenza sanitaria). Cancellati tutti quelli per l’integrazione: corsi di italiano, formazione professionale, gestione del tempo libero, preparazione per l’audizione in commissione territoriale alla gestione del tempo libero.

Questo provvedimento, unito all’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari (sostituito da “permessi speciali”, ad esempio per le vittime di grave sfruttamento, motivi di salute, violenza domestica, atti di particolare valore civile), avrà come primo effetto una riduzione del numero di persone accolte all’interno dei progetti Sprar. Già oggi, i posti che si liberano all’interno del sistema di accoglienza non vengono occupati con nuovi ingressi: “Gestiamo due progetti Sprar a Parma per un totale di 250 posti: 35 sono vuoti -spiega Chiara Marchetti di CIAC Onlus-. Posti già pagati ma che vengono lasciati vuoti anche se nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) ci sono persone che hanno ottenuto la protezione umanitaria e che potrebbero accedere allo Sprar. Ma che invece finiscono per strada”. Questo cambiamento avrà gravi conseguenze anche sull’efficacia dei percorsi di integrazione dei fortunati che riuscissero ad accedere allo Sprar. “In precedenza molti di coloro che arrivavano allo Sprar dopo un periodo trascorso nei Cas in attesa dei documenti, solitamente un anno, avevano alle spalle una presa in carico e avevano frequentato corsi di italiano -spiega Paolo Pagani, coordinatore dei progetti Sprar del consorzio “Farsi Prossimo” che gestisce i 414 posti del Comune di Milano-. Questo permetteva di rendere molto più efficace il percorso nella seconda accoglienza, che può durare sei o nove mesi, in modo da rendere più solido il percorso di uscita”.

“Difendiamo il modello Sprar perché è un modello che risponde sia alle esigenze delle persone accolte sia delle comunità che accolgono” – Agostino Zanotti

Di fronte a questa situazione, diverse realtà impegnate da anni nell’accoglienza si sono date appuntamento per il 15 dicembre a Parma: “L’asilo resiste. Prospettive, idee e azioni dopo il Decreto Immigrazione” è il titolo dell’appello lanciato dalla rete “Europa Asilo” (europasilo.org). “L’obiettivo principale è capire se, mobilitando altri fondi, sarà possibile provare a mantenere intatto l’impianto dell’accoglienza integrata e diffusa” spiega Chiara Marchetti.

All’incontro parteciperà anche Agostino Zanotti, direttore dell’associazione “ADL Zavidovici che in provincia di Brescia accoglie 103 persone in diversi progetti Sprar e altri 29 all’interno di un Cas. “Lo scenario in questo momento è ancora molto caotico -ammette Zanotti-. Ma la nostra intenzione è quella di difendere il modello Sprar, non perché siamo nostalgici, ma perché è un modello che risponde sia alle esigenze delle persone accolte sia delle comunità che accolgono. Perché lo Sprar garantisce qualità nei servizi e attenzione nella gestione dei fondi pubblici”. I numeri elaborati dal Servizio Centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati confermano questa visione. A luglio 2018 erano 887 i progetti attivi (erano 776 al 31 dicembre 2017), per un totale di 35mila posti finanziati (31.340 al 31 dicembre 2017) sparsi tra 1.825 Comuni di tutta Italia (la metà con meno di 5mila abitanti) e 36.995 persone accolte. E i numeri avrebbero potuto essere ancora più elevati: lo scorso 1° luglio era prevista un’ulteriore graduatoria dei progetti ritenuti idonei e ammessi al finanziamento. Non è mai stata pubblicata. Nel 90% dei casi l’accoglienza viene effettuata in appartamenti, evitando così la concentrazione in grandi centri che può generare situazioni di tensione e disagi per gli abitanti. La media, nello Sprar, è di otto persone accolte per struttura.

“Faremo un passo avanti per continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto: aiutare le persone a uscire da una condizione di povertà” – Luciano Gualzetti

Un modello virtuoso, dunque, i cui benefici sono stati riconosciuti persino dallo stesso ministro dell’Interno Matteo Salvini che nella “Relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza” relativa all’anno 2017 e trasmessa alle Camere lo scorso agosto stigmatizzava i grandi centri d’accoglienza (luoghi difficili da gestire, possibile fonte di attrazione per interessi criminali) caldeggiando un loro “alleggerimento progressivo” a favore del modello Sprar definito “ponte necessario all’inclusione e punto di riferimento per le reti territoriali di sostegno”. Inoltre, secondo le stime di “InMigrazione il taglio dei servizi rivolti ai migranti, solo nei Centri d’accoglienza straordinaria, potrebbe portare la perdita do oltre 18mila posti di lavoro specializzati.

Chi non si riconosce in questo approccio nella gestione del fenomeno migratorio, che riduce all’osso i diritti, è il direttore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti. “Quello che si sta costruendo è un sistema che non investe sull’integrazione e che metterà sulla strada molte persone -riflette-. Quando verranno pubblicati i nuovi bandi, sulla base dei requisiti previsti dalla nuova normativa valuteremo il da farsi”. Caritas Ambrosiana attualmente gestisce oltre 2.200 posti in accoglienza, più 40 riservati ai cosiddetti “Corridoi umanitari” promosso dalla Chiesa Valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio. “Noi non siamo tenuti a stare dentro un sistema che non ci appartiene e faremo un passo indietro -conclude Gualzetti-. O meglio, un passo avanti per continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto: aiutare le persone a uscire da una condizione di povertà. Accompagnandole verso una vita dignitosa a vantaggio sia dei migranti accolti, sia delle comunità di accoglienza”.

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