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Abitare “L’ultima Milano”: la casa al centro di un racconto lontano dall’agiografia

Intervista agli urbanisti Jacopo Lareno Faccini e Alice Ranzini che per la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli hanno curato una pubblicazione che raccoglie “cronache dai margini di una città” e riempie un vuoto più che decennale. E offre un invito a chi amministra, o vuole amministrare, la città

© Ana Khutsishvili - Unsplash

Nelle parole di Jacopo Lareno Faccini e Alice Ranzini torna più volte l’idea di una “rimozione”. Quando parlano di Milano e della questione abitativa, in particolare dell’accesso alla casa in affitto; o quando raccontano di Milano e delle sue periferie, che ormai si devono chiamare quartieri, con un allontanamento che è anche lessicale.
Entrambi urbanisti, socio della cooperativa Codici Ricerca e Intervento lui, ricercatrice presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico lei, insieme hanno scritto “L’ultima Milano”. Insieme a loro, in un’intervista a tre voci, esploriamo i contenuti del volume, pubblicato nella collana Ricercha dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, che raccoglie “cronache dai margini di una città” e riempie un vuoto più che decennale: era dal 2009, quando uscirono “La Peste di Milano” (Marco Alfieri, Feltrinelli) e “La città degli untori” (Corrado Stajano, di nuovo in libreria nel 2020 per il Saggiatore) che mancava una lettura non agiografica di Milano, che da quel momento in poi s’è raccontata solo come la città dell’innovazione, la vera capitale, l’unica città europea d’Italia, fino al testacoda dello slogan “Milano non si ferma”, nei primi giorni dell’emergenza Covid-19, alla fine dell’inverno 2020. 

A questa lettura unilaterale e monofocale della città hanno senz’altro contribuito la vittoria nella corsa ad ospitare l’Expo del 2015, l’attrazione di capitali internazionali nel settore immobiliare, la realizzazione di operazioni immobiliari nate nel primo decennio del ventunesimo secolo, come Porta Nuova e City Life. Tutto questo è successo dopo la vittoria del centrosinistra alle elezioni municipali, nel 2011 e nel 2016: un cambiamento radicale, dopo almeno vent’anni di centrodestra, che però non ha segnato un cambiamento radicale nelle politiche di una città che vedeva il 17,3% delle famiglie di Milano in povertà (2011) e ha ormai quasi un quinto di cittadini migranti internazionali (2021). 

Le prime sessanta pagina del libro, però, non raccontano i “margini”, ma le trasformazioni urbane di Milano. Perché?
JLF Una delle urgenze che ci ha portato alla scrittura è stata vedere uno scollamento tra alcune retoriche e alcuni progetti che guardano all’inclusione, allo sviluppo partecipato e al protagonismo cittadino e l’accelerazione di politiche urbanistiche trainate unicamente dal mercato immobiliare e in alcuni casi dalla finanza. Sono caratteristiche emerse negli ultimi mandati che evidenziano modalità di intervento sul territorio diverse da quelle ormai “decodificate” di soggetti come Salvatore Ligresti, sulle cui operazioni facilmente si poteva costruire una opposizione ideologica (proponendo cioè una visione altra) e politica. Oggi i campi sono molto più complessi, con una difficoltà a muoversi nelle retoriche dei progetti per capirne la natura che in molti casi è esclusiva e in altri escludente. Per questo prima di entrare nella cronaca dei margini aveva senso ricostruire il quadro dentro cui questi margini esistono, fotografare la tensione tra questi luoghi e le politiche urbanistiche, quelle che sia io che Alice frequentiamo di più.

AR Il racconto di questa Milano dà forza al racconto dell’altra Milano: le pratiche che presentiamo negli itinerari dedicati alla Città Casa, tra emergenza abitativa e risposte dal basso, alla Città Scuola, con le esperienze di educazione e partecipazione, e alla Città Porto, quella che offre rifugio a chi arriva, non devono essere confinate in una lettura stereotipata legate alla marginalità, intesa come deprivazione, povertà o esclusione, che quindi riguarda solo una parte della popolazione. Facendo dialogare questi due racconti, il dibattito sugli ex scali ferroviari come quello di Porta Romana con Casa Jannacci, per guardare al quadrante Sud-Est, abbiamo voluto sottolineare che i processi di esclusione riguardano tutti, sono insiti in entrambe le città. La Milano dei margini ha però in sé un racconto di trasformazione e di alternativa che non riguarda solo i “poveri” che non accedono alla città scintillante.

JLF Come ricercatori, abbiamo praticato approcci “area based“, che nella nostra disciplina racconta di un lavoro radicato nel contesto di un quartiere o di un territorio: il rischio che si corre, così, è però vedere i margini come parti separate della città. Era necessario evitarlo.

© Ken Anzai – Unsplash

Il filo rosso che unisce tutta la ricerca è quello legato alla casa. Qual è la sua centralità?
JLF Le politiche, in parte anche radicali, della giunta di Giuliano Pisapia in termini di diritti civili sono state monche, perché non hanno guardato ai diritti legati all’abitare la città: mentre andava a sostituirsi allo Stato su politiche universalistiche che dovrebbero essere promosse a livello nazionale, come il registro delle unioni civili o il testamento biologico, dimenticava di avere un mandato sui “diritti locali territoriali”, sul “diritto alla città”, e ne è la dimostrazione il fatto che il Piano di governo del territorio elaborato dalla giunta di Letizia Moratti è stato rivisto timidamente, senza metterne in crisi l’impianto ideologico. 

AR Dal punto di vista dell’idea di città e dalla cultura urbana veicolata dall’amministrazione, non ci si è distaccati da una fiducia totale nel fatto che lo “sviluppo immobiliare ci salverà”. Non posso biasimare il piccolo proprietario che immagina di mettere a reddito il suo appartamento sfruttando le piattaforme dell’affitto breve, se non costruisco un discorso alternativo, veicolando termini nuovi in cui parlare di città e di casa come beni comuni, in senso ampio.

JLF Il mercato immobiliare è considerato l’unico traino legittimo della trasformazione urbana. A Milano non si è impostato nessun ragionamento radicale su come catturare la rendita, come fatto a Parigi con Airbnb o a Berlino, con il recente referendum sui grandi patrimoni immobiliari.

AR Chi amministra non si domanda come fare della città un luogo dove si vive bene, dove ci si può stare.

Perché, a vostro avviso, questa domanda manca?
AR Dobbiamo chiederci chi sono gli interlocutori che l’amministrazione ha in mente, chi sono i cittadini che Milano ha in mente. La città negli ultimi anni ha parlato ai capitali, a una popolazione che ha una prospettiva di mobilità e di consumo sempre più veloce. La città è vista come una connessione verso altro, a volte come uno status symbol. Tra i nuovi abitanti (sono circa 500mila i nuovi residenti negli ultimi dieci anni, 100mila all’anagrafe, con un alto tasso di turnover, ndr) molti sono giovani dal Sud, il cui immaginario vede Milano come la meta da raggiungere. Se non si esce da questo racconto di “successo”, chi si trasferisce si scontrerà con pretese e domande viziate da un immaginario finto. 

JLF La “casa” non può che essere il punto di partenza da cui ragionare sulle città, tanto che anche le altre due città, quella della scuola e quella dell’accoglienza, sono intimamente connesse al poter abitare. Milano negli ultimi anni ha lavorato su alcune novità, con politiche anche interessanti ma parziali (come l’housing sociale) e sperimentazioni che hanno un loro interesse, ma queste sono molto distanti da alcune categorie di popolazione di cui la città ha bisogno ma che sembra in qualche modo rimuovere, perché lasciano ai margini i cittadini considerati “non solvibili”. Esplorando i margini, ci si accorge che per quanto riguarda il patrimonio di edilizia residenziale pubblica manchi una proiezione, una visione dei luoghi, prospettive. Anche se MM ha fatto un grande lavoro di ristrutturazione, sono lente le politiche di assegnazione. E il progetto di riqualificazione del quartiere Lorenteggio-Giambellino si sta riducendo in un intervento banale, ordinario, con la manutenzione ordinaria mascherata da grande intervento, abbattimenti e rifacimenti poco innovativi e senza alcuna visione di rinnovamento urbanistico, semplificata e dequalificata.

Siamo davanti a una grande confusione e a una grande rimozione, che riguarda la necessità di controllare il mercato abitativo, specie dove i prezzi -per compravendite ed affitti- sono sottoposti a grandi processi di accelerazione. Penso ad esempio ad aree come NOLO (com’è conosciuta l’area a Nord di piazzale Loreto, ndr), oggi una di quelle a più alta intensità di pignoramenti, che esauriscono il problema delle famiglie che non possono più farsi carico del mutuo in un riciclo di mercato che assume il fallimento individuale o familiare senza porre attenzione su un mercato che propone le case a valori che le famiglie non possono permettersi. La regolazione serve perché non dobbiamo dimenticare che la gran parte del patrimonio abitativo non è pubblico ma nonostante questo dovrebbe essere oggetto di politiche: il “canone concordato”, su cui Milano ha puntato negli ultimi cinque anni, non ha dato risultati interessanti.

AR Nel libro abbiamo incluso un’esperienza informale, come quella dell’occupazione Cinisello20092 a Cinisello Balsamo (Comune di oltre 70mila abitanti nell’hinterland di Milano, ndr) per raccontare l’innovazione e il mutualismo, dato che oggi l’edilizia pubblica non è più terreno di sperimentazione, è lasciata morire, ma nelle mancanza di prospettive ci sono domande emergenti, che non sono più una novità, e riguardano famiglie che hanno perso la casa per uno sfratto, migranti, madri sole. 

© Daiji Umemoto – Unsplash

Questo sguardo dai margini -che spazia dalle scuole di San Siro ai laboratori di accoglienza di Villa Pallavicini in via Padova, passando per le radio indipendenti- che invito offre a chi amministra una città come Milano?
JLF È mancato uno sguardo pronto a cogliere ed accogliere alcune espressioni di bisogno, a prendersi in carico i desideri di chi vive i margini. La politica spesso arriva in queste aree della città con risposte pronte da somministrare. Ma il margine è radicale e obbligherebbe la politica a ricentrarsi, non su quanti sono considerati “gli ultimi”, ma su alcuni processi di marginalizzazione e di inclusione che l’idea stessa di margine -porta di ingresso e di uscita- ha in sé. Vale per la casa ma anche per la Città Scuola, che per noi è stato un itinerario di scoperta, che ci ha portato a conoscere processi di crescita sana e inclusiva nel territorio, in alcune scuole di periferie ad altissima percentuale di giovani studenti migranti o di seconda generazione: l’assenza di politiche è diventata cronaca negli ultimi mesi, quando ci sono stati giovani che hanno manifestato e provocato tafferugli e disordini in città, ma ciò che dovremmo vedere è che esiste una popolazione che sta crescendo senza che Milano abbia preso in carico i loro percorsi di crescita, concentrati in scuole-ghetto e senza accesso a percorsi di educativa non istituzionale ed extra scolastica. Queste domande si potrebbero capire solo osservandole dai margini, per capire ad esempio che finalmente a Milano ci sono voci pubbliche di seconda generazione che fanno cultura, pur affrontando una quotidianità molto dura. Questi giovani saranno gli adulti di domani, i milanesi di domani, ma fanno parte di una una classe sociale che non stiamo preparando ad essere cittadini né ci stiamo interrogando sul significato di cittadinanza di cui sono portatori.

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